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POLEMICHE

Editto di Modena. Ucci, ucci, sento odor di Tirannucci

L'arcivescovo di Modena, monsignor Castellucci, irritato per un nostro articolo, costringe sotto ricatto un centro culturale modenese considerato "amico", a dissociarsi pubblicamente dalla Bussola. Un gesto gravissimo che dovrebbe far pensare.

Editoriali 20_11_2017
La pagina con la lettera contro la Bussola

Il vescovo si sente attaccato da un giornale che lo critica per i suoi metodi stalinisti? Allora offende privatamente il giornalista “reo” delle accuse e costringe un’associazione di laici ritenuta “amica” della testata incriminata a dissociarsi pubblicamente. Sembrerebbe una storia d’altri tempi, invece succede oggi: protagonisti l’arcivescovo di Modena, monsignor Erio Castellucci, la nostra testata, La Nuova Bussola Quotidiana, e un Centro culturale modenese, Il Faro.

Come si ricorderà, avevamo scritto un commento a proposito di un inquietante editoriale dell’arcivescovo sul settimanale diocesano (Il Nostro Tempo, ora venduto come dorso domenicale del quotidiano Avvenire): «Discernere per essere veramente Ecclesia», era il titolo, e dava disposizione di vietare le strutture ecclesiali non solo a «veggenti e carismatici» ma anche a «giornalisti e intellettuali che manifestano un dissenso ‘sottile o aperto’ verso la Chiesa ufficiale e soprattutto verso papa Francesco». Un vero e proprio linguaggio da soviet, che avevamo stigmatizzato con un articolo di Andrea Zambrano, soprattutto perché esemplare del periodo che stiamo vivendo nella Chiesa: purghe a Roma e liste di proscrizione in periferia. Non contro eretici manifesti, ma contro chi osa soltanto fare domande o esprimere perplessità su alcune scelte pastorali o esprimere disagio per certe ambiguità dottrinali: tutte cose peraltro che non mettono in discussione la comunione con Pietro, e sono tutelate dal diritto canonico.

Del resto monsignor Castellucci ha avuto il coraggio – o l’ingenuità o l’impudenza - di mettere per iscritto ciò che altri fanno senza dirlo. Per questo riteniamo preoccupante l’«editto di Modena», che oltretutto non è rimasto lettera morta. Subito dopo la pubblicazione infatti, su richiesta del vescovo è stato annullato a Modena il previsto incontro pubblico con monsignor Antonio Livi, la cui preparazione teologica e fedeltà a Pietro è indiscutibile, ma che avendo posto delle motivate critiche all'esortazione apostolica Amoris Laetitia ora è bandito da tutte le parrocchie di Modena (e non solo). 

Non pago, monsignor Castellucci ha voluto confermare ulteriormente le critiche avanzate dalla Nuova BQ. Così, non avendo digerito il nostro articolo ha dapprima pensato bene di offendere e minacciare il collega Zambrano via sms (avviso per la Curia di Modena: li abbiamo conservati tutti); poi se l’è presa con un centro culturale modenese, Il Faro. Motivo? È considerato "fiancheggiatore" della Nuova BQ. In realtà non c’è nessun tipo di collegamento né formale né informale tra Nuova BQ e Il Faro, ma il centro culturale modenese ha messo per iscritto nel suo statuto la sua vicinanza ideale al mensile Il Timone, e siccome il sottoscritto è al momento direttore responsabile anche del Timone e Zambrano ne è redattore, ecco che il vescovo ha tratto le sue conclusioni. Per chiarezza bisogna sapere però che il collegamento tra Il Faro e Il Timone si è limitato finora all’organizzazione di un solo evento culturale all’anno, e non c’è quindi nessun tipo di coinvolgimento diretto o indiretto nelle scelte redazionali. Men che meno con la Bussola.

Fatto sta che monsignor Castellucci ha preteso dal Faro, sotto ricatto, una pubblica dissociazione dalla Bussola, pena il ritiro dell’assistente spirituale e, quindi, del riconoscimento ecclesiale. Sia stato per convinzione, per debolezza o per viltà, il consiglio direttivo del Faro ha obbedito e ha spedito al sottoscritto una lettera surreale in cui si condanna l’articolo di Zambrano e «si schiera in favore del pastore della diocesi». Infine la lettera ieri è stata pubblicata dal settimanale diocesano, con il titolo: «Il Faro, un contributo alla comunione», un titolo dall’umorismo involontario visto che ci si preoccupa anche di spiegare il ricatto che sta dietro alla stesura della lettera. Nella “nuova Chiesa” evidentemente si scambia facilmente la comunione – che è l’unità dei fedeli in Cristo – con l’obbedienza supina al tiranno di turno.

Sicuramente si possono avere giudizi diversi, perfino opposti, sull’articolo incriminato, per quanto il giudizio che vi era contenuto sia stato più che confermato a posteriori. Ma qui non è in discussione il gradimento o meno di un articolo da parte di un vescovo, del direttivo di un centro culturale o di chiunque altro. Oltretutto noi non abbiamo nessuna sfida in corso con l’arcivescovo di Modena tale che sia richiesto schierarsi da una parte o dall’altra: siamo giornalisti che, nel rispetto dei fatti e delle persone, siamo liberi di esprimere giudizi e critiche sui fatti che riteniamo rilevanti. E chiunque può esprimere giudizi e critiche sui nostri articoli.

Se un vescovo ritiene di essere stato frainteso o di essere vittima di un ingiusto attacco, come ogni altro cittadino italiano può chiedere di pubblicare una replica al giornale in questione; oppure, visto che è anche editore, può usare le colonne del suo settimanale.

È invece gravissimo che un vescovo possa costringere un’associazione di fedeli a fare pubblica denuncia di giornalisti “amici”, in perfetto stile mafioso. Ad essere messo in discussione non è il nostro lavoro, ma è la stessa immagine della Chiesa, con alcuni pastori che hanno perso il senso del limite e pensano di potere impunemente dettare legge a chiunque. Si riempiono la bocca di Concilio Vaticano II e trattano i laici come i loro servi. Si vantano di dialogare con i lontani e disprezzano i fedeli. Mettono sul pulpito eretici e scomunicati e scacciano dalle parrocchie quanti vogliono testimoniare la fede. Fanno la voce grossa con i cattolici e scodinzolano ai potenti del mondo.

Come Lutero: pensano di essere grandi riformatori, produrranno solo macerie.