Due islam si scontrano sulle chiese e su Santa Sofia
In Pakistan due cattedrali dichiarate patrimonio nazionale e restaurate dal governo, mentre tiene banco nel mondo islamico la trasformazione in moschea di Santa Sofia, in cui avviene oggi la prima preghiera islamica. Esultanza per alcuni gruppi islamici, forti critiche dagli Emirati Arabi.
Due cattedrali di Lahore, Pakistan, saranno dichiarate patrimonio nazionale e restaurate a spese del Ministero per i diritti umani, le minoranze e l’armonia interreligiosa della provincia del Punjab e dalla World City Authority. Si tratta della cattedrale cattolica del Sacro Cuore e della cattedrale anglicana Chiesa della Resurrezione.
L’iniziativa rispecchia l’intenzione del governo di contrastare l’influenza negativa che gli integralisti islamici, potenti e agguerriti, hanno sulla popolazione e che si traduce in frequenti episodi ostili nei confronti delle minoranze etniche e religiose, in discriminazioni e violenze spesso oltre tutto tollerate dalle forze di sicurezza e dalle autorità. Per questo il Pakistan è considerato uno dei paesi in cui è più difficile vivere per un cristiano. Difendere i diritti dei cristiani può costare la vita. Nel 2011 il governatore del Punjab, Salman Taseer, e il ministro delle minoranze, il leader cattolico Shahbaz Bhatti, sono stati assassinati a pochi mesi uno dall’altro.
L’annuncio che due cattedrali cristiane saranno dichiarate patrimonio artistico e storico nazionale, in un paese come il Pakistan musulmano al 97 per cento e con una forte componente integralista, assume un significato importante anche perché giunge nel momento in cui il mondo islamico discute la decisione della Turchia di trasformare Santa Sofia in moschea, rivelandosi tutt’altro che unanime nel giudizio. L’agenzia di stampa AsiaNews il 14 luglio riportava la posizione della autorevole Associazione mondiale degli scienziati musulmani secondo cui “l’apertura di Santa Sofia al culto islamico è funzionale alla devozione” e rappresenta il ritorno “alla sua natura originaria”. Ma tante sono state le lettere e le telefonate di plauso e approvazione da parte di autorità religiose e associazioni islamiche.
La Turchia sotto la leadership di Recep Tayyp Erdogan – ha scritto Shaqir Fetahu, vice presidente dell’Unione religiosa islamica della Repubblica di Macedonia – “è una stella nascente e una fonte indispensabile di speranza per i musulmani e per tutti gli oppressi”. A nome del Consiglio delle comunità islamiche lituane, il mufti Aleksandras Beganskas ha scritto: “Speriamo che la moschea benedetta, simbolo del monoteismo, raccolga tutta l’umanità a prescindere da religione, lingua, razza e setta sotto la presidenza degli affari religiosi turchi”.
La Associazione degli studiosi palestinesi all’estero ha auspicato che la apertura al culto del sito Unesco sia un segno per la liberazione dalla prigionia della moschea Al-Aqsa di Gerusalemme.
Hamas a sua volta ha definito la decisione della Turchia “un momento di orgoglio” per tutti i musulmani e ha attaccato i musulmani arabi contrari chiamandoli “piagnucoloni”.
Gli Emirati Arabi Uniti sono tra questi e tra i più critici. Il ministro per la cultura e le politiche giovanili Noura Al Kaabi ha dichiarato che “i patrimoni culturali dell’umanità andrebbero preservati nel loro valore e nella loro funzione, non usati in modo improprio e alterati per scopi personali. Per gli Emirati la scelta di Ankara “tocca nel profondo l’essenza umana”, perché si tratta di un luogo “patrimonio Unesco” “dall’eccezionale valore internazionale” per “tutti i popoli e culture”. Santa Sofia – conclude il ministro – è “un ponte che ha collegato persone diverse e cementato i legami… è diventata un esempio importante di interazione e dialogo tra Asia ed Europa e dovrebbe restare una testimonianza di storia umana armoniosa”.
È da evidenziare anche la netta e coraggiosa condanna espressa da un gruppo di scrittori teologici turchi secondo i quali, riferisce AsiaNews, utilizzare la basilica di Santa Sofia come uno “strumento politico” è un gravissimo errore. In un articolo pubblicato il 21 luglio sul quotidiano indipendente Birgun, Nazif Ay, Mehmet Ali Oz e Yusuf Dulger scrivono: “Santa Sofia non può essere utilizzata come strumento politico e aprirla al culto di una sola religione è un grave e irreparabile errore… Trasformare Santa Sofia in una moschea ignorando i suoi valori universali è una decisione che distrugge il messaggio di riconciliazione e di giustizia dell’islam, il cui significato nel dizionario è ‘pace’”. L’articolo prosegue dicendo: “questo tempio è stato costruito da persone religiose cristiane ortodosse. Il tentativo di renderlo proprietà dell’islam con un ordine e un fatto compiuto offenderà i non musulmani e manterrà vivi l’islamofobia e l’odio verso l’islam”.
La prima preghiera è stata annunciata per oggi, 24 luglio, non essendo stato possibile organizzarla come avrebbe voluto Erdogan il 15 luglio, nel quarto anniversario del fallito golpe, tentato nella notte tra il 15 e il 16 luglio 2016. Adesso tutto è pronto: durante le preghiere e i riti i mosaici cristiani saranno coperti. Lo saranno anche il 30 luglio e nei giorni successivi, nella ricorrenza della più importante festa islamica: Id al-Adha, la festa del sacrificio. Per l’ “inaugurazione”, il 24 luglio, il presidente Erdogan ha invitato anche Papa Francesco. L’invito è stato confermato dal portavoce del presidente. Qualcuno ha voluto leggerlo come un gesto di distensione. Invece suona tanto come una provocazione sfrontata, estrema.