Due giorni allo strike elettorale in Iran
Ali Khamenei e Mahmoud Ahmadinejad sono diventati oramai da tempo rivali, con livore. I riformisti sono fuori dai giochi, incarcerati
o comunque inibiti. L'ayatollah cerca sponda tra i pasdaran per fermare
il capo del governo. E l'apparato militare mette le mani sul voto
di venerdì.
La Guida suprema dell’Iran ha convocato i generali del corpo militare delle Guardie della rivoluzione, scrive Con Coughlin sul Telegraph, e ha chiesto loro di assicurarsi la sconfitta della fazione del presidente Mahmoud Ahmadinejad alle elezioni parlamentari che si terranno venerdì. Si tratta in effetti della richiesta opposta a quella fatta prima delle presidenziali del 2009: allora il presidente in cerca del secondo mandato era un favorito della Guida suprema, i due leader ultraconservatori erano alleati e cercavano assieme la vittoria contro l’ascesa dei candidati cosiddetti riformisti, anche con l’aiuto delle Guardie. Oggi che i riformisti non sono più dentro la politica, perché in questi tre anni i capi carismatici sono stati messi agli arresti domiciliari, i militanti sono stati mandati in prigione e i giornali d’area sono stati chiusi, Ali Khamenei e Ahmadinejad sono diventati rivali, con livore. Durante la seduta faccia a faccia con i generali, l’ayatollah ha continuato a definire il presidente e i suoi sostenitori “il movimento degli eretici”.
Il capo eretico osa troppo. “Sospetto che Ahmadinejad perderà le elezioni, anche se il termine ‘elezioni’ è senza senso”, dice Ali Ansari, professore di Storia iraniana alla St. Andrews University. “Ahmadinejad ha sorpreso spesso i suoi nemici, ma queste elezioni parlamentari potrebbero ridurlo a un’anatra zoppa per il resto della sua presidenza – scrive Alistair Lyon di Reuters, da Beirut – come punizione per avere sfidato la Guida suprema”. Dopo il voto, il presidente indebolito sarà attaccato dal nuovo Parlamento in una seduta speciale già messa in calendario che intende giudicarlo sul corso disastroso dell’economia.
L’Iran entra ancora di più in “un sistema a partito unico: è il partito di Khamenei – dice Karim Sadjapour, analista iraniano al think tank Carnegie Endowment – il requisito più importante per chi aspira a diventare membro del Parlamento è il grado di ossequiosità al leader supremo”.
Vige sempre il principio di interferenza militare controllata negli affari politici, soprattutto quando si tratta di purghe a difesa della Guida suprema. Gli uomini delle Guardie della rivoluzione sono lo strumento per togliere di mezzo le figure minacciose fin dal 1979. Lo hanno fatto con Mehdi Barzagan, primo ministro nel primo governo del post rivoluzione; con i capi del Partito comunista iraniano, il Tudeh; con il comandante in capo delle forze armate (non le Guardie, le altre, quelle regolari, che contano meno), Abol Hassan Bani-Sadr nell’81. L’intervento dei pasdaran è addirittura un diritto legale, codificato nella Costituzione, articolo 150 e nello statuto delle Guardie, risalente al 1980. Adesso, su mandato di Khamenei, tentano la conquista del Parlamento contro il presidente: con sedici candidati su trenta soltanto nel distretto elettorale di Teheran, dominano la lista del Jebheh Mottahed-e Osoolgaraayaan, il Fronte unito dei fedeli ai principi, ovvero la lista fedele alla Guida. Nelle altre città e distretti, la rappresentanza è ancora maggiore. Nella capitale, dichiarano che se i loro candidati non riceveranno il numero più alto di voti sarà un’offesa arrecata direttamente al leader religioso, e così trasformano le elezioni per il Parlamento in un referendum sulla Guida suprema.
Pensare che un tempo i pasdaran erano compatti dalla parte di Ahmadinejad, quando lui era ancora ossequioso con Khamenei. Su 18 ministri del suo governo, 12 sono ex pasdaran (come lui stesso), con ministeri chiave come Energia, Welfare, previdenza sociale, Industrie e miniere, Giustizia, Cultura e guida islamica, Petrolio, Difesa e Commercio.
Il timore è che la lotta fra ultraconservatori lasci totalmente indifferente il paese, alle prese con una crisi economica disperante, che rende difficile persino l’importazione di beni alimentari semplici, come l’olio e le banane. Un mese fa il figlio della Guida suprema, Mojtaba Khamenei, si è visto di nascosto con il leader dell’opposizione Mir Hossein Moussavi, agli arresti domiciliari in una località mai specificata, per chiedergli di spingere al voto la sua parte, e dare così una minima parvenza di legittimità nazionale a elezioni che rischiano di andare deserte.
Da Il Foglio del 29 febbraio 2012