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REPORTAGE DALLA SIRIA

Dwelaa: nella terra di San Paolo, dopo la strage dei cristiani

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La strage dei cristiani di Mar Elias, chiesa ortodossa nel sobborgo di Dwelaa (Damasco), resta come memoria di dolore e di sacrificio per gli abitanti del quartiere cristiano in cui San Paolo si convertì. Reportage dalla chiesa colpita, dove i segni dell'attentato islamico sono ancora molto evidenti. 

Libertà religiosa 04_10_2025
Mar Elias, vittime dell'attentato (foto di Elisa Gestri)

Da Damasco ci spostiamo a Dwelaa, sobborgo della capitale appena fuori dalla “porta dell’est” o “porta del sole”, Bab Sharqi. Secondo gli Atti degli Apostoli nei pressi della porta, in una casa della romana "via Recta", Saulo di Tarso si raccolse in preghiera dopo la caduta da cavallo finché non fu raggiunto da Anania. A Dwelaa, abitato parimenti da cristiani e musulmani, vive la comunità greco-ortodossa che gravita attorno alla chiesa di Mar Elias, gravemente colpita dall’attacco estremista del giugno scorso.

Nell’immediato le vittime tra i fedeli presenti alla Santa Messa furono 21 - il loro necrologio è ancora visibile sulla porta della chiesa - e i feriti 54;  nei giorni successivi, però, i decessi sono saliti a trenta secondo il sito cattolico americano Our Sunday Visitor che ha continuato a seguire la vicenda. All’arrivo nel quartiere si percepisce un’aria diversa rispetto al centro della città: in giro si vedono donne velate e donne col capo scoperto, con predominanza di queste ultime, e diversi negozi di alcolici affacciano sulla strada principale. L’area è cristiana dagli anni stessi di Cristo, ben prima della conquista islamica di Damasco del 634 ad opera di Khalid ibn al Walid. La chiesa di Mar Elias è in riparazione dai guasti dell’attentato: quando arriviamo diversi operai sono al lavoro, mentre alcuni giovani all’ingresso portano grossi fucili. Intravediamo un “abuna” (padre, così vengono indicati in medioriente i sacerdoti cristiani) che si appresta a celebrare Messa nella sala parrocchiale adibita a cappella temporanea. La diffidenza è palpabile e si intuisce chiaramente che gli estranei non sono ben accetti.

Incontriamo Thomas (nome di fantasia, ndr) un consacrato laico la cui congregazione ha casa nei pressi di Mar Elias: sarà lui ad aiutarci a ricostruire i giorni dell’attentato.

«Quel pomeriggio stavo andando con i miei confratelli a visitare degli ammalati» racconta in inglese alla Nuova Bussola Quotidiana. «Eravamo in strada, nelle vicinanze della chiesa, quando abbiamo sentito il boato. Non riuscivamo a capire da dove provenisse, né tantomeno cosa fosse successo. Poi è arrivata la polizia che ha chiuso la strada e ha fatto rientrare in casa chiunque si trovasse nei paraggi, dunque abbiamo capito che era accaduto qualcosa di grave». C’erano state avvisaglie dell’attentato? Gli chiediamo. «Una settimana prima del fatto sono passati degli uomini in macchina ad invitare a convertirsi alla religione islamica. Appena hanno sentito i megafoni, un paio di negozianti sono usciti in strada e hanno detto loro chiaramente che questo è un quartiere cristiano e che non avrebbero dovuto permettersi di venire a dare questi avvisi. Gli sconosciuti hanno risposto che, in quanto musulmani, hanno il diritto di andare ad annunciare l’islam ovunque vogliano, poi se ne sono andati. Naturalmente non sappiamo se gli autori dell’attentato fossero sempre loro, ma in ogni caso qualcuno è ritornato, e questa volta per uccidere. Nella vicenda c’è un aspetto paradossale:  gli uomini che la prima volta hanno affrontato questi estranei non sono cristiani, ma musulmani, e hanno mentito per difendere il quartiere. Anche gli altri hanno mentito, perché nulla dà loro il diritto di venire qui ad imporre la loro religione».

Percorriamo con Thomas la strada che hanno fatto gli attentatori: ci mostra la cancellata da cui sono penetrati nel cortile, e la porta laterale da cui sono entrati in chiesa. All’interno le mura spoglie dell’edificio, fino a pochi mesi fa rivestite di icone, ospitano un grande cantiere in cui una decina di operai sono intenti a lavorare. Uno di loro ci mostra i vetri mancanti, la porta centrale strappata via, la parte del soffitto saltata. Sulla voragine lasciata dall’esplosivo, sul pavimento - uno degli assalitori si è fatto esplodere in fondo alla chiesa portando con sé un fedele che cercava di disarmarlo - gli operai hanno messo provvisoriamente una tavola di legno e un pezzo di inferriata di ferro battuto. «Se fossi in loro» riflette Thomas, riferendosi alla comunità ortodossa «non ricostruirei la chiesa ma la lascerei così com’è, per testimonianza. Evidentemente hanno fatto una scelta diversa».

Usciamo da Mar Elias e proseguiamo il nostro giro fino a un grande cartellone in memoria delle vittime che è stato posizionato in una strada adiacente. Sotto le immagini dei fedeli uccisi nell’attacco, raffigurati con la palma del martirio, campeggia la bandiera della nuova Siria - «inevitabile» commenta Thomas, che ci indica i nomi e ci illustra la storia di alcune delle vittime. «I due in alto alla sinistra di Sant’Elia, in arabo Mar Elias, fanno parte della stessa famiglia, gli Bsharra. Uno dei due è l’uomo che si è sacrificato buttandosi addosso all’assalitore e impedendogli di sparare all’impazzata prima di farsi esplodere: avrebbe fatto molte più vittime altrimenti. La ragazzina con gli occhiali, in basso a sinistra, si chiamava Angie ed era di una bontà fuori dal comune; aveva quindici anni».

Ci inoltriamo tra le viuzze del quartiere dove è in corso il mercato dai colori vivaci tipico di tutte le città e i villaggi del Mediterraneo. Thomas ci indica un banco di frutta e verdura: «Il proprietario è un pover’uomo padre di un’altra delle vittime dell’attentato. Si chiamava Sihar, era una giovane mamma di due bambini che dopo la separazione era tornata a vivere con i genitori perché il marito si è risposato ed ha un’altra famiglia. Sihar lavorava a Mar Elias per poter mantenere i bambini, che ora vivono con i nonni e sono interamente sulle loro spalle». Chiediamo a Thomas se abbia partecipato al funerale delle vittime: «Sì, ed è stato il funerale più bello a cui abbia assistito. La polizia ha chiuso  la strada, alla Messa c’era tutto il quartiere. I defunti sono stati deposti dentro bare bianche e un’amichetta della piccola Angie, la ragazzina di cui le parlavo poco fa, ha ballato per lei. Indimenticabile». Chiediamo a Thomas se ha paura. «Paura no, perché abbiamo la fede. Ma preoccupazione ce n’è, tanta».