E anche Delpini si unisce alla festa islamica
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La Cei, Avvenire, e da ultimo l'arcivescovo di Milano: tutti a plaudire alla scuola di Pioltello che chiude per la festa di fine Ramadan. Una posizione fintamente ecumenica, in realtà un po' vigliacca, perché l'islam è percepito forte e pericoloso. E così si favorisce il suo radicamento istituzionale.
Mancava solo lui, l'arcivescovo Mario Delpini. Ed è puntualmente arrivato a completare il coro cattolico di approvazione per la decisione del preside della scuola di Pioltello che ha deciso di non far svolgere le lezioni il 10 aprile: il 40% degli studenti è islamico e quel giorno festeggia la fine del Ramadan. L’arcivescovo di Milano, dunque, non ha potuto esimersi dal plaudire l’iniziativa del preside di Pioltello, minimizzando il no dell’Ufficio scolastico regionale («avranno i loro motivi») e del ministro Valditara.
Rispondendo alle domande dei giornalisti ha rimandato alla presa di posizione del responsabile del Servizio per l’Ecumenismo e il Dialogo della diocesi, il diacono Roberto Pagani, che ha parlato di una «lettura della realtà più che adeguata», considerata la massiccia presenza di islamici nella scuola e nel comune di Pioltello. Anche il responsabile scuola della diocesi, don Fabio Landi, aveva fatto la sua parte: «Provvedimento non solo assolutamente normale, ma addirittura auspicabile». E ancora in una intervista al Giorno: «Rispettare la festa dei musulmani è un modo per capire l’altro»; «In fondo si interrompono le lezioni anche per carnevale…»; «le scuole tengono in considerazione le settimane bianche, figuriamoci un appuntamento come questo. È un ottimo esempio davanti a una realtà complessa, se usciamo dalla logica di conquista e ci mettiamo in quella dell'incontro»; «il dirigente ha fatto bene. I bambini sono curiosi, vogliono sapere perché l'altro festeggia e come, percepiscono la divisione molto meno degli adulti».
E c’è da dire che anche il segretario generale della CEI, monsignor Giuseppe Baturi, ha plaudito all’iniziativa: «La necessità del rispetto del fatto religioso e dell’identità delle comunità religiose, da parte dello Stato, - ha detto ai giornalisti - è un fatto positivo, appartiene alla laicità tipica dello Stato italiano». E ovviamente anche Avvenire era saltata subito sul carro dell’iniziativa.
C’è una buona dose di ignoranza, di incompetenza e di confusione in questo entusiasmo del clero per la festa del Ramadan. Basta confrontare le succitate informazioni con le questioni poste da Stefano Fontana nell’articolo che la Bussola ha già dedicato alla vicenda di Pioltello. Non staremo dunque a ripeterci su questo.
Qui invece ci preme sottolineare un aspetto che mette in evidenza la gravità delle affermazioni dei vari leader clericali. Essi infatti vanno ben oltre le intenzioni dichiarate (magari un po’ furbescamente) dal preside di Pioltello che, peraltro, ha dalla sua parte tutto il Consiglio d’Istituto. Infatti, mentre il preside ha cercato di circoscrivere la portata della sua decisione a un fatto di semplice opportunità (il 40% degli studenti sarebbe comunque assente quel giorno), gli ecclesiastici intervenuti sono invece arrivati a proporre Pioltello come modello universale di dialogo e di convivenza tra diverse religioni.
Sicché dovremo aspettarci prossimamente che sia la Chiesa a spingere per riconoscere pubblicamente le festività islamiche, non solo a scuola. Diciamo “le” festività perché la fine del Ramadan non è certo l’unica e neanche la più importante. Ci sono una decina di feste importanti nell’islam, a cominciare dalla Festa del sacrificio, Id al-Adha, che quest’anno cade dal 16 al 20 giugno: cosa farà la diocesi di Milano, organizzerà lo sgozzamento dei capretti in oratorio, visto che cade proprio durante l’oratorio estivo?
E poi perché allora non fermare tutto per il capodanno cinese o, per stare in tema religioso, per la Pasqua ortodossa, visto che gli ortodossi in Italia sono quasi quanto gli islamici? E perché allora nulla da dire sul no alla protesta dei tifosi ebrei che non vorrebbero si giocasse il derby Milan-Inter il 22 aprile, perché è la loro Pasqua e così viene impedito loro di assistere a una partita importante?
Il punto è che questi ecclesiastici, oltre ad aver perso le ragioni della propria fede e quindi non più in grado di giustificare la prevalenza delle festività cattoliche sulle altre, hanno una spiccata tendenza alla vigliaccheria: si piegano ai musulmani perché li ritengono forti e pericolosi, e aprendo loro tutte le porte si illudono di guadagnarsi dei favori. E poi ammantano questa vigliaccheria di bei discorsi sul dialogo interreligioso.
Non si rendono conto, invece, che certe concessioni sono interpretate politicamente. Per gli islamisti è una prova, vedere fin dove ci si può spingere nella conquista dello spazio pubblico. Si pone un fatto, quindi si apre il dibattito e, come vediamo per Pioltello, si fa un altro passo nel processo di radicamento istituzionale dell’islam. Oggi si concede una festa in una scuola, domani sarà legittimo richiederlo per tutte le scuole, e non solo. Oggi vale per una festa, domani si chiederà per le altre.
È una prova, così come l’episodio avvenuto all’inizio di marzo in una scuola elementare di Pordenone, quando una bambina di 10 anni è stata mandata a scuola vestita col niqab, l’abito scuro che copre tutto il corpo e il viso, lasciando visibili solo gli occhi. La mediazione dell’insegnante ha fatto sì che dal giorno dopo la bambina si presentasse “solo” con l’hijab, il velo che copre i capelli, la stessa bambina che due giorni prima non aveva né l’uno né l’altro.
È così che pian piano l’islam occupa degli spazi e trasforma la società, mentre gli uomini di Chiesa si ritirano e invece di annunciare Cristo “opportune et importune”, pensano a negoziare degli spazi in cui sopravvivere.
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