È un dovere, nessuno si tiri indietro
È una strada in salita, non priva di rischi, ma è giusto percorrerla ed è sacrosanto sostenere quel gruppo di parlamentari che all’indomani dell’approvazione della legge sulle unioni civili ha deciso di lanciare un referendum per la sua abrogazione parziale.
È una strada in salita, non priva di rischi, ma è giusto percorrerla ed è sacrosanto sostenere quel gruppo di parlamentari che all’indomani dell’approvazione della legge sulle unioni civili ha deciso di lanciare un referendum per la sua abrogazione parziale. Ed è anche confortante vedere uniti in questo obiettivo parlamentari di diversi partiti seppure tutti del centrodestra (e del resto chi si aspetta qualcosa dalla sinistra?). È un segno che, anche davanti allo spettacolo desolante offerto dai parlamentari inclusi alcuni cattolici, c’è almeno un piccolo gruppo di resistenti.
I motivi per sostenere questa iniziativa sono semplici ed evidenti: anzitutto è giusto fare tutto il possibile – nel poco spazio di manovra che rimane – per arginare la gravità di questa legge. Sarebbe giusto abrogarla in toto, ma viste le precedenti sentenze della Corte Costituzionale (di cui si parla nell’articolo di Marco Guerra), un quesito parziale è l’unica strada percorribile.
Qui corre però l’obbligo di una chiarezza: il fatto di dover abrogare solo una parte della legge non rende e non renderà mai accettabile l’altra parte, semplicemente siamo costretti a subirla. Qualsiasi riconoscimento pubblico di una convivenza – omo o etero che sia - è un male per la società perché poco o tanto si crea una competizione con la famiglia, cellula fondamentale della società e quindi unico bene che merita tutela dallo Stato, come peraltro riconoscerebbe la nostra Costituzione. Dico “riconoscerebbe” perché invece la Corte Costituzionale ha pensato bene di dare un’interpretazione – ad esempio dell’articolo 2 della Costituzione – che per giustificare le unioni gay forza volutamente il pensiero dei padri costituenti. In realtà, come abbiamo detto molte volte, i diritti delle persone sono già tutelati dal nostro ordinamento e in ogni caso possono ricevere ulteriori garanzie attraverso gli strumenti del diritto privato.
Si è notato giustamente che la legge deve prima passare dalla firma del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, per cui è giusto fare pressioni su di lui perché prenda atto dell’incostituzionalità che accompagna questa legge e la rimandi alle Camere. Ma anche a questo scopo lanciare il referendum è utile, è esso stesso una forma di pressione, tenendo anche conto che la formazione politica di Mattarella renderebbe improbabile il gesto coraggioso di rifiutare la firma alla legge sulle unioni civili.
Mantenere la pressione su questo tema aiuterà anche a ostacolare le altre iniziative legislative anti-umane: riforma delle adozioni per consentirle anche alle unioni gay, eutanasia, liberalizzazione delle droghe, secondo un calendario già stabilito e più volte annunciato anche in questi giorni.
Purtroppo bisogna fare i conti con l’ostilità di chi dovrebbe essere in prima fila a difendere la dignità della persona. La Chiesa italiana (o per meglio dire la segreteria della CEI che pretende di rappresentarla), attraverso Avvenire ha subito chiuso la porta condannando apertamente il ricorso al referendum e usando toni morbidi sulla legge. L’edizione di ieri del quotidiano che ricade sotto il diretto controllo di monsignor Nunzio Galantino (a proposito di vescovi-pilota che non devono telecomandare i laici) era un capolavoro di ipocrisia per far passare l’idea che la legge sì non è l’ideale ma non è giusto contestarla, basta testimoniare vivendo bene la propria famiglia (per un esame della posizione di Avvenire clicca qui).
Ma se visto l’andazzo di questi anni, l’ostilità di Avvenire non sorprende più di tanto, fa nascere qualche perplessità una certa freddezza che pare provenire – almeno in queste ore - dal Comitato Difendiamo i Nostri Figli, a maggior ragione se la si paragona alle risorse e all’energia che il suo presidente Massimo Gandolfini sta mettendo in campo per organizzare i comitati per il no alla riforma costituzionale (referendum previsto per ottobre).
Sarebbe davvero incomprensibile vedere il popolo del Family Day chiamato a mobilitarsi per contrastare una riforma il cui nesso con il tema della famiglia non è certo immediato, ignorando al contempo la possibilità di un referendum sul tema del Family Day. E sarebbe davvero imperdonabile se nella decisione di una associazione laica, nata dalla spinta popolare, diventasse determinante l’eventuale interferenza della segreteria CEI, come del resto avvenne almeno in parte già per il Family Day del 30 gennaio scorso.
Speriamo dunque che ogni incertezza venga superata nei prossimi giorni, perché per vincere questa battaglia c’è bisogno di tutti.