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DIRITTO ALLA VITA

È il boom dell'aborto fai da te

Il 25% delle donne che abortiscono entro le 7 settimane di gravidanza ricorre al RU486. 6.700 confezioni
nei primi 11 mesi dell'anno.

Attualità 06_12_2011
pillola abortiva

La RU486 gode di ottima salute. La Nordic Pharma, azienda che produce questo preparato abortivo, ci informa che quasi una donna su quattro che decide di sopprimere il proprio bambino prima delle sette settimane usa questa pillola. Circa 6.700 sono le confezioni vendute in Italia nel solo periodo gennaio-novembre 2011. Da quando è stato dato il via libera alla commercializzazione nell’aprile 2010 il numero di confezioni acquistate dagli ospedali tocca la soglia di 11.000, ma l’azienda si dice fiduciosa: a Natale possiamo arrivare a 12.300. Un bel record che cadrà proprio nella festa che celebra una Natività.

La massima diffusione del preparato – che farmaco non è, dato che non cura proprio un bel niente – lo abbiamo in Piemonte, Puglia, Liguria e Toscana dove non è previsto il ricovero ospedaliero. Circa due terzi del totale. Lazio e Lombardia sono il fanalino di coda proprio perché, nel rispetto della legge 194, prevedono il ricovero. Marco Durini, Medical Director della Nordic Pharma, parla di “ritardo” e pare quasi scandalizzato quando ricorda che queste regioni “insieme contano oltre un terzo di tutti gli aborti nazionali secondo la legge 194”. Che contraddizione: laddove c’è più domanda c’è meno business. Durini lo ammette candidamente: “A incidere è il protocollo che prevede il ricovero completo della paziente per tre giorni, difficilmente sostenibile per costi e spazi da molti ospedali”. Insomma: il problema non è l’aborto in sé, nemmeno i divieti posti dalla legge, che non permettono di abortire a casa per salvaguardare la salute della donna, bensì le spese da sostenere che sono un freno agli introiti.


Infine vi sono regioni in cui quasi non si compra la pillola: dalle Marche e dalla Basilicata che ne sono sprovviste alla Calabria che ne ha in magazzino “solo” 60 confezioni. Queste “regioni hanno comprato qualche scatola per essere in regola”, chiosa con malcelato disappunto Durini. Ma di quali regole stiamo parlando? La regola del mercato che se il cliente – così lo definisce Durini – chiede di abortire con la RU486 tu ospedale gliela devi dare. E’ questione di domanda e di offerta, ma in questo caso, a differenza del libero mercato, gli ospedali sono obbligati – in nome di una “regola” giuridica – a fornire il preparato di morte a chi ne fa richiesta.


Questa ennesima puntata della saga di morte sulla RU486 ci spinge a fare un paio di riflessioni. La prima attiene alle tappe del processo culturale pro-aborto. Negli anni della contestazione si è diffusa con successo una mentalità prima contraccettiva e poi anti-familiare (vedi divorzio) per preparare il terreno all’aborto. L’ideologia abortista ha quindi creato le condizioni perché si arrivasse alla sentenza della corte Costituzionale n. 27/75 che depenalizzava in parte l’aborto e poi, grazie all’avvallo del governo democristiano di allora, alla legge 194. Questa legge del Parlamento a sua volta è stata la premessa per la liberalizzazione di ogni tecnica abortiva o potenzialmente abortiva: Ru486, pillola del giorno dopo ed EllaOne. Da una rivoluzione culturale, passando alla depenalizzazione giuridica, siamo approdati al liberalismo tecnologico. O per dirla in altri termini più sociologici, da esigenza di uno sparuto gruppo di femministe e ideologi di stampo radicale oggi l’aborto è fenomeno diffuso e completamente assorbito nel sentito popolare.

Seconda riflessione: siamo in pieno menefreghismo fascista. Poco importa che la legge imponga agli ospedali che tutto l’iter abortivo si svolga nelle cliniche, noi medici facciamo altro.  Ma il “me ne frego” riguarda anche i giudici: pensiamo al caso Eluana, a quei tribunali che permettono la selezione embrionale in barba alla legge 40 sulla fecondazione artificiale. Riguarda anche gli amministratori locali: poniamo mente all’istituzione in molti comuni italiani dei registri per la raccolta dei testamenti biologici, incostituzionali e in contrasto con un decreto legislativo (n. 267/2000) e una nota che il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali emise appositamente nel novembre del 2010 per vietarli. Ed ovviamente nessuno di questi signori ha mai pagato e mai pagherà per non aver rispettato la legge.

Chi voleva decenni or sono la liberalizzazione dell’aborto puntava alla sua legalizzazione, conscio però che questa era solo una tappa. Ora il riferimento normativo pare quasi superato dalla prassi, ce lo siamo lasciati alle spalle. Si mira all’anarchismo abortivo ma sotto l’egida della legge. Liberi di fare tutto quello che si vuole proprio perché c’è una legge che te lo permette. Una perfetta contraddizione in termini, se ci pensiamo bene, ma efficace nei risultati: si agisce contra legem, si diffonde una certa prassi e poi si chiede la benedizione dello Stato, un condono abortivo postumo.

Ammettiamolo: siamo ostaggi di pochi che contano e contano più delle norme dello Stato. I dotti li chiamano tecnocrati. Davvero pochi se li confrontiamo al numero impressionante di medici che fanno obiezione sull’aborto: la stragrande maggioranza. Ma, si sa, nel Cavallo di Troia che espugnò quella città si nascosero una manciata di soldati greci però assai valorosi e scaltri, un numero sufficiente per mettere a ferro e fuoco Troia.


Terza e ultima riflessione. Ormai il focus dell’attenzione pubblica sulla questione dell’aborto non riguarda più chi è favore di questa pratica versus chi è contrario. Lo spartiacque non è nemmeno più tra chi vuole l’aborto in ospedale perché sicuro per la salute della madre e chi lo vuole a domicilio perché, mentendo, sostiene che così è meno traumatico per la donna. Le due barricate ormai si stanno fronteggiando su questioni di spesa pubblica: il ricovero pesa sulle tasche dei contribuenti. L’aborto torna ad essere fatto privato, altro che socializzare il dramma dell’aborto togliendolo dal clandestino come berciavano le femministe negli anni Settanta. Quindi che si risolva tutto questo fattaccio tra le proprie pareti di casa senza chiedere soldi alla collettività. Siamo alla ragioneria spicciola. Così le vendite aumenteranno, gli ospedali risparmieranno e avranno più letti liberi a disposizione, le case farmaceutiche vedranno crescere gli utili, le donne potranno abortire con sempre più facilità, e i bambini nel ventre della propria madre moriranno sempre più.


E sì, perché il grande assente di tutta questa vicenda rimane lui: il bambino. Il pensiero di lui è stato rimosso da tempo, sommerso dal vociare di infinite querelle su aborto sicuro/insicuro. Dimentichi del fatto che per lui l’aborto è e sempre sarà di sicuro letale.