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EDITORIALE

E la grande stampa racconta il Papa che vuole

Tutti i titoli dei siti dei principali quotidiani titolano sulla "denuncia della corruzione" chiesta dal Papa ai vescovi italiani. Nessun riferimento invece all'azione chiesta contro la teoria del gender; né si è dato spazio alle parole forti sulla responsabilità dei laici nella società senza l'ombra dei vescovi-piloti.

Editoriali 19_05_2015
Giornali

«Il Papa ai vescovi: denunciate la corruzione che in Italia impoverisce senza vergogna» (Corriere della Sera); «Francesco ai vescovi italiani: denunciare la corruzione» (Ansa); «Papa ai vescovi: Non siate timidi o irrilevanti nel denunciare corruzione» (Repubblica); «Il Papa alla Cei: non siate timidi nel denunciare la corruzione» (Vatican Insider); «Il Papa alla Cei: andate controcorrente» (Avvenire). E si potrebbe andare avanti così, ma bastano i titoli dei principali siti online per dare l’idea di cosa passi del discorso – breve ma intenso – che papa Francesco ha rivolto ieri pomeriggio ai vescovi italiani. A suo modo è una lezione di giornalismo. A parte il quotidiano della CEI, il cui titolo può significare qualsiasi cosa, tutti gli altri puntano su un unico concetto: “denunciare la corruzione”. Il Papa come un qualsiasi giudice Borrelli degli anni ’90.

Nessuno spazio nei titoli a un altro tema forte che nel discorso è stato messo insieme al tema della corruzione: quello della teoria del gender che toglie «l’identità e la dignità umana» al popolo di Dio. Solo in qualche sommario appare il riferimento alle “colonizzazioni ideologiche” – l’espressione esatta che ha usato – ma senza spiegarne il significato, così che i lettori che hanno avuto la pazienza di leggersi i sommari in gran parte non hanno neanche capito a cosa si riferisse. Non è sorprendente: non sia mai che papa Francesco possa somigliare a Benedetto XVI e Giovanni Paolo II, che fine farebbe l’idea che è nata una «nuova Chiesa»? 

A dire il vero anche il tema della corruzione è stato distorto. Il Papa non ha affatto chiesto di denunciare ma di «sconfessare e sconfiggere una diffusa mentalità di corruzione pubblica e privata». Chiama cioè ad agire anzitutto con l’educazione, non a fare i Camusso o i Grillo della situazione.

Ma il passaggio se non più importante sicuramente il più nuovo è quello riguardo alla responsabilità dei laici, che si devono scrollare di dosso quel clericalismo che di fatto depotenzia alla radice ogni tentativo di presenza pubblica. Quante volte abbiamo visto politici cattolici o responsabili di associazioni aspettare l’input dei vescovi per muoversi, o non muoversi perché quel tal vescovo che è responsabile di quella tal pastorale «non ci sostiene». E come non notare che – caso tutto italiano – le più importanti associazioni sociali italiane (dal Forum delle Famiglie in giù) sono nate o sono diventate emanazione del vertice dell’episcopato, e con questo si sono condannate all’irrilevanza nella società italiana? Per non parlare poi della stampa cattolica ufficialmente legata alla Conferenza Episcopale, che recentemente ha visto ancora di più accentuarsi l’aspetto clericale, con il segretario della CEI che addirittura ha avocato a sé il compito di stendere il piano editoriale.

È quindi importante che questo breve discorso sia valorizzato in tutti i suoi aspetti, soprattutto quelli meno scontati: ne potrebbe nascere un terremoto nella Chiesa italiana.