Educazione alle relazioni, un danno e un peso per la scuola
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La direttiva di Valditara per contrastare la violenza contro le donne prevede 30 ore extracurriculari di «educazione alle relazioni». Lo spazio per la didattica si restringerà ancora, a danno degli studenti. Ma la “soluzione” è controproducente di suo. Ecco perché
Trenta ore extracurriculari di «educazione alle relazioni» attraverso gruppi di discussione nelle scuole superiori di secondo grado, con un budget di 15 milioni di euro. È questo il piano per prevenire e contrastare la violenza contro le donne, presentato nella direttiva da poco firmata dal ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara: «Basta alla cultura machista e maschilista che ancora inquina il nostro Paese – dice il ministro –, basta alla violenza fisica e psicologica contro le donne». È previsto, nella direttiva, anche un patto tra tre ministeri – Istruzione, Pari opportunità e Cultura – per promuovere iniziative congiunte; si partirà dalla realizzazione di video e cortometraggi da parte degli studenti: i migliori saranno premiati in un nuovo «spazio dedicato» al Festival del Cinema di Venezia.
Il ministro Valditara tiene a sottolineare, per fugare i sospetti di una pura reazione emotiva delle istituzioni, che il progetto non è nato sull’onda dell’omicidio di Giulia Cecchettin, ma è maturato in estate dopo gli stupri di Caivano, richiamando la legge 107/2015 che per prima ha introdotto nei piani dell’offerta formativa l’obbligo di assicurare l’educazione a rispetto e parità.
La direttiva di Valditara prevede, nello specifico, che ogni focus group di classe sia coordinato da un docente moderatore formato dal Ministero, secondo un programma da predisporre «anche con il supporto di organismi scientifici e professionali quali l’Ordine degli psicologi» e il Fonags, il Forum nazionale delle associazioni dei genitori della scuola. Fin qui, la presentazione della recente iniziativa del Ministero.
In sintesi, dopo le 30 ore annue aggiuntive di educazione civica trasversale, le 30 ore di orientamento e tutoraggio, le 30 ore di educazione alle relazioni, si arriva a ben 90 ore potenzialmente sottratte alle discipline curriculari, ma soprattutto si caricano, sulle già disastrate spalle della scuola italiana, nuove incombenze e nuove responsabilità, di fronte alle quali, in realtà, nulla essa può fare. Una scuola ormai zeppa di burocrazia, di figure esterne e di parole d’ordine politically correct, trasformata in grande organismo di assistenza sociale. Sempre meno spazio per l’insegnamento, sempre più delusione, viceversa, tra i docenti. E tanto analfabetismo di ritorno.
Ma davvero, per stare sul tema, la «cultura machista e maschilista» ancora «inquina il nostro Paese»? E, in ogni caso, è compito della scuola mettere rimedio alla violenza fisica e psicologica contro le donne? Come ha scritto la giornalista Costanza Miriano nel suo blog, «chi propone corsi scolastici di educazione all’affettività come risposta e rimedio all'uccisione di donne e ragazze, non conosce tanto bene i ragazzi. Le prediche “sui valori” che ricevono a scuola li lasciano totalmente indifferenti, quando non infastiditi […]. Se per educazione all’affettività si intende un corso in cui si dice di rispettare il corpo delle donne, ma insieme si insegna a trarne piacere da giovanissimi (e giovanissime, la cosa è reciproca), senza essere pronti alle conseguenze, se si insegna la contraccezione e l’aborto chimico liberissimo senza ricetta anche alle minorenni, non capisco di che educazione stiamo parlando». I dati confermano, infatti, che l’educazione sessuale aggrava i problemi nei Paesi dov’è più diffusa.
Le riflessioni della Miriano toccano i punti nevralgici della questione. Che cosa può fare la scuola, quando un’intera società, con i suoi pervasivi mezzi di comunicazione, insegna esattamente l’opposto? Come rimediare a siffatta schizofrenia? Nelle pubblicità, nelle immagini, negli spettacoli televisivi di ogni genere, nelle espressioni verbali ad ogni livello, la violenza e il sesso dominano incontrastati. L’abbinamento nell’immaginario collettivo, e soprattutto nelle menti più fragili e in quelle in evoluzione, come ad esempio negli adolescenti, è purtroppo inevitabile. Che fare, poi, quando le mamme stesse arrivano alle udienze scolastiche e si vantano di mandare le figlie tredicenni in vacanza da sole col “morosino”, preparando con cura ogni dettaglio logistico della loro villeggiatura? E come insegnare, infine, la sacralità della vita umana, di ogni vita umana, quando l’aborto sforna bambini uccisi a migliaia ogni giorno (spesso da grembi di giovani e giovanissime) o si accetta come inevitabile la possibilità dell’eutanasia per anziani e malati “inguaribili”? Quando, sul tema della sacralità della vita, si introducono dei distinguo, il gioco è fatto: il criterio soggettivo è destinato a prendere il sopravvento…
L'educazione sentimentale (e relazionale) è di specifica competenza dei genitori. Se i genitori non sono in grado o sono culturalmente inefficaci, è necessario sostenerli, aiutarli e formarli perché possano svolgere il compito loro assegnato. Non è giusto e non è bene, oltre ad essere inadeguato, delegare per queste cose gli insegnanti, caricandoli di un peso che non possono né debbono portare. Gli insegnanti devono innanzitutto educare insegnando, cioè attraverso le discipline e la personale passione con cui le presentano, valorizzando la bellezza e l’importanza della cultura e delle conoscenze millenarie di cui siamo depositari. La scuola non può e non deve essere figlia di uno Stato Etico, mera cassa di risonanza delle ideologie dominanti e del politicamente corretto, per formare menti omologate anziché cittadini critici e preparati, desiderosi di mettere i propri talenti a disposizione del bene comune.
Signor Ministro, ci ripensi, se può, e faccia il possibile, piuttosto, perché la scuola torni ad essere in estrema semplicità (da cui un’estrema efficacia) ciò che deve essere: luogo di trasmissione della cultura e della bellezza del sapere. Tutto il resto è solo danno o inutile peso.
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