IMMIGRAZIONE
E la Germania benedice la Turchia
Lo scrittore Ralph Giordano accusa
il presidente tedesco Christian Wulff
di nascondere i seri problemi posti
al Paese dall'integrazione turca.
Attualità
27_09_2011
Il 31 ottobre 1961 Germania Federale e Turchia firmarono a Bad Godesberg il trattato d’ingaggio che avrebbe regolato l’impiego sul suolo tedesco di lavoratori provenienti dalla nazione euroasiatica. S’avvicina dunque la ricorrenza dei 50 anni e da entrambe le parti s’intende cogliere l’occasione per capire quali siano le condizioni attuali e le prospettive della comunità turca in Germania (il cui numero, comprendendo i nati in Germania, raggiunge ormai i 2.5 milioni).
È superfluo aggiungere che a questo tema si sovrappone inevitabilmente quello dell’opportunità o meno che la Turchia faccia il proprio ingresso nella Comunità Europea. Tra le mosse pensate dalle diplomazie dei due paesi per la ricorrenza del trattato c’è stata la recente visita del presidente turco Abdullah Gül a Berlino (dal 19 al 22 settembre), dove ha incontrato tra gli altri il presidente federale Christian Wulff (nella foto). Una visita importante, preceduta e accompagnata da polemiche, che tuttavia, visto l’immediatamente successivo arrivo di Benedetto XVI nella capitale tedesca, ha finito col passare in secondo piano.
Appena due giorni prima della partenza da Ankara Gül non aveva esitato a criticare la politica d'immigrazione tedesca, sostenendo in un'intervista alla ZDF che il sistema giuridico tedesco viola i diritti umani: ''Credo che questa politica sia ingiusta'', ha detto. Arrivato a Berlino, dove ha potuto parlare dal pulpito dell’università Humboldt, ha poi criticato l’obbligatorietà dei corsi di tedesco per i turchi che formino famiglia in Germania, definendola una “violazione dei diritti umani”. Va detto che non è la prima volta che un leader politico turco sfrutta l’ospitalità che gli viene offerta per rimarcare la presenza dei propri connazionali in terra tedesca come una di quelle “società parallele” che a tutto aspirano, fuorché all’integrazione.
Incise nella storia sono in particolare alcune affermazioni fatte dal primo ministro turco Recep Tayyib Erdogan: il 10 febbraio 2008, a Colonia, disse che “l’assimilazione è un crimine contro l’umanità”, mentre il 28 novembre 2010, a Düsseldorf, di fronte ad un auditorium di connazionali residenti in Germania particolarmente eccitati se ne uscì con le parole “Io sono il vostro Presidente!”. A fare infiammare il dibattito in Germania sulla bontà o meno della politica migratoria tedesca è stato un anno fa il socialdemocratico ed ex banchiere Thilo Sarrazin (il suo libro La Germania distrugge se stessa ha venduto 1.200.000 copie).
Ora, con l’occasione della visita del presidente Gül, a rilanciare il tema è stato l’ottantottenne scrittore Ralph Giordano. Già un paio d’anni fa non ebbe timore di denunciare il fallimento dell’integrazione musulmana in Germania, parlando esplicitamente dell’esistenza di quella “società parallela” come di una “spina costante nel corpo della democrazia”. Seguì poi la battaglia, alla fine perduta, contro l’edificazione della grande moschea di Colonia, voluta e pagata dalla Ditib, un’organizzazione di musulmani sostenuti dallo stato turco. Ora Giordano è tornato all’attacco ed ha scritto una lettera aperta a Christian Wulff (pubblicata da “Welt” il 20 settembre), dove i toni, anche nei confronti del presidente tedesco, sono piuttosto duri. In un’intervista rilasciata alla Süddeutsch Zeitung alcuni giorni prima dell’arrivo di Gül Wulff aveva detto che “la Turchia è un esempio del fatto che islam e democrazia, islam e stato di diritto, islam e pluralismo non devono essere in alcun modo in contraddizione”. “Questa frase”, ha commentato Giordano, “tradisce una così sviante non conoscenza della realtà, una tale equiparazione tra l’islam realmente esistente e un altro che dovrebbe essere conforme all’Unione Europea da lasciare senza parole”.
Dopo aver ricordato la “errata tesi storica” formulata dallo stesso presidente tedesco il 3 ottobre 2010 , secondo la quale “non solo il cristianesimo e l’ebraismo, anche l’islam appartiene alla Germania”, l’anziano ma tutt’altro che remissivo scrittore chiede a Wulff come mai nei suoi commenti al complesso tema dell’integrazione manchi sempre un qualsiasi accenno critico rispetto alla situazione reale: “Perché Lei”, ha scritto Giordano, “non si pronuncia contro gli argomenti del Political Correctness? Oggi viene definito razzista chi critica l’islam, chi si chiede perché i suicidi tra le giovani musulmane siano cinque volte superiori rispetto a quelli tra donne che non abbiano un retroterra migratorio. Viene detto xenofobo chi si domanda se il velo portato dalle dodicenni sia un segno di autodeterminazione religiosa oppure un’imposizione voluta dai genitori, un nemico degli stranieri chi si stupisce di fronte alle cifre che indicano la violenza che viene praticata sulla donne all’interno di coppie musulmane. Di tutto questo, signor Presidente, nei Suoi discorsi non ho mai sentito far cenno […] non sento in Lei alcuna vicinanza a donne musulmane critiche come Nekla Kelek, Seyran Ates, Minah Ahadi o Ayaan Hirsi Ali”.
In conclusione di lettera Giordano, che è ebreo-tedesco-italiano sopravvissuto ai lager nazisti, non può fare a meno di mettere a confronto la propria esperienza personale passata con quella più recente: “Io sono stato minacciato per tutto l’arco della mia vita e tuttavia gli appunti fanatici che mi sono arrivati da parte musulmana dal momento in cui ho manifestato la mia critica alla costruzione della grande moschea di Colonia sono capaci d’impressionare anche un uomo come me, così abituato al terrore. Ma questo non mi impedirà di continuare a stare dalla parte di coloro che hanno posizioni critiche tra i musulmani e le musulmane. Mi sostiene il fatto che dopo le esperienze fatte con la Germania hitleriana esiste una sola forma di società nella quale mi sento al sicuro: la repubblica democratica. Chiunque la minacci, sia esso musulmano, cristiano o ateo mi avrà di certo tra i piedi”.