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L'ANALISI MILITARE

E' una guerra ancora tutta da combattere

L'errore più grave che si possa commettere nell'analizzare i dieci anni dall'11 settembre è forse quello di voler tirare le somme considerando concluso un capitolo che è invece ancora aperto.

Attualità 10_09_2011
guerra iraq

L'errore più grave che si possa commettere nell'analizzare i dieci anni dall'11 settembre è forse quello di voler tirare le somme considerando concluso un capitolo che è invece ancora aperto. Anche se non va più di moda citarli, George Bush, Dick Cheney e Donald Rumsfeld dissero più volte che "Enduring Freedom", l'operazione militare globale varata contro il terrorismo islamico e gli Stati che lo sostenevano, sarebbe durata almeno 20 anni. Valutazione oggi rimossa da un Occidente "obamizzato" che ha rimosso frasi come "guerra globale al terrorismo" rimpiazzandola con "operazioni d'emergenza oltremare" e che a Washington ha ribattezzato gli "atti terroristici" con l'espressione " disastri causati dall'uomo".

Un Occidente evidentemente preoccupato più della crisi finanziaria che della sconfitta di chi lo vuole distruggere al punto che molti gruppi di pressione stanno facendo passare (con successo) il concetto che la crisi è stata causata dalle "guerre di Bush". Secondo un sondaggio del Brookings Institution il 59% degli americani ritiene che gli Stati Uniti abbiano reagito correttamente alla tragedia dell'11 settembre ma abbiano investito troppe risorse nelle guerre, contribuendo alla crisi economica del Paese.

La maggioranza degli intervistati pensa che la risposta agli attacchi terroristici - cioè le guerre in Iraq e Afghanistan - sia stata quella giusta ma il 40 per cento ritiene tuttavia che ci sia stato un investimento eccessivo di risorse, che ha contributo "molto" ai problemi economici americani. Eppure nella storia nessun Paese è mai entrato in guerra sapendo quanto gli sarebbe costato il conflitto in termini di vite umane e finanziari. Secondo uno studio della Brown University le operazioni militari varate dopo l'attacco terroristico a New York e Washington sono costate la bellezza di 4 mila miliardi di dollari. Cifra elevatissima ma che valutata nell'arco di dieci anni rappresenta uscite medie per "soli"400 miliardi annui, cifra inferiore al bilancio annuale del Pentagono (oltre 500
miliardi) escludendo i fondi stanziati per la guerra in Iraq e Afghanistan.

Tracciare un bilancio di questi dieci anni impone di considerare la strategia, non solo militare, posta alla base dell'intervento in Afghanistan e del concetto di guerra preventiva applicato all'Iraq. Gli Stati Uniti e i cosiddetti "neocon" valutarono che il fenomeno terroristico si era sviluppato su vasta scala nel mondo islamico perché era rimasto impermeabile alla democrazia. Innestare quest'ultima in Afghanistan e Iraq avrebbe potuto dare il via a un effetto domino in grado di cambiare la faccia al mondo musulmano. Se guardiamo ai risultati ottenuti in questi dieci anni considerandoli solo un traguardo intermedio appare evidente che Bush e i suoi hanno avuto ragione. Con tutti i problemi di stabilità interna e terrorismo (determinati in buona parte dall'influenza iraniana) l'Iraq è da anni l'unica vera democrazia araba.

La guerra contro la resistenza interna è stata vinta dagli Stati Uniti e anche quella contro al-Qaeda che proprio in Iraq ha subito la sconfitta strategica più grave. Non riuscendo a indurre gli statunitensi al ritiro i terroristi cominciarono a colpire i civili provocando migliaia di morti innocenti. Un massacro che ha fatto perdere alla rete di Osama bin Laden le simpatie di milioni di simpatizzanti per il jihadismo. Oggi gli statunitensi vengono supplicati da Baghdad di non completare il ritiro delle truppe previsto entro l'anno ma di mantenere nel Paese 10/20 mila soldati , con  buona pace delle promesse elettorali di Barack Obama. La democrazia germogliata in Iraq ha costretto le monarchie del Golfo ad aprirsi alle riforme, ha influito sulle rivolte popolari in Iran (dove molti giovani "auspicavano" i bombardamenti americani) ma, anche se nessuno lo dice, pure le rivolte della primavera araba sono figlie indirette di Enduring Freedom e Iraqi Freedom.


Altri successi conseguiti sono l'eliminazione di Osama in Laden e di molti esponenti di spicco di al-Qaeda che dopo l'11/9 e gli attentati di Madrid e Londra non è più riuscita a colpire in modo devastante l'Occidente. In Afghanistan non si può parlare di successo solo perché Obama non ha avuto il coraggio di ribadire, come aveva fatto Bush, che "la nostra exit strategy è la vittoria". Alla guerra preventiva di Bush ha risposto il miope "ritiro preventivo' di Obama che indicando la data del 2014 per il rimpatrio delle truppe alleate ha indotto i talebani ad accentuare la resistenza. Oltre tutto si tratta di una bugia perché Washington sta negoziando direttamente con Kabul il mantenimento in Afghanistan di forze da combattimento fino al 2024.

Tra gli aspetti critici va rilevata anche la decisione di Obama incrementare i raid aerei dei droni sul Pakistan (in media uno ogni 4 giorni) che sta portando Islamabad sempre più lontano dall'Occidente e sempre più vicino alla Cina. Ancora da risolvere la crisi con l'Iran e la Siria (membri del cosiddetto "Asse del Male") ma resta da vedere quanto potrà resistere il regime di Damasco alle ribellione interna e se quello di Teheran uscirà indenne dalle pressioni internazionali e dalla stagione delle rivolte per la democrazia.

Dietro le ipocrisie circa il multilateralismo dell'attuale Amministrazione statunitense si nascondono però due equivoci. Come ha dimostrato la guerra libica, che Washington ha lasciato combattere agli alleati europei, gli americani non sono più disposti a combattere (e spendere denaro) per la nostra sicurezza e prosperità. Non a caso l'aspro confronto tra Usa e partners europei sta mettendo in crisi la Nato mentre nei prossimi anni Washington potrebbe avere tutto l'interesse nel vedere i competitori economici e strategici (Cina, Russia, Europa, Giappone, India..) invischiati in lunghe crisi militari che impediscano loro di investire risorse per bilanciare la superpotenza americana.

L'aspetto più critico emerso dagli ultimi dieci anni di guerra riguarda però la capacità dell'Occidente di combattere e subire perdite per conseguire la vittoria. In Iraq sono morti meno di 5 mila soldati alleati dei quali quasi 4.500 statunitensi mentre in Afghanistan le perdite sono di circa 2.700 militari tra i quali 1750 americani e 950 alleati. In dieci anni di guerra sono morti (non solo per il fuoco nemico poiché il bilancio comprende anche i morti per incidenti e malattie) 7.500 militari occidentali e se escludiamo americani (6.250 morti) i britannici (560) per tutti gli altri i caduti sono nell'ordine di poche decine: 53 tedeschi, 78 francesi, 74 italiani, 157 canadesi. Perdite irrisorie sul piano militare.

Basti pensare che a el Alamein in una settimana vi furono 20 mila morti, feriti e dispersi mentre a Saipan i marines statunitensi registrarono 6.500 caduti nel luglio 1944. Perdite sopportabili da forze armate che tra America ed Europa contano 4 milioni di soldati, ma a quanto pare ingestibili sul piano politico e sociale. Un fattore di debolezza che potrebbe impedirci di combattere questa guerra nei prossimi dieci anni.