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DIRITTI

É Forza Gay il nuovo partito di Berlusconi?

Forza Italia o Forza Gay? Il dubbio era già serpeggiato durante l’estate e in tanti si erano fatti la domanda: ma Berlusconi ci è o ci fa? Oggi, dopo il diktat del ministro Alfano sul registro dei matrimoni gay, non ci sono più dubbi: Silvio ci fa, eccome se ci fa. Ne sa qualcosa Mara Carfagna...

Editoriali 09_10_2014
Mara Carfagna

Forza Italia o Forza Gay? Il dubbio era già serpeggiato durante l’estate e in tanti si erano fatti la domanda: ma Berlusconi ci è o ci fa? Oggi, dopo il diktat del ministro Alfano sul registro dei matrimoni gay (clicca qui) e le dichiarazioni dei capataz del fu partito delle libertà, non ci sono più dubbi: Silvio ci fa, eccome se ci fa. Fino al punto di mettere la fida Mara Carfagna a capo del neonato Dipartimento dei Diritti Civili di Forza Italia, una sorta di lib-lab, laboratorio di idee e proposte made in Arcore. Pure la sede, suggeriamo, potrebbe trovare ospitalità in una delle cento stanze della villa brianzola, magari nelle tavernetta ormai vuota e orfana dei notturni happening del bunga bunga. Tanto, le donne deputate del Dipartimento sono grosso modo le stesse che frequentavano quella serate. 

Vabbè, manca la Minetti, tornata all’esercizio dell’antica professione (igienista mentale) ma ci sarà sicuramente la Brambilla, l’animalista (pesci esclusi) di fiducia del trio Silvio-Dudù-Pascale.  Anche sul caso Alfano, la Michela Vittoria, in qualità di responsabile degli Affari Sociali (?) del partito non ha perso l’occasione per farsi notare dal capo, dicendosi «pronta ad impegnarsi per colmare il vuoto normativo che ancora consente al governo Renzi per bocca del ministro Alfano di opporre anacronistici veti e dimostrare ancora una volta di non essere in sintonia con il Paese e il Parlamento». Dagli allevamenti di beagle, dove la Brambilla faceva l’indignata lady anti vivisezione, ai Gay Pride il passo è breve. Sempre di diritti si tratta e poi fare il verso al doberman e vestirsi da drag queen sono modi molto trendy per essere “in sintonia con il Paese e il Parlamento”. 

Berlusconi ci fa, e presto avremo una bella legge per i matrimoni omosessuali e i diritti Lgbt firmata dalle premiéres dames del recinto berlusconiano: Brambilla, Prestigiacomo, Biancofiore, Gelmini e Carfagna. Sarà l’ex ministra alle Pari Opportunità la guida e la mente del Dipartimento e già questo dice tutto. Delle cose fatte quando la bella Mara era al governo, non ne parleranno certo i libri di storia, ma anche le cronache faticano a ricordarsele. Fu la principale promotrice della legge che ha introdotto il reato di stalking e insieme ad Anna Paola Concia, leader del movimento delle lesbiche italiane, ideò la campagna contro l'omofobia e la violenza basata sull'orientamento sessuale. E nel Pdl fu la prima a schierarsi a favore delle coppie gay. Insomma, le sue carte sono belle e tutte in regola per il lavoro che l’attende.

E dire che gli inizi della carriera politica dell’ex «calendarista sexy, prodotto della mignottocrazia berlusconiana», come definì la Carfagna il suo ex compagno di partito, il senatore Paolo Guzzanti, non furono tutte lesbo e gay. Anzi. Guzzanti, poi, si pentì di quegli attacchi e tornò docile all’ovile di Palazzo Grazioli e pure Mara stese un velo, anzi una velina, sul passato un po’ monello e frou frou che la consegnò quale sogno hard per maschi arrapati e rigorosamente eterosessuali. Da deputata (era il 2007) fece subito infuriare le associazioni Lgbt quando dichiarò che «i gay sono costituzionalmente sterili», difese «il fondamento della famiglia», disse che «per volersi bene il requisito fondamentale è poter procreare» e che dunque «non c'è nessuna ragione per la quale lo Stato debba riconoscere le coppie omosessuali». Parole sante, che scatenarono l’ira dell’allora rifondarola Vladimir Luxuria che la gelò così: «Non mi sento di prendere lezioni da chi crede di difendere la famiglia e intanto ne sta sfasciando una, quella di Berlusconi». Leggera allusione alla sua responsabilità del divorzio con Veronica. 

Oggi Vladimiro Guadagno, alias Luxuria, è grande amica(o) della redenta Mara, così come lo sono Anna Concia, Franco Grillini e tutta compagnia arcobaleno. Già, perché non appena fu ministra, la Carfagna si riconvertì e diede anima e corpo (look da monachella, tailleur da impiegata in Vaticano e mai più decolté) alla causa gay e lesbo. La via di Damasco fu per lei l’incontro al Quirinale (era il maggio del 2008) quando Napolitano, per celebrare la Giornata contro l’omofobia, invitò tutte le associazioni omosessuali: Arcigay, Arcilesbica, Circolo Mario Mieli, Di gay project, Mit, Agedo, Famiglie Arcobaleno, I-kan, Rete Lenford, Gaylib. Non era mai successo. Lì, Mara tirò fuori il foglietto e fece un discorso memorabile: chiese scusa per le offese lanciate due anni prima ai gay e poi per aver negato da ministro il patrocinio al Gay Pride romano, fece il mea culpa ammettendo di «essere stata guidata da un pregiudizio». Paola Concia si era già asciugata le lacrime, mentre Mara la ringraziava «per avermi aiutata a sfondare il muro della diffidenza della quale penso di essere stata allo stesso tempo vittima e inconsapevole responsabile, in un passato remoto, ormai ampiamente superato». Alla fine baci e abbracci sotto lo sguardo commosso di un Napolitano in doppio petto arcobaleno. 

Dal Quirinale in poi, la leadership di Mara della destra gay non è più stata messa in discussione. Neppure dalla sinistra, la stessa che pochi anni prima la beffeggiava e insultava come la favorita dell’harem del sultano Berlusconi.  La defunta Unità, lo scorso anno, scriveva che nel «partito azzurro le voci liberal di prestigio sono Mara Carfagna e Stefania Prestigiacomo», Cecchi Paone la indicava a tutti come “icona gay”. Ma la vera consacrazione, la signora l’ebbe quando ricevette la visita di Stuart Milk, consigliere di Obana per i diritti gay e nipote di Harvey, primo martire del movimento gay Usa. Il tipo dichiarò ai giornali che «la ministra Carfagna ha avuto il coraggio di cambiare idea, come Obama in America proprio sulla questione del matrimonio gay» e la consigliò di «concentrarsi sui giovani, perché il movimento lgbt è fatto soprattutto di persone giovani che sono il futuro del mondo». Infine, la consegna del premio al merito (gay): l’onorificenza del sindaco di San Francisco datale da Nancy Pelosi.

Scandalo? Macché, tanto di cappello alla signora Carfagna, perfino ammirevole per capacità, pazienza e tenacia nel rovesciare il tavolo del dejà-vu politico e riaccreditarsi sotto altre specie e in altri territori. Del resto, se pure il centrodestra ha bisogno di pescare consensi in quel mondo, per strapparlo alla sinistra, beh, che si accomodi. Faccia Dipartimenti, promuova dibattiti, proponga leggi, promuova diritti così come vuole il nuovo gender pensiero.  Vedremo come l’ex Cavaliere saprà indorare la pillola per farla ingoiare al suo elettorato cattolico. Che per il momento è costretto, un giorno sì e l’altro pure, a sopportare i coccodè della fidanzatina di Arcore. Ma che volete, questo è catalogo, questa è la Forza Italia dei nuovi diritti, della doppia tessera con l’Arcigay e delle serate al Gay Village. Dove a capo del “cerchio magico” c’è un’ex valletta che giudica, promuove o infama dentro e fuori il partito. E si permette di insultare i ministri con il silenzio-assenso dei capoccia forzisti.  «Alfano è un perdente di successo, sfrutta la religione cristiana subdolamente», ha dichiarato la first lady alle agenzie. 

Massì, lo sanno tutti che madame di religione è espertissima, ne sa abbastanza per bacchettare anche il Papa. Anzi, Papa Francesco no, perché, dice la Pascale, rovescerà il punto di vista della Chiesa anche sui matrimoni gay e i diritti degli omosessuali. E guarda un po’ se con un Papa così aperto e comprensivo, uno come Alfano si può permettere di dichiarare fuori legge le unioni omo e lesbo. Il predicozzo viene da Giovanni Toti, altro pezzo da novanta della scuderia Berlusconi. Si dice umiliato, il tipo, dall'iniziativa di Alfano perché «non possiamo certo rimanere un passo indietro rispetto al Sinodo e al Papa». Toti è consigliere politico di Berlusconi, era direttore del Tg4 ma qui si improvvisa pure teologo, alla Mancuso, s'intende. Avanti così e questi delfini in cerca di un acquario presto scriveranno sulle loro bandiere: "Papa mit uns", il Papa è con noi. Come quei tipi che camminavano con il passo dell'oca. Cari cattolici, non c’è più religione e anche l’Uomo della Provvidenza non è più il Silvio di una volta. Ci resta la papessa Pascale: lei sì che è Francesca.