Dubbi sui vaccini, partono le purghe degli scienziati
Dopo essere stato intervistato da Floris sulle reazioni avverse da vaccino, lo scienziato Paolo Bellavite è stato defenestrato dall'Università di Verona dove lavorava dal 1984. Il Rettore prende le distanze dall'intervista, ma non spiega dove avrebbe sbagliato il professore, poi l'invito ad andarsene senza spiegazioni ufficiali: il professore racconta alla Bussola come sono andate le cose: «Mi addolora che abbiano fatto passare le mie dichiarazioni come prive di valore, quando invece sono tutte documentate da pubblicazioni e anche dalla stessa Pfizer».
- OBBLIGO E MINACCE: CACCIA AL NON VACCINATO di Andrea Zambrano
L'intervista rilasciata dal professore Paolo Bellavite a Giovanni Floris de La7, lo scorso 4 maggio nella trasmissione Di Martedì, non è piaciuta al Rettore dell'Università di Verona. Dopo un comunicato critico sulla sua partecipazione, in cui non si è mai entrati nel merito delle cose dette, Bellavite è stato allontanato dall'Ateneo dove collaborava recentemente come "cultore di materia" dopo essere stato professore dal 1984 al 2017. Ecco di seguito il racconto che il professore fa alla Bussola di quella che si profila come una autentica purga verso un rappresentante della comunità scientifica non allineato al mainstream in materia di vaccini.
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In questo articolo riferisco i punti essenziali del caso che mi ha coinvolto a seguito della puntata del 4 maggio 2021 della trasmissione “Di Martedì” de La7, cui ho partecipato come ospite e che ha suscitato la reazione dell’Università di Verona, che ha rilasciato un duro comunicato di presa di distanza e successivamente mi ha “depennato” dal corpo accademico. Ho verificato nel sito del Dipartimento che non risulto più presente dal 18 maggio, mentre lo ero ancora il 7 maggio, ma non ho avuto alcuna comunicazione ufficiale della cancellazione.
QUI, intanto, si può ascoltare l’intervista integrale fattami da Giovanni Floris, che per comodità, a questo link, trascrivo.
Il 7 maggio 2021, subito dopo l’intervista il Rettore dell’Università di Verona ha diramato un comunicato stampa in cui diceva che «l’Ateneo si dissocia totalmente, dalle posizioni espresse dal prof. Paolo Bellavite, durante la trasmissione “Di Martedì” sul canale televisivo LA7 del 4 maggio scorso, in cui sono stati tra l’altro citati dati non documentati. Autorevoli colleghi presenti nello studio hanno, fortunatamente, messo in luce le incongruenze e le inesattezze riportate durante l’intervista».
«La comunità scientifica dell’Università di Verona - proseguiva il comunicato -, come sempre basandosi sulle evidenze scientifiche, esprime la più convinta adesione all’attuale campagna vaccinale anti SARS-CoV-2. Il rapporto beneficio/rischio di tutti i vaccini disponibili è ampiamente documentato, sia dalle sperimentazioni pre-commercializzazione che dalle evidenze che si stanno accumulando a seguito della vaccinazione di milioni di persone in tutto il mondo. Come tutti i farmaci, anche i vaccini possono provocare reazioni avverse, tuttavia l’incidenza di quelle gravi è molto rara. L’AIFA e l’EMA hanno approntato e stanno già attuando specifici programmi di sorveglianza sugli effetti avversi dei vaccini anti-COVID-19. Programmi che vedono in prima fila l’Università di Verona, impegnata altresì nello sviluppo del vaccino italiano Reithera».
E ancora: «Non si vuole certo limitare la libertà d’espressione, né tanto meno stigmatizzare le scelte giornalistiche su quali personalità del mondo scientifico invitare alle trasmissioni televisive. Ma, poiché quanto affermato a titolo personale dal prof. Bellavite è stato ripreso da alcuni organi di stampa, e lo stesso è stato presentato erroneamente come ematologo dell’Università di Verona, corre l’obbligo di precisare che il professore in questione è stato già docente di Patologia Generale presso il nostro Ateneo, ma da tempo (2017) è in pensione e non risulta avere alcuna collaborazione attiva con nostri gruppi di ricerca, tantomeno in ambito COVID-19. Le sue opinioni sono opinioni personali, come quelle che qualsiasi cittadino può esprimere, e non rappresentano quindi a nessun titolo la posizione della comunità scientifica dell’Università degli Studi di Verona. Tutte le strutture sanitarie dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Verona sono fermamente convinte della necessità della vaccinazione anti-SARS-CoV-2 come unico mezzo per porre fine all’emergenza epidemiologica. Di conseguenza, hanno messo a disposizione personale medico e infermieristico e ambulatori per vaccinare, negli ultimi due mesi, migliaia di pazienti fragili, oltre che partecipare alla campagna vaccinale rivolta alla cittadinanza veronese».
«Invito pertanto - concludeva - tutti a dare il giusto peso alle opinioni dei docenti in base alle loro specifiche competenze. Considerando con particolare attenzione le opinioni dei docenti che si spendono ogni giorno, rischiando anche la propria salute, nelle corsie, nei reparti, nelle sale operatorie, negli ambulatori, nelle rianimazioni, e toccano con mano, assieme ai pazienti e alle loro famiglie, l’evoluzione di questa pandemia».
Di fronte a queste affermazioni, mi sento di dover replicare anche qui, oltre ad aver già scritto una lettera al Rettore.
Per inquadrare il caso, va precisato che sono stato professore di Patologia generale all’Università di Verona dal 1984 al 2017 e, dopo il pensionamento, ho continuato a lavorare gratuitamente presso la stessa Università con la qualifica di “Cultore della materia”, svolgendo programmi di ricerca regolarmente approvati dall’Università in campo di immunofarmacologia. Negli ultimi anni ho pubblicato molti lavori anche nel campo della vaccinologia, che sono reperibili in letteratura e nel mio sito web. In particolare, ho scritto 5 articoli in inglese su argomenti di vaccinovigilanza, un libro internazionale sulla vaccinazione antinfluenzale e un libro in italiano sulle vaccinazioni pediatriche. Inoltre, ho partecipato, su invito, alle audizioni in Senato presso la Commissione Igiene e Sanità sul tema della legge 119/2017 “Lorenzin”. Questo per referenziare minimamente la mia competenza in materia, visto che il Rettore invita «tutti a dare il giusto peso alle opinioni dei docenti in base alle loro specifiche competenze».
L’Ateneo afferma che il sottoscritto «non risulta avere alcuna collaborazione attiva con nostri gruppi di ricerca, tantomeno in ambito COVID-19», ma tale affermazione non è corretta per due motivi:
1) Come molti altri professori, dopo il pensionamento ho lavorato all’Università di Verona (Dipartimento di Medicina, Sezione di Patologia Generale) nella veste ufficiale di “cultore della materia” e negli ultimi quattro anni sono stato referente scientifico di un importante programma di ricerca di immunofarmacologia su farmaci naturali;
2) Tra i diversi argomenti di cui mi sono recentemente occupato c’è anche il COVID-19, su cui ho pubblicato già tre lavori nella letteratura scientifica internazionale, precisamente due sul potere antivirus dei flavonoidi (QUI) e un altro sui meccanismi dei danni cardiovascolari dei vaccini anti-COVID 19. Stupisce che questi lavori non siano conosciuti dall’Università «impegnata altresì nello sviluppo del vaccino italiano Reithera».
Ciò che più mi dispiace, come studioso, è che nel comunicato si facciano passare le mie dichiarazioni come prive di valore in quanto avrei citato «dati non documentati» e si afferma che autorevoli colleghi avrebbero «messo in luce le incongruenze e le inesattezze riportate durante l’intervista». Oltretutto, il comunicato non dice quali sarebbero tali incongruenze e inesattezze rilevate dai colleghi, i quali comunque non hanno citato alcun lavoro che mi smentisce.
In realtà i dati sugli effetti avversi sono ben documentati, come lo è la differenza tra i diversi metodi di farmacovigilanza, che ho menzionato. I dati degli affetti avversi gravi riportati da AIFA con metodi di farmacovigilanza “passiva” (circa 40/100.000), vengono dal terzo rapporto pubblicato il 15 aprile (https://www.aifa.gov.it/-/terzo-rapporto-aifa-sulla-sorveglianza-dei-vaccini-covid-19), mentre quelli sugli effetti avversi gravi derivati dalla farmacovigilanza attiva o sperimentale (circa 4%, cioè 4.000/100.000) si trovano rispettivamente sulla rivista “Life” e nel lavoro originale sul N.Engl.J.Medicine dei ricercatori della Pfizer. La differenza di 100 volte è probabilmente dovuta ai diversi metodi di rilevazione, problema che si riscontra anche per le comuni vaccinazioni dell’infanzia (Morbillo-parotite-rosolia-varicella).
In conclusione, faccio fatica a giustificare le critiche rivoltemi dall’Ateneo, giacché qualunque esperto di vaccinologia, ancorché non aggiornato sugli ultimi dati, avrebbe potuto considerare le mie dichiarazioni come pienamente plausibili, conoscendo la differenza tra segnalazione attiva e passiva. Prendo atto che il Rettore dichiari, nel comunicato sopra riportato, che “non si vuole certo limitare la libertà d’espressione”, affermazione che pare contrastare col trattamento poi riservatomi dalla stessa Università di Verona, cui ho dedicato tutta la mia attività professionale di docente e ricercatore.
*Vaccinologo