Ecocidio, una parola da evitare
Anche il Papa chiede a gran voce che venga perseguito l'ecocidio a livello globale. Ma questa parola implica una visione che riduce l'uomo alla stessa dignità di animali e piante, e rende ogni attività umana potenzialmente criminosa....
Ecocidio. È la parola del momento che, secondo un qualsiasi dizionario di lingua italiana, indica la distruzione consapevole dell’ambiente naturale. È un neologismo relativamente recente, entrato nel dizionario Treccani nel 1971, sulla spinta della crescita dei movimenti ecologisti nel mondo occidentale, ma è solo da poco tempo che è diventata parola comune.
Lo si deve sicuramente anche alla svolta ecologista della Chiesa, tanto che lo stesso papa Francesco ha usato questo termine parlando il 15 novembre scorso ai partecipanti al congresso mondiale dell’Associazione internazionale di Diritto Penale. In un passaggio importante del discorso, il Papa ha invitato a punire le «condotte di cui solitamente si rendono responsabili le corporazioni» (leggi: multinazionali). E ha quindi declinato queste condotte riassunte nel termine “ecocidio”: «la contaminazione massiva dell’aria, delle risorse della terra e dell’acqua, la distruzione su larga scala di flora e fauna, e qualunque azione capace di produrre un disastro ecologico o distruggere un ecosistema». Il Papa ha anche detto esplicitamente della sua intenzione di mettere mano al Catechismo proprio per introdurre questa categoria dei “peccati ecologici”.
Sul rischio insito in quest’ultima intenzione abbiamo già parlato in una recente intervista a padre George J. Woodall. Qui vorremmo soffermarci su due aspetti, il primo legato all’adozione del termine “ecocidio” e il secondo riferito a quelli che ne sarebbero i principali responsabili.
Non c’è dubbio che la distruzione consapevole di ambienti naturali sia un’azione malvagia, ma il termine “ecocidio” va ben oltre. «Le parole sono importanti», diceva Nanni Moretti in una famosa scena del film “Palombella rossa”. “-cidio”, dicono sempre i dizionari di italiano, è «il secondo elemento di parole composte e ha il significato di uccisione». È sempre riferito a esseri umani - omicidio, parricidio, uxoricidio, genocidio, infanticidio, ecc. – all’interno di una visione che considera l’uomo ontologicamente diverso da ogni altra forma vivente. Diverso e superiore, se Dio all’uomo ha finalizzato tutta la natura: non perché ne facesse quel che vuole, ma perché servisse alla sua vita, secondo il disegno del Creatore. Vale a dire che l’uomo è responsabile davanti a Dio di come usa la natura che gli è stata donata. La natura è per l’uomo e l’uomo è per Dio, è la formula che sintetizza questa visione cattolica della Creazione. È la visione che soggiace al Cantico delle Creature di san Francesco così come alla splendida opera dei monaci benedettini.
Estendere il termine che indica l’uccisione degli uomini a una indistinta natura, porta dritti a tutt’altra concezione, che se ne sia coscienti o meno. È quella visione alla base della Carta della Terra, documento lanciato in sede ONU nel 2000, che veicola una concezione secondo cui uomini, animali e piante sono tutti parte di una indistinta “comunità vivente”. È l’idea di una «interdipendenza globale», come si legge nella presentazione, concetto con cui si può anche leggere quello slogan “tutto è connesso”, che tanto piace a papa Francesco e che più volte è risuonato durante il Sinodo dell’Amazzonia. È anche la visione di “Ipotesi Gaia” (dal nome della divinità femminile greca), formulata nel 1979 dallo scienziato inglese James Lovelock, secondo cui la Terra è un organismo vivente che agisce esattamente come un organismo umano, in cui però l’uomo è sostanzialmente un elemento estraneo e di disturbo. Da qui nascono anche le espressioni che indicano l’uomo come un virus, e il riscaldamento globale visto come “febbre del pianeta”, essendo la febbre la reazione di un organismo vivente all’attacco di un virus.
Non dovrebbero sfuggire dunque le conseguenze drammatiche dell’adozione di un termine – “ecocidio” – che nasconde concezioni opposte alla Rivelazione di Dio e che dunque, non sorprendentemente, si rivela profondamente anti-umana.
Ci sarebbe poi da approfondire il tema che riguarda i presunti responsabili dell’ecocidio. Nel discorso del Papa è chiaro: sono le multinazionali. Lo schema di interpretazione delle realtà sociali ed economiche da parte del Papa è ormai noto: la povertà è colpa dei ricchi, così come la distruzione della natura è colpa dei capitalisti avidi, che si appropriano di tutte le risorse possibili, costringendo masse e popoli alla povertà e distruggendo gli ecosistemi. La realtà però è ben più complessa.
A cominciare da cosa si intende per distruzione. Finché parliamo di imprenditori che gettano rifiuti industriali inquinanti nei fiumi o di persone che appiccano incendi devastanti per tornaconti personali, la cosa è molto semplice. Ma oggi, ad esempio, una buona parte della deforestazione, di cui tanto si parla, è figlia di una agricoltura sottosviluppata: in Africa, come in Asia o in America Latina si consumano in fretta i terreni agricoli – tra l’altro con bassa produttività - e si deforesta per guadagnare altri terreni per la coltivazione. In altre parole si deforesta per mangiare. Tutti criminali? Così come in passato si distruggevano foreste per costruire le navi al tempo delle grandi esplorazioni, finché il metallo non ha sostituito il legno. Dobbiamo condannare tutto e tutti? E per tanti difensori dell’ambiente – vedi l’indiana Vandana Shiva, che sarà una delle star all’incontro di Assisi voluto dal Papa su ”L’economia di Francesco” - è da impedire anche la costruzione di centrali idroelettriche (che pure è energia da fonte rinnovabile) perché la costruzione delle dighe provoca mutamenti degli ecosistemi. Non si vuole negare che a volte ci possano essere delle problematicità in alcuni progetti, ma in generale si deve considerare che l’energia è fondamentale per uscire dalla povertà e dal sottosviluppo. O vogliamo che tutti diventino poveri in nome dell’armonia con l’ambiente? Siccome qualsiasi progetto per migliorare le condizioni degli uomini implica una modifica dell’ambiente – per fare una frittata bisogna rompere le uova - il rischio è che alla fine l’ideale sia l’immobilismo totale, la negazione dell’attività e, alla fine, della presenza umana.
Siamo certi che non è questo che intende il Papa, ma è altrettanto certo che è quello che invece intendono tanti ecologisti che dal Papa si sentono incoraggiati.