È il momento dell'orgoglio catto-gay
Il Forum dei cristiani Lgbt ad Albano Laziale è solo uno degli episodi di questi giorni che promuovono l'agenda gay nella Chiesa, ma è particolarmente significativo per le sue implicazioni. Ci vorrebbe un intervento magisteriale autorevole per chiarire il giudizio sull'omosessualità, ma non c'è segno che questo possa avvenire. Tutt'altro.
Sarà pure una coincidenza, ma sembra che in occasione del Sinodo dei giovani si sia abbattuto sulla Chiesa uno tsunami gay. Solo per stare alle ultime ore: ad Albano Laziale è in corso di svolgimento il Forum dei cristiani Lgbt, sponsorizzato dal vescovo Marcello Semeraro, che è anche segretario del C9, il collegio dei nove cardinali che affiancano il Papa nel ridisegnare la Curia Romana. Contemporaneamente a Bari viene annunciato per il 13 ottobre un convegno su “Fede cristiana e omobitransessualità”, una giornata voluta dalle solite associazioni Lgbt cristiane, nella parrocchia di San Sabino, con previsto il saluto del vescovo Francesco Cacucci. Per oggi è poi annunciata la presentazione dei risultati di un sondaggio, fatto su scala mondiale, sul ruolo della Chiesa cattolica nei confronti delle persone Lgbt (intervengono i “cattolici” Monica Cirinnà e Nichi Vendola). E ancora: il vicario generale della diocesi di Monaco di Baviera, Peter Beer, ha dichiarato pubblicamente che l'arcidiocesi ha «preti omosessuali e dipendenti omosessuali», aggiungendo che «rendono un servizio importante e buono».
Saranno coincidenze, come dicevamo, però anche questo fa “clima culturale” mentre al Sinodo, come sappiamo, ha tenuto banco in questi primi giorni la questione del linguaggio Lgbt inserito nell’Instrumentum Laboris.
Insomma è chiaro che da Monaco a Bari, passando per Roma, c’è una forte spinta alla legittimazione dell’omosessualità, soprattutto nella sua versione ideologizzata e militante. Sappiamo infatti che usare il linguaggio Lgbt significa appunto sposare la rivendicazione di un orgoglio gay, la pretesa di una presunta normalità di qualsiasi orientamento sessuale. Per questo il movimento gay ci tiene molto al riconoscimento della Chiesa: si ripete quanto accaduto per la battaglia del matrimonio fra persone dello stesso sesso. Come dimostrano i numeri, quello che interessa non è lo sposarsi, ma il diritto a sposarsi perché così la società, lo Stato, riconosce la normalità di un certo stato di vita. Lo stesso vale per la Chiesa: il problema non è la fede in Dio, ma il riconoscimento di una condizione di vita. È la battaglia decisiva, perché la Chiesa cattolica rimane ormai l’ultimo bastione da conquistare, l’unica realtà che – essendo voluta da Dio – ci ricorda che «all’inizio non fu così»; che il progetto creatore di Dio prevede «maschio e femmina», destinati a completarsi; che l’omosessualità è un dis-ordine, cioè non conforme all’ordine creato da Dio.
Per questo è inquietante ciò che molti prelati stanno facendo non solo dal punto di vista morale personale (il che vista l’estensione del fenomeno è già inquietante), ma soprattutto per «cambiare le cose» nella Chiesa, per «aggiornare» la dottrina, per dettare legge a Dio che, evidentemente, al momento della Creazione si era sbagliato. Risulta perciò particolarmente grave, fra le varie iniziative e dichiarazioni citate in apertura, quanto accade ad Albano Laziale e che ci viene puntualmente riferito con grande evidenza da Avvenire. Qui infatti a sponsorizzare il “Forum nazionale dei cristiani Lgbt” non è un vescovo qualunque, ma monsignor Marcello Semeraro che, oltre ad essere il presidente della società editrice di Avvenire, è anche uomo di fiducia di papa Francesco, tanto da essere stato chiamato come segretario del C9. Semeraro, ci racconta un entusiastico Avvenire che vede avvicinarsi la meta dopo un lungo cammino, ha aperto i lavori con un «lungo, caloroso intervento». E il sempre presente “inviato sul fronte Lgbt” Luciano Moia ci racconta commosso tutti gli sforzi per far cambiare nella Chiesa la comprensione dell’omosessualità, finora impedita da una «sessuofobia introiettata».
Si tratta di linguaggio e obiettivi che ormai non dovrebbero più sorprendere quanti seguono l’evoluzione di Avvenire, ma anche i più restii a riconoscere la realtà devono arrendersi al fatto che la Conferenza Episcopale Italiana – di cui Avvenire è organo - si è schierata ormai apertamente, e non da oggi, a fianco della militanza catto-gay. Certo in privato non tutti i vescovi italiani la pensano così, anzi; ma in pubblico le voci di dissenso sono così flebili da non raggiungere le orecchie dei fedeli.
E così nel popolo cattolico si instilla un veleno che porta fino a considerare la ribellione al progetto di Dio (Benedetto XVI dixit) un “dovere” per i buoni cattolici. Come accade? Intanto corrompendo il linguaggio. Vedi la parola accoglienza, propinata così generosamente. Anche la pagina di Avvenire dedicata al Forum di Albano Laziale trasuda accoglienza da tutti i pori. Ma questa parola ormai non indica più il desiderio di abbracciare ogni persona per amore di Cristo, e perché possa incontrare o tornare a Dio; niente a che vedere con la figura del padre misericordioso che corre incontro al figlio che torna a casa pentito di essersi allontanato dal padre ed essersi perso in una vita dissoluta. No, qui accoglienza significa legittimare uno stile di vita, un comportamento morale che la Chiesa ha sempre considerato gravemente peccaminoso. Tanto che si chiede con forza un cambiamento della teologia morale e anche dell’esegesi biblica (sennò come si fa a conciliare l’orgoglio gay con Sodoma e San Paolo?).
Malgrado le apparenze non ci si fa carico delle ferite e delle sofferenze delle persone che sperimentano un’attrazione verso persone dello stesso sesso, e dei loro familiari, ma si pensa di curare le ferite e le sofferenze facendo finta che tutto sia normale, che vada bene così. Basta che la comunità parrocchiale sia accogliente e permetta alle persone che vivono una vita omosessuale di insegnare catechismo, di fare i lettori, di servire all’altare e magari di essere benedetti nelle loro unioni, e tutto si risolve. Questo passa come il farsi carico delle sofferenze, invece è proprio la normalizzazione e la legittimazione dell’omosessualità che impedisce che la sofferenza per una certa condizione venga espressa.
E si potrebbe continuare con gli esempi di questo rovesciamento del linguaggio.
Ciò che risulta chiaro è che nella Chiesa questo processo di ribaltamento della Parola di Dio è molto avanzato. E al momento non è neanche necessario che si ponga mano al Catechismo per cambiarlo, sebbene anche questo sia un obiettivo; per ora basta che chi ha l’autorità magisteriale non intervenga, non chiarisca il giudizio sull’omosessualità. Perché il problema è tutto qui: come giudicare l’omosessualità. Ci sarebbe bisogno di un intervento magisteriale autorevole che ribadisca e spieghi ciò che la Chiesa ha sempre creduto, ma non c’è traccia di questa volontà. Anzi, si pongono gesti che vanno proprio in senso contrario.