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EDITORIALE

E' una guerra, è il caso di riconoscerlo

Pakistan, Kenya Nigeria: il terrorismo islamico non è né morto né in disarmo. Dall'11 settembre 2001 ha già raggiunto diversi suoi obiettivi e l'irresponsabile strategia occidentale lo sta favorendo.

Editoriali 23_09_2013
Attentato a Peshawar

Pakistan, Kenya, Nigeria: oltre 300 morti in tre giorni in attentati e attacchi terroristici vari provocati da gruppi fondamentalisti islamici. E questo in un quadro in cui va considerato quanto sta avvenendo in Siria, Egitto, Libia, Somalia tanto per citare i paesi più importanti.

Nel caso qualcuno non se ne fosse accorto c’è in atto una guerra, che non è certo iniziata ieri, e che è sintetizzata dalla rivendicazione dei terroristi in Kenya che, a combattimenti ancora in corso, hanno fatto sapere di aver risparmiato gli islamici presenti nel centro commerciale di Nairobi attaccato, e di avere ucciso solo “i non musulmani”. Forse, quando si andrà a riconoscere le vittime, scopriremo che questa divisione non è stata poi così netta, ma il messaggio politico è chiaro.

Per questi gruppi il mondo si divide in due: l’islam e i nemici dell’islam, che ovviamente vanno eliminati. I cristiani – vedi Pakistan – sono il bersaglio preferito, più semplice per certi versi, ma nel mirino ci sono utti i simboli occidentali.

Negli ultimi anni, grazie anche alla retorica dell’amministrazione Obama, ci si era illusi che il fondamentalismo islamico fosse ridotto a un fenomeno marginale, che il terrorismo fosse sì in grado ancora di colpire localmente, ma che non rappresentasse più un problema globale, perlomeno non così preoccupante.

In realtà, se guardiamo a cosa è successo dall’11 settembre 2001 in avanti vediamo che le cose non stanno così: in Afghanistan, non avendo avuto gli americani la forza o la volontà di vincere definitivamente la guerra, c'è oggi il grande ritorno dei taleban; in Iraq la sognata pacificazione è destinata a restare una chimera e i gruppi fondamentalisti guadagnano posizioni a colpi di attentati; in Nigeria, in Mali, in Somalia formazioni qaediste hanno preso il controllo di aree importanti dei rispettivi paesi (e colpiscono anche fuori, come il Kenya dimostra); in Egitto e in Tunisia hanno conquistato il potere (quasi) pacificamente e se anche in Egitto il presidente Morsi è stato destituito la partita è tutt’altro che chiusa.

A questo si aggiunga l’irresponsabile strategia di Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna, che hanno aperto loro la porta anche in Libia e ora in Siria. E come quest’ultimo caso dimostra, non abbiamo a che fare con di milizie locali che combattono nel loro paese magari aiutate finanziariamente da altri paesi interessati. In ogni paese dove si combatte la “guerra santa” arrivano molti “stranieri” a dare man forte, ci sono brigate internazionali dedite a combattere la guerra santa ovunque ce ne sia l’opportunità e le loro fila si stanno gonfiando sempre più.

Insomma, in dodici anni il fondamentalismo islamico ha guadagnato molte posizioni secondo una strategia ampiamente annunciata, che vede prioritario il rovesciamento dei regimi moderati o filo occidentali dei paesi islamici.

Di fronte a questa realtà la risposta dell’Occidente è sconcertante: dopo una prima reazione militare seguita all’11 settembre, si è lasciato campo libero a taleban e soci, per poi passare addirittura ad appoggiare il rovesciamento di governi “amici” (vedi Egitto), di regimi comunque nemici dei fondamentalisti (vedi Libia), e infine a sostenere una guerra da cui si avvantaggeranno soltanto i qaedisti. Favorendo con questo anche la persecuzione dei cristiani e la loro fuga da questi paesi. Non bastasse, anche nei nostri paesi occidentali ci pieghiamo volentieri alle pretese dei fondamentalisti, e tolleriamo “eccezioni” islamiche alle leggi che valgono per tutti gli altri cittadini.

Né si vede un qualche segno di ravvedimento. Obama continua a seminare instabilità, l’Unione Europea è sempre più assente, sembra che l’unico paese ad aver compreso il pericolo sia – incredibile a dirsi - la Russia di Putin. Eppure l’esperienza dovrebbe ormai aver dimostrato che di fronte abbiamo un nemico intenzionato a distruggere la nostra civiltà e che favorire l’instabilità di intere regioni, armare una fazione contro l’altra per continuare una guerra all’infinito è soltanto un assist per chi vuole imporre la legge coranica.

Cominciare a riconoscere quanto sta accadendo sarebbe già un primo passo per invertire la rotta. Prima che sia troppo tardi.