Economia trainata dal Superbonus? È un'illusione
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Le polemiche sul "Superbonus 110" permettono di fare il punto sulla questione delle "spese fiscali", che qualcuno sostiene essere un volano per l'economia. Ma non è così e già nel 1850 lo aveva spiegato l'economista Bastiat con l'esempio della "finestra rotta".
La vexata quaestio del “Superbonus 110” va inquadrata nel più ampio tema del ruolo dello Stato nella vita economica e, nello specifico, delle “tax expenditures”, le cosiddette “spese fiscali”. Si tratta di quell’ampio ventaglio di benefici fiscali riconosciuti al contribuente: un insieme complesso e farraginoso, e talvolta anche iniquo, di agevolazioni, deduzioni, detrazioni ed esenzioni tra cui anche incentivi come, appunto, quelli legati alle ristrutturazioni e riqualificazioni edilizie. Servono davvero a rilanciare l’economia nel lungo periodo? È un affare per tutti, bilancio dello Stato compreso? Vediamo.
Nel 1850, l’economista francese Frédéric Bastiat (1801-1850) pubblicò un breve saggio intitolato "Ciò che si vede e ciò che non si vede", in cui esaminava le conseguenze economiche, visibili e invisibili, delle azioni del governo e dei privati. L'opera è diventata un classico della letteratura economica e politica, poiché ha fornito una teoria solida e facilmente comprensibile delle conseguenze delle politiche governative e delle azioni umane, mettendo in luce come gli effetti non intenzionali e a lungo termine delle azioni umane siano altrettanto importanti di quelli intenzionali e immediati.
L'idea di Bastiat può essere riassunta in modo semplice: ogni scelta o decisione ha conseguenze, visibili e invisibili. Le conseguenze visibili sono immediatamente osservabili, mentre quelle invisibili non sono evidenti o addirittura sono impercettibili. Pensiamo, ad esempio, alla realizzazione di opere pubbliche, come la costruzione di una strada: “ciò che si vede” è la nuova strada, con i suoi effetti positivi sulla comunità locale, come la riduzione del tempo di percorrenza e dei costi di trasporto. “Ciò che non si vede”, invece, è che solo in apparenza la nuova strada è gratis: il denaro impiegato per costruirla è stato prelevato dai contribuenti. Lo “Stato”, nelle sue varie articolazioni, non ha nulla di suo, se non la “potestà tributaria”: per spendere e attuare politiche redistributive i pubblici poteri devono necessariamente prelevare denaro in modo coercitivo dalle tasche dei cittadini, oppure fare deficit o inflazionare la moneta, che sono altri modi, più subdoli, per scaricare l’onere sui contribuenti futuri. Non ci sono quindi mai pasti gratis: nell’esempio indicato, le risorse dirottate politicamente verso la costruzione della strada avrebbero potuto essere utilizzate dai privati per effettuare investimenti diversi, forse più utili e produttivi. Ma non lo sapremo mai.
Nel celebre racconto della “finestra rotta”, Bastiat smonta la fallacia economica secondo cui la rottura del vetro di una finestra sia in realtà benefica per l’economia perché innescherebbe un processo “moltiplicativo” di produzione e distribuzione di redditi. “Ciò che si vede” è che il vetraio guadagna del denaro dalla riparazione della finestra rotta e lo spende, dando così lavoro ad un altro soggetto, e questi a sua volta, generando così un circolo virtuoso, con effetti tutti positivi e apprezzabili; “ciò che non si vede”, tuttavia, è che se non avesse dovuto impiegare il denaro per riparare la finestra, il proprietario avrebbe potuto destinarlo all’acquisto di altri beni o servizi, ad esempio un paio di scarpe nuove o un libro per arricchire la sua biblioteca, creando così un effetto positivo su altre attività economiche.
Il proprietario ha subìto un danno, senza aggiungere alcun valore incrementale alla comunità, che finisce anzi per subire una perdita netta in termini di dotazione di “capitale”. Qual è la morale della favola? Innanzitutto, che la distruzione di beni (ad opera, ad esempio, di incidenti, terremoti, atti vandalici, guerre) non è mai un volano per la crescita economica, come talvolta si dice; in secondo luogo, che dirottare gli investimenti in una direzione piuttosto che in un’altra crea sicuramente effetti redistributivi ma non necessariamente incrementali. Bastiat ha sottolineato che le conseguenze invisibili delle decisioni sono spesso le più importanti, in quanto possono avere effetti a lungo termine sulla prosperità economica e sul benessere della società. Ogni decisione che prendiamo ha conseguenze che vanno oltre il nostro campo visivo immediato, e più si accentrano le risorse e le decisioni in “cabine di regia”, più si accresce il rischio di ottenere effetti futuri indesiderati: un buon motivo per cui i governi dovrebbero evitare di intraprendere azioni che possono comportare conseguenze negative, anche se non intenzionali.
È il grande tema dell’intervento dello Stato nell’economia, in generale, e nello specifico delle spese fiscali. Nella “Nota di Aggiornamento” del “Documento di Economia e Finanza 2022” si elencano ben 592 tipi di incentivi fiscali, raggruppati in 20 “Missioni”, a favore di persone e imprese, con un peso sul Bilancio pubblico, per il 2022, pari a circa 83 miliardi di euro, con una tendenza in leggero calo, verso i 78 miliardi annui, nel 2023 e 2024. Anche prescindendo da abusi e frodi, inevitabili, rimane il fatto che modificando in modo artificiale i prezzi relativi dei beni e dei servizi si alterano le scelte degli agenti economici: le spese fiscali, infatti, rendono apparentemente gratuito o, comunque, molto meno costoso un determinato bene o servizio rispetto ad altri, spingendo così ad acquistare e utilizzare maggiormente il bene o servizio finanziato (“ciò che si vede”), riducendo gli acquisti di altri beni non incentivati (“ciò che non si vede”).
Si creano così degli effetti distorsivi, di sostituzione tra i beni e servizi che sono oggetto di spesa fiscale e quelli che non lo sono, che possono portare a scarsità nel breve termine dei beni finanziati, seguita magari da sovra-produzione nel lungo periodo per gli investimenti addizionali attratti dal rialzo artificiale dei prezzi in un determinato settore; il tutto a scapito di altri beni e servizi che avrebbero potuto essere più efficienti dal punto di vista economico. Con l’aggravante che diviene impossibile, anche ex-post, fare un bilancio dei “risultati” complessivi degli interventi attuati.
Le spese fiscali che favoriscono, direttamente o indirettamente, alcuni settori o imprese rispetto ad altri comportano quindi un’inevitabile alterazione della concorrenza, con i soggetti beneficiati che possono espandersi, fare investimenti e assumere nuovo personale (“ciò che si vede”), tutte scelte che non sarebbero state fatte, perché non economiche, in assenza di tali incentivi; a scapito, per contro, di altri settori e altre imprese che non hanno fruito di tali aiuti ma hanno dovuto comunque sostenerne parte dei costi in termini di prelievo fiscale, con conseguenze negative per la propria attività (“ciò che non si vede”).
Questa alterazione politica delle decisioni di allocazione di consumi, risparmi e investimenti porta quindi a una distribuzione inefficiente delle risorse, “scarse” per definizione, e quindi alla produzione di minore ricchezza per tutti. Per di più, l’evoluzione delle politiche fiscali che i vari governi, in modo spesso caotico, pongono in essere per “gestire” l’emergenza del momento, sotto la pressione delle varie clientele, può indurre cicli economici di boom artificiale seguiti da fasi di bust, di forte contrazione. Con la progressiva implementazione degli investimenti previsti dal PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) avremo modo di toccare con mano, purtroppo, tali effetti. Ma siccome gli aspetti negativi rientrano in “quello che non si vede”, nessun politico sarà chiamato a risponderne, potendo anzi vantarsi dei risultati positivi visibili.
1. continua