Eco ansia (o eco delirio?). Come ti creo una malattia ad hoc
Ascolta la versione audio dell'articolo
La sconosciuta "eco ansia" non è neanche una malattia, ma è già una piaga grazie a una costruzione ad hoc spacciata per scienza. E che si cura - guarda un po' - non leggendo i media, i primi creatori di ansietà climatica.
- Clintel: «Le "colpe" della transizione energetica»
La parola del momento è eco ansia. Non è una malattia e nemmeno una sindrome, non sappiamo neppure quanti giovani ne sarebbero affetti né se siamo di fronte ad un fenomeno reale. Eppure, dobbiamo confrontarci con l’eco ansia perché così è deciso dalle alte sfere. Ad ogni emergenza la sua malattia. E i sostenitori del cambiamento climatico di matrice antropica, alla bisogna ne hanno creata una dal nulla: l’eco ansia.
Fino alla scorsa settimana, nessuno in Italia la conosceva, ma è bastata la sceneggiata che ha visto protagonista una giovane attrice, Giorgia Vasaperna e il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin per far scattare sull’attenti i giornali di fronte al nuovo, pericolosissimo morbo che indebolisce i giovani della Generazione Z, quelli che sono più attivi nella lotta contro i cambiamenti climatici.
È, questo dell’eco ansia, un nuovo prodotto dell’infodemia dilagante che abbiamo visto all’opera durante la pandemia: c’è un’emergenza; quindi, una paura e giocoforza deve servire una malattia amplificata a dismisura dai media al motto di “lo dice la Scienzah”.
Lei, Giorgia, 27 anni, ha pianto e con parole accorate, nel corso del festival cinematografico di Giffoni, si è rivolta al ministro con lamenti che sembravano una trenodia, il canto funebre degli antichi greci: «Ministro, ho molta paura per il mio futuro», ha detto singhiozzando. «In questi giorni la mia Sicilia brucia. Io non so se voglio avere figli… E lei? Non ha paura per i suoi figli, per i suoi nipoti?». Il ministro Pichetto Fratin c’è cascato a pera e con la voce incrinata le ha risposto: «Ho la forza del dubbio, ma soprattutto, per la carica che ricopro, ho un dovere. Verso di voi e verso i miei nipoti».
Ecco creata la malattia, che ora tutti dobbiamo riconoscere, affrontare e curare senza manifestare il benché minimo dubbio.
Avrà anche la forza del dubbio come dice, ma stavolta dei grossi dubbi al ministro dell’Ambiente non devono essergli venuti di fronte alla perfetta interpretazione della giovane. Che è attrice e che come ha svelato ieri su La Verità Patrizia Floder Reitter, fa «sceneggiate per mestiere». Dunque, trattandosi anche che il contesto era cinematografico, attoriale, interpretativo, forse Pichetto Fratin si sarebbe dovuto interrogare di più su chi fosse il lamentoso interlocutore che aveva di fronte.
Ma il ministro non è uomo che si lascia domandare dalla realtà che ha di fronte. Aveva esordito come ministro ringraziando il premier Meloni, la quale a causa di una svista lo aveva definito ministro dell’Istruzione. E lui, senza lasciarsi sfiorare dal dubbio socratico – che pure si vanta di essere una delle sue forze -, impassibile ha detto ok: «Ringrazio il premier che mi ha scelto per il ministero dell’Istruzione», facendo finta di nulla sull’incarico appena ricevuto all’Ambiente. Insomma, il ministro non ha colpe, evidentemente.
Chi qualche colpa ce l’ha, invece, sono i giornali, che hanno preso la storia di Giorgia per imbastire la campagna dell’eco ansia come nuova peste che attanaglia le giovani generazioni. E pazienza se al momento non abbiamo nessun reparto di psichiatria né Diagnosi e cura con giovani trattati per questa nuova patologia, che patologia non è dato che non è nemmeno considerata una condizione medica, ma come l’ha definita l’APA (American Psychological Association) una “paura cronica del destino ambientale”. L’eco ansia, infatti, è un disturbo non ancora inserito nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5). Dunque, di cosa stiamo parlando?
Eppure, qualche cosa non torna e non solo perché al momento abbiamo conoscenza di un solo caso di autodiagnosticata eco ansia, quella dell’attrice ventisettenne.
Ma anche perché anche l’ansia climatica ha tutta l’aria di essere un prodotto confezionato ad hoc per orientare giudizi sul cambiamento climatico causato dall’uomo e soprattutto agire agire agire per la salvezza del pianeta.
Mentre non sappiamo ancora se sia una piaga reale, intanto una definizione di eco ansia c’è già: «L’eco ansia o ansia climatica nella letteratura scientifica indica la preoccupazione, la paura o l’ansia cronica legata al destino ambientale del pianeta per via di gravi eventi climatici. Nelle persone più giovani e in quelle più sensibili ai temi di riscaldamento globale, cambiamenti climatici, aumento dell’incidenza di disastri naturali, deforestazione, innalzamento del livello del mare, ed eventi meteorologici estremi, l’ansia climatica può manifestarsi con sintomi specifici di distress».
Ci sono siti di cliniche e di psicologi che già subodorano il business, solo che in mancanza di cure si utilizzano le analisi delle persone con sindrome post traumatica da stress nel caso di disastri naturali, questi sì veri e causati dall'uomo: solo che gestire un terremoto o un’inondazione devastante per la rottura di una diga non rientra nella casistica dei cambiamenti climatici. Intanto però tutto fa brodo.
Ma di quale letteratura scientifica stiamo parlando? Qui la faccenda si fa ancora più nebulosa.
La definizione di eco ansia è stata coniata da un filosofo ambientale australiano chiamato Glenn Albrecht nel 2011: «La sensazione generalizzata che le basi ecologiche dell’esistenza siano in procinto di crollare». È lui lo stesso che anni prima, nel 2003 aveva creato anche altri neologismi pronti per essere bevuti dalla medicina ufficiale come la sindrome psicoterratica, espressione coniata da Albrecht per identificare la connessione tra lo stato della terra (terra) e la salute mentale (psiche) e solastalgia, parola composta dal greco che produce il senso di perdita e di distacco dall’ambiente.
Insomma, se di mestiere fai il filosofo ambientale, ennesimo caso di professione che genera un bisogno – e non viceversa - l’unica tua preoccupazione è quella di giustificare il tuo servizio all’umanità. Non siamo dunque, di fronte ad un luminare della psichiatria, né ad un patologo di chiara fama, ma ad un filosofo che, con rispetto parlando, crea termini per identificare malattie che ancora non ci sono con lo scopo di affermarle nel dibattito mediatico e poi scientifico. Si prepara il terreno e poi basta incontrare sul cammino un'attrice ben addestrata e un ministro che coltiva la forza del dubbio, scordandosi però di innaffiarla di tanto in tanto, e il gioco è fatto.
Bene. Creata la malattia, ora serve una cura. E qui, sui siti specializzati (cliniche e psicologi di cui sopra pronti a ricevere eco ansiosi e a fatturare, anzi a eco fatturare) c’è tutta una casistica di interventi da fare che vanno dal partecipare a dei gruppi di attivisti del clima e – guarda caso - a rivolgersi ad uno psicologo. Anzi, ad un eco psicologo.
Con un’unica avvertenza: ridurre l’esposizione ai media durante la giornata e non leggere le notizie negative che i giornali danno sul cambiamento climatico, sull’apocalisse imminente e sulla devastazione che l’uomo sta facendo della nostra casa comune.
Tutto chiaro? Il rimedio è quello di buttare il televisore, lo stesso che per implicita ammissione degli eco ansiosi genera l’ansietà climatica, in un circuito all’infinito che assomiglia al cane che si morde la coda.
Analisi, questa, che nessuno ha descritto meglio di Checco Zalone in Cado dalle nubi in auto con il gruppo di “Emo” a cui sta dando un passaggio: “Noi ci tagliamo perché soffriamo”; “No, è il contrario: voi soffrite perché vi tagliate. Vedete di non tagliarvi e smetterete di soffrire”.
Per salvare il pianeta buttiamo il televisore
Vogliono farci rinunciare a tutto pur di ridurre le emissioni di Co2: all'auto, alla carne, persino ai vestiti. Ma nessuno osa svelare l'azione decisiva per la salute della terra... e del cervello.