Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Leonardo da Porto Maurizio a cura di Ermes Dovico

IL CASO

E ora i gesuiti Usa chiedono le nozze per i sacerdoti

É tempo che i sacerdoti cattolici abbiano la possibilità di sposarsi. A dirlo è stato il padre gesuita Michael J. Garanzini, cancelliere della prestigiosa Loyola University di Chicago  e – fino al 30 giugno scorso – presidente della stessa. Il cancelleriere è convinto che la questione sarà posta  in occasione del Sinodo sulla famiglia. 

Ecclesia 03_09_2015
Il padre gesuita Michael J. Garanzini

É tempo che i sacerdoti cattolici abbiano la possibilità di sposarsi. A dirlo è stato il padre gesuita Michael J. Garanzini, cancelliere della prestigiosa Loyola University di Chicago  e – fino al 30 giugno scorso – presidente della stessa, in una conversazione con il settimanale Crain’s Chicago Business. «Sarebbe salutare, e poi vedo che papa Francesco sta aprendo i sentieri per la discussione», ha aggiunto Garanzini, convinto che la questione sarà posta da più di qualcuno in occasione dell’ormai imminente Sinodo ordinario sulla famiglia, a Roma. 

Il cancelliere dell’ateneo gesuita si riferisce in particolare all’Inghilterra, «dove ci sono diversi vescovi che hanno dichiarato di essere intenzionati a sollevare l’argomento», anche perché ci sono già «preti anglicani sposati che sono transitati alla Chiesa cattolica», continuando a celebrare messa. Le dichiarazioni cui si riferisce padre Garanzini sono quelle dell'attuale vescovo di Liverpool (la diocesi più cattolica d'Inghilterra), il domenicano Malcolm Patrick McMahon, che nel 2008 si schierò contro la regola del celibato sacerdotale e, soprattutto, quelle del cardinale Cormac Murphy-O'Connor, arcivescovo emerito di Westminster. Alla vigilia dello scorso Sinodo, il cardinale O'Connor disse infatti alla Bbc che, «pur essendo il celibato un grande dono per la Chiesa, se io fossi un vescovo di una diocesi con pochissimi preti, chiederei il permesso a Roma di ordinare uomini sposati»

A giudizio dell’ex presidente della Loyola University, «è ovvio che un prete con moglie lavora in modo altrettanto efficace (o forse in maniera più efficace) di un prete senza moglie». Non ci sono dubbi, secondo Garanzini, che «Papa Francesco chiederà di discutere l’argomento». In futuro, insomma, «ci sarà sempre un ruolo per il clero celibe, ma ci sarà probabilmente un’apertura al clero non celibe o sposato”». Il cancelliere dell’ateno dell’Illinois (i cui studenti ammontano a circa sedicimila) da tempo sostiene la necessità di rivedere quella che lo stesso Pontefice ha definito non un dogma, ma solo una «legge vigente nella Chiesa occidentale», ma era convinto che l’argomento non sarebbe stato portato così presto all’ordine del giorno: «Dicevo che ci sarebbe stato un cambiamento, ma probabilmente dopo la mia morte». Poi è arrivato Francesco e tutto è cambiato, anche perché «non mi sarei atteso che una proposta del genere fosse stata presentata dai Papi precedenti». Forse, il cancelliere ha in mente il piccolo giallo che risale allo scorso febbraio quando, durante l’incontro con il clero romano, a precisa domanda sull’ammissione alla celebrazione della messa per i sacerdoti sposati (dopo aver ottenuto la dispensa), il Pontefice avrebbe detto che la questione «è nella mia agenda». Frase smentita da molti tra i presenti, secondo i quali Francesco avrebbe solamente asserito di avere chiaro il problema.

A ogni modo, oltre all’esempio anglicano, si guarda ancora una volta alla realtà ortodossa (le cui prassi, però, hanno stentato a far breccia già nel Sinodo straordinario del 2014), dove «i preti possono sposarsi prima di essere ordinati sacerdoti». Tutti esempi che portano padre Garanzini a sostenere che «non ci sono grandi ostacoli», basterebbe avere solo un po’ più di «pensiero aperto». A favorire la discussione sul tema, secondo il cancelliere, c’è anche l’enorme scandalo relativo agli abusi sessuali sui minori da parte del clero, particolarmente sentito negli Stati Uniti. Ci sono stati cambiamenti positivi rispetto a qualche anno fa, e tra questi c’è una maggiore trasparenza a riguardo la salute fisica e psicologica del sacerdote. In secondo luogo, tra le «cose buone», c’è la constatazione che «la gerarchia» ha compreso la necessità di essere più «aperti nell’ammettere i problemi e gli errori che succedono, e che noi non siamo sopra la legge. Questi due aspetti sono un diretto risultato dello scandalo».