E ora in Siria scoppia la guerra tra ribelli
La tensione tra le diverse milizie siriane ribelli è scoppiata in una vera e propria battaglia tra i "laici" dell'Esercito Siriano Libero e le milizie qaediste e salafite. A innescare la faida l'uccisione di Kamal Hamami, comandante dell'ESL, membro del Consiglio militare supremo dei ribelli.
Alla fine il bubbone delle tensioni sempre più accese tra le diverse milizie ribelli siriane è scoppiato in una vera e propria battaglia tra i “laici” dell’Esercito Siriano Libero (composto per lo più da disertori delle forze armate di Damasco) e le milizie quaediste e salafite. La scintilla che ha fatto scoppiare il conflitto è stata l’uccisione, il 12 luglio a Latakia, di Kamal Hamami, comandante dell'ESL membro del Consiglio militare supremo dei ribelli. Hamami stava partecipando a un incontro con membri dello Stato islamico dell’Iraq e Levante” (una delle sigle di al-Qaeda) per "discutere piani di battaglia" legati probabilmente a condurre attacchi in quella regione occidentale della Siria abitata da alawiti fedeli a Bashar Assad. Invece di discutere i qaedisti lo hanno decapitato annunciando di voler “uccidere tutti i membri del Consiglio militare supremo" il comando operativo dell’ESL.
L'Osservatorio siriano per i diritti umani, organizzazione vicina all’opposizione con sede a Londra, ha fatto sapere che sono ormai settimane che si registrano combattimenti tra milizie laiche ed estremisti islamici con scontri in diverse zone del Paese mentre qaedisti e ESL si sono scontrati per il controllo di un checkpoint vicino a Ras al-Hosn, nella provincia settentrionale di Idlib. La battaglia sarebbe iniziata quando i jihadisti hanno cercato di impadronirsi delle armi conservate in un arsenale dell’ESL. L'Esercito libero, che già da tempo gode di un moderato supporto dell’Occidente, ha lanciato un nuovo appello per ottenere armi pesanti necessarie non solo a non soccombere di fronte alle forze governative ma anche a contrastare i jihadisti che ricevono aiuti militari più che consistenti da Qatar e Arabia Saudita. Del resto proprio le armi e il denaro del Golfo hanno permesso alle milizie islamiste di rafforzarsi e di esercitare una forte attrattiva tra i combattenti che in gran numero anno abbandonato milizie laiche o moderate per arruolarsi nel Fronte al-Nusrah e nei gruppi legati ad al Qaeda e salafiti.
L’ELS valuta che siano almeno 17 mila i jihadisti attivi in Siria e il loro numero aumenta in continuazione grazie alle migliaia di volontari stranieri arruolati dai movimenti islamisti internazionali e fatti affluire in Siria con la complicità del governo turco. Di questi oltre un migliaio si sono infiltrati nella parte settentrionale del paese nell'ultima settimana. “I 1.500 estremisti, disarmati, sono entrati attraverso il valico di frontiera di Bab al-Salam, evidentemente con il via libera delle autorità turche e sotto gli occhi dell'ESL, che evita di scontrarsi con loro" hanno rivelato nei giorni scorsi fonti ben informate all’agenzia Adnkronos, sottolineando che "alcuni degli estremisti sono diretti verso l'Iraq, mentre il resto si è unito ai combattenti del Fronte al-Nusra", milizia inserita dagli Stati Uniti nella lista nera delle organizzazioni terroristiche. La penetrazione qaedista in Siria è talmente imponente che, come ha rivelato la BBC, persino i talebani pakistani hanno inviato un gruppo di combattenti esperti e specialisti in azioni terroristiche per combattere il regime siriano.
Gli scontri militari tra le diverse anime della rivolta siriana sono al tempo stesso la causa e la conseguenza logica del rovesciamento degli equilibri all’interno della compagine politica dei ribelli dopo l’elezione, il 6 luglio, del filo saudita Ahmad Jarba a presidente della Coalizione Nazionale Siriana, organismo che raccoglie gran parte dei movimenti anti-Assad. L’altro candidato giunto al ballottaggio, l'uomo d'affari Mustafa Sabbagh, era sostenuto dal Qatar a dimostrazione di come l’insurrezione siriana sia ormai nelle mani politiche e militari degli islamisti e dei loro sponsor del Golfo Persico. Non a caso due giorni dopo si è dimesso il Primo ministro del governo varato dall'opposizione siriana, il filo statunitense Ghassan Hitto, emarginato dagli islamisti al punto tale che in quattro mesi non era riuscito a formare un governo.
A 28 mesi dall’inizio della rivolta, Bashar Assad ha oggi molti buoni motivi per essere ottimista. Sul campo di battaglia i suoi nemici si combattono tra loro mentre le sue truppe appoggiate da hezbollah libanesi e pasdaran iraniani conseguono importanti successi e si apprestano a riprendere il controllo della regione di Homs. Le difficoltà militari dei ribelli sono del resto ben evidenziate dalla richiesta di una tregua per il Ramadan avanzata dal nuovo presidente della Coalizione alla quale Damasco non ha neppure risposto.