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BASILICA DI BETLEMME/RESTAURI

E sotto l’intonaco spuntò il settimo angelo

La Basilica della Natività di Betlemme è uno dei luoghi di pellegrinaggio più visitati della Terrasanta. Da decenni, però, l’edificio sacro richiedeva lavori di risistemazione, così l’Autorità Palestinese ha emesso un bando d’appalto per il restauro, vinto dall’azienda italiana Piacenti. Ne parliamo con il presidente.

Cultura 01_09_2016
I mosaici restaurati nella Basilica di Betlemme

La Basilica della Natività di Betlemme è uno dei luoghi di pellegrinaggio più visitati della Terrasanta. Edificata intorno al 330 su iniziativa dell’Imperatore Costantino e della madre Elena, la Basilica si erge sui luoghi dove per la tradizione è nato Gesù. Sotto l’abside, sono collocate due scale che conducono alla grotta della Natività. Nel VI secolo la Basilica venne sottoposta a lavori di restauro, il pavimento venne innalzato di un metro e venne introdotto un nartece. 

Nel corso dei secoli, attorno alla struttura, vennero costruiti un convento francescano, un monastero ortodosso e uno armeno. Per questo le tre Chiese (Cattolica, Ortodossa e Armena) gestiscono oggi il luogo di culto, che è divenuto patrimonio Unesco dal 2012. Da decenni, però, l’edificio sacro richiedeva lavori di risistemazione, soprattutto per l’infiltrazione d’acqua attraverso il tetto. Trovata un’intesa tra le tre Chiese nel 2008 e avviati i lavori scientifici, l’Autorità Palestinese ha finalmente emesso un bando d’appalto per il restauro del tetto e delle vetrate della Basilica, vinto dall’azienda italiana Piacenti S.p.a., con sede a Prato. Da tre anni  l’azienda sta eseguendo i lavori. 

L’attività svolta ha soddisfatto pienamente l’Autorità Palestinese e si è così, poi, ampliata al recupero delle capriate, dei mosaici e delle colonne della Basilica. Dei duemila metri quadrati di mosaici originari ne sono stati salvati circa centocinquanta grazie all’impiego di un milione e mezzo di tessere. Le immagini recuperate sono bellissime, rappresentano angeli, santi, Cristo che entra a Gerusalemme su un asino, San Tommaso di fronte a Gesù dopo la resurrezione. Qualche mese fa, grazie alla tecnica della termografia, che permette di scandagliare superfici solide per ritrovare opere nascoste, è stato scoperto il settimo angelo, che era ritenuto ormai perduto.

La notizia ha fatto velocemente il giro del pianeta. Ora, l’azienda Piacenti cercherà di restaurare le colonne della Basilica e un vasto mosaico presente sul pavimento. I fondi per finanziare l’impresa provengono oggi da diverse realtà, sia pubbliche che private, sia cattoliche che musulmane. Ma mancano ancora molti soldi per terminare i lavori. All’ultima edizione del Meeting di Rimini una mostra dal titolo Restaurare il cielo ha ripercorso il restauro finora compiuto. Per l’occasione ho incontrato il coordinatore dei lavori Gianmarco Piacenti, Presidente della Piacenti S.p.a.

Qual è la sua formazione? 

All’antica. Ho lavorato con tanti maestri. La mia famiglia, mio padre e i miei fratelli, il restauratore Leonetto Tintori da cui ho imparato per anni. Noi siamo una bottega empirica scientifica. Siamo forse gli ultimi. Tutti quelli che arrivano ora come restauratori provengono da scuole. Abbiamo ancora con noi tanti giovani e anche tante persone a fine carriera. Una decina sono laureati in architettura e progettano.

Come è nata questa azienda? 

L’azienda è nata nel 1875 dal bisnonno. Era all’inizio una bottega di montagna, nell’Appennino tosco-emiliano. Nei primi tempi era legata all’ebanisteria. Le generazioni successive hanno iniziato a impegnarsi nell’ambito dei beni culturali. Dal 1994 la guido io. Ho iniziato a partecipare a gare di appalti pubblici, a lavorare con l’estero, abbiamo ottenuto la certificazione di qualità e creato un laboratorio di 2000 metri quadrati. La società è oggi una piccola S.p.a. con controlli di gestione. 

Qual è il motto dell’azienda?

“Cerchiamo di fare meglio quello che riusciamo già a fare bene”. Mariella Carlotti, curatrice della mostra, ha visto nella nostra azienda una sorta di bottega medioevale che lavora in modo scientifico. Un insieme di persone che lavorano ciascuna con la sua peculiarità, dal primo all’ultimo, con la consapevolezza di fare qualcosa di importante. 

Come è iniziata l’avventura della Terrasanta? E prima della Terrasanta a quali importanti restauri avete partecipato? 

Prima della Terrasanta abbiamo lavorato agli Uffizi, all’ambasciata italiana a Mosca, in Cina e in molti altri luoghi, in Italia e nel mondo. L’impresa della Terrasanta nasce da una gara telematica. Era una grande opportunità che per noi all’inizio sembrava inarrivabile. Eppure abbiamo vinto l’appalto nel luglio 2013. Il contratto è stato firmato ad agosto. I lavori sono stati avviati a settembre.

Come sono iniziati i lavori? 

All’inizio fu molto difficile. Dovevamo restaurare il tetto e le finestre. Non è facile portare un container in Palestina, si incontrano molte difficoltà. Nelle scelte ti trovi spesso a un bivio, devi riflettere bene, in gruppo, con un team, un’equipe, che ti possa aiutare a capire. Abbiamo fatto un’analisi molto buona di tutti i problemi e le possibili difficoltà che ci ha premiato più tardi. Noi conduciamo sempre questa analisi preliminare in tutte le gare di appalto a cui partecipiamo, anche in quelle che poi magari perdiamo. È un lavoro che, a volte, può sembrare poco conveniente, ma nel tempo premia. Durante il lavoro abbiamo dovuto affrontare tante difficoltà e imprevisti. Il problema maggiore è stato la guerra di Gaza. I razzi, talvolta, cadevano accanto alla chiesa. 

Non è un paradosso l’attenzione al dettaglio quando con i bombardamenti e la guerra viene distrutto tutto? Voi rischiavate?

In 58 giorni la guerra ha portato 3000 morti. Betlemme era sicura, anche se in certi momenti qualche missile è passata sopra la nostra testa. Comunque, nella Basilica della Natività noi ci sentivamo al sicuro.

Come lavorano insieme esponenti di fedi differenti? Come collaborano? Che esperienza state vivendo?

L’Autorità palestinese ha creato un comitato molto ben organizzato composto da un archeologo, dal sindaco di Betlemme, da esponenti di differenti culti religiosi. Il comitato ha preso come consulenti gli universitari italiani che avevano vinto la fase progettuale. La commissione è stata ben creata, in modo corretto. Stiamo vivendo una bella esperienza di collaborazione. Abbiamo creato uno staff aziendale sia di ufficio che di cantiere in cui il confronto è continuo. Bello è anche il rapporto che si è creato con le tre Chiese. Quando è finito il tetto è piovuto. Le tre Chiese erano molto contente che non sarebbe più piovuto all’interno della Basilica.  Per decenni ci sono state infiltrazioni all’interno. Gli interventi precedenti presenti sul tetto mostrano il tentativo di tamponare il fenomeno, ma quando pioveva tanto saliva il livello dell’acqua e occorreva una pompa per svuotare l’interno. 

Com’è stata l’esperienza umana con la gente del luogo? 

Conosciamo la ditta di Betlemme che lavora con noi da tre anni. Appartiene ormai al nostro team. Sentiamo le persone molto vicine. Ci sentiamo a casa. I giovani della mia azienda sono stati invitati ad un torneo di calcetto. I più giovani del mio gruppo hanno ventidue anni. Siamo entrati nella società di Betlemme. 

Come vedi la situazione in Palestina?

È difficile giudicarla. Io sono talmente impegnato nel mio lavoro di restauro della Basilica della Natività che ho poco tempo per visitare le città della Palestina. Per capire meglio la situazione credo che si debba leggere cosa ha detto al Meeting nel 2014 Padre Pierbattista Pizzaballa, Custode di Terra Santa dal 2004, ora nominato da Papa Francesco Arcivescovo amministratore apostolico del Patriarcato di Gerusalemme. Lui non ha un’esperienza limitata. 

Qual è la giornata di lavoro tipo? 

Io lavoro 7 giorni su 7. Gli operai lavorano per sei giorni e alternano 50 giorni in Palestina con 10 giorni a casa. A Betlemme la sera non offre divertimenti. Qualche volta ci si reca a Gerusalemme a cena. Lì c’è buona musica.

Che scoperte avete finora fatto nel restauro? 

Sono tante. Alla mostra del Meeting abbiamo offerto uno spaccato che serve a introdurre il cantiere e gli uomini che ci lavorano, ma quanto si vede nella mostra è solo una parte. Si potrebbe allestire una mostra solo per il nartece. Abbiamo raccolto quintali di materiale archeologico e di informazioni archivistiche. La scoperta dell’angelo è stata finora la più significativa e ha dimostrato che tutto il mondo guarda alla Basilica della Natività che è un patrimonio universale. Ci siamo resi conto che stiamo lavorando al centro della cristianità. I media internazionali lo hanno testimoniato riportando tutti con una certa enfasi l’incredibile scoperta. Sul sito www.piacenti.org è possibile seguire il restauro, passo per passo, vedendo le immagini del cantiere.

Come avete scoperto l’angelo?

Io ho visto l’angelo appena è stato segnalato il dubbio da mia nipote che ha curato la termografia da cui è uscita la figura. Con un piccolo scalpello si è fatto cadere l’intonaco e si è rivelata tutta la bellezza delle tessere nascoste. In cantiere c’era il delirio. Era bellissimo. Durante le attività noi del team ci scambiamo sempre le fotografie dei lavori svolti.

Quando termineranno i lavori? 

Se si riesce in due o tre anni. Dipenderà molto anche dai finanziamenti che ci arriveranno. L’appalto prevedeva all’inizio la risistemazione del tetto. Il Comitato palestinese ci ha affidato nel tempo gli altri lavori. Tra i finanziatori dell’impresa figurano, per lo più, Stati legati al mondo cattolico, ma anche banche musulmane e cristiani della diaspora. 

Si può contribuire anche dall’Italia e dal resto del mondo al restauro? 

Certo, grazie al progetto «Adotta una colonna» promosso dal ministro palestinese Ziad Albandak, capo del Consiglio presidenziale per il restauro della Basilica. L’invito è aperto a tutti, Stati, privati e singoli. L’obiettivo è il restauro delle due file di colonne dell’epoca di Giustiniano.

Ci saranno nuove sorprese durante l’attività di restauro? 

Sopra le trabeazioni abbiamo trovato pezzi di legno risalenti forse all’epoca di Costantino. Dobbiamo aspettare le conferme scientifiche per la certezza. Aspettiamo gli studi paralleli. Dobbiamo scoprire il sistema di archi sopra la trabeazione. Poi, sotto il pavimento si trovano i mosaici del IV secolo realizzati per Elena. Una parte si vede e il resto è stato ricoperto nel 1930 perché fossero salvaguardarli.