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LIBIA

Doppio affronto all'Italia. Devastato il cimitero

Brutte notizie per l’Italia dalla Libia. Il tanto declamato accordo tra le diverse fazioni per costituire un governo di unità nazionale è aria fritta. Nonostante le dichiarazioni dell’inviato dell’Onu Bernardino Leon, non c’è ombra di intesa né di cessate il fuoco tra il governo di Tobruk e quello di Tripoli mentre l'Is dilaga.

Politica 02_11_2015
Devastazione al cimitero italiano di Tripoli

Brutte notizie per l’Italia dalla Libia. Il tanto declamato accordo tra le diverse fazioni per costituire un governo di unità nazionale è aria fritta. Nonostante le dichiarazioni, innumerevoli e ottimistiche, dell’inviato dell’Onu Bernardino Leon, non c’è ombra di intesa né di cessate il fuoco tra il governo di Tobruk e quello di Tripoli mentre lo Stato Islamico dilaga a Sirte e Derna. Nella capitale della nostra ex colonia, in mano a milizie islamiste, ieri è stato devastato ancora una volta il cimitero cattolico italiano mentre a Tobruk il governo riconosciuto dalla comunità internazionale ha denunciato che tre navi da guerra italiane sono entrate nelle acque territoriali libiche senza autorizzazione. Il governo ha avvertito che «utilizzerà ogni mezzo» per proteggere la sua sovranità e il generale Saqr Geroushi, a capo dell’aeronautica, ha fatto decollare sabato notte alcuni caccia per seguire i movimenti delle navi militari italiane.

Certo non saranno i vecchi mig 21 o Mig 23 appartenuti a  Gheddafi a impensierire le difese aeree della flotta italiana che schiera cinque navi del dispositivo Mare Sicuro di fronte alle coste libiche. Secondo le autorità di Tobruk le tre navi italiane sono state avvistate al largo della costa di Bengasi nella notte tra sabato e domenica. Secondo alcune fonti le unità probabilmente fanno parte della forza navale messa in campo dai Paesi Ue (Operazione Sophia) per contrastare il traffico di esseri umani, ma in tal caso non si tratterebbe di navi italiane tenuto conto che Roma ha assegnato alla missione Eunavfor Med la portaerei Cavour (nave ammiraglia) e forse un sottomarino. Resta poi da chiarire il concetto di violazione delle acque territoriali libiche che Gheddafi estese fino a 72 miglia dalla costa nel Golfo della Sirte mentre per tutto il mondo (Italia inclusa) il confine è a 12 miglia.

In ogni caso il ministero della Difesa italiano ha smentito tutto. «La notizia diffusa stamane da fonti libiche circa la presenza ieri di tre navi italiane nelle acque territoriali libiche è falsa», afferma una nota. «Tutte le navi militari italiane presenti nel Mediterraneo operano in acque internazionali rispettando i limiti stabiliti dai trattati», ha precisato la Difesa. C’è però molto di paradossale nelle autorità libiche che si arrabbiano perché tre navi militari italiane avrebbero violato le loro acque territoriali mentre in Italia e in Europa nessuno sembra arrabbiarsi per le centinaia di gommoni e barconi libici che da anni violano ogni giorno o quasi le acque italiane sbarcando centinaia di migliaia di immigrati clandestini (oltre 140 mila quest’anno, 170 mila nel 2014). Anzi, persino la flotta Ue che avrebbe dovuto combattere in trafficanti li aiuta a ingigantire il loro giro d’affari criminale. Basti pensare che solo il 28 ottobre ben quattro navi dell’Operazione Sophia sono state impegnate a imbarcare un migliaio di immigrati illegali a bordo di sei gommoni e un fatiscente peschereccio salpati dalla Libia.

Le britanniche Enterprise e Richmond, la slovena Triglav e la tedesca Berlin si sono distinte nelle operazioni di soccorso. Peccato che i contribuenti europei non paghino la flotta di Eunavfor Med per raccogliere clandestini africani da sbarcare in Italia, ma perché contrastino i traffici di esseri umani. Come recita il sibillino mandato della missione, l’obiettivo è «interrompere il modello di business dei trafficanti». Il 28 ottobre le navi Ue hanno invece fatto incassare ai trafficanti oltre 2 milioni di euro incoraggiando altri a imbarcarsi su barconi e gommoni pagando il pizzo a criminali strettamente legati ai terroristi islamici, come ha ribadito recentemente anche il comandante della missione navale, l’ammiraglio Enrico Credendino.

Certo le navi Ue dopo aver imbarcato i clandestini hanno provveduto ad affondare le imbarcazioni di fortuna su cui viaggiavano per impedire che i trafficanti potessero recuperarli ma per fare questo non c’era bisogno di spendere centinaia di milioni all’anno e mettere insieme una flotta con 8 navi da guerra, aerei ed elicotteri. Le stesse cose le fanno già da tempo le navi militari dell’operazione italiana Mare Sicuro e dell’europea Triton: recuperano immigrati, affondano i loro natanti e li sbarcano in Sicilia. Al momento Eunavfor Med, che in determinate circostanze è autorizzata a usare le armi contro i trafficanti, può operare solo in acque internazionali perché i libici di tutte le fazioni non vogliono navi straniere nelle loro acque né truppe straniere sul loro territorio. In alto mare la flotta europea potrà al massimo arrestare alcuni scafisti da consegnare alle autorità giudiziarie italiane che nella maggior parte dei casi li hanno sempre lasciati a piede libero in attesa di processo come è accaduto finora a oltre mille scafisti fermati negli ultimi due anni.

Così oltre all’incasso i trafficanti hanno il vantaggio di potersi vantare di aver sgominato la “bellicosa” missione Ue trasformandola in un’altra Mare Nostrum, ridicolizzando così quella poca credibilità che resta a Italia ed Europa, incapaci persino di impedire che le loro frontiere vengano violate da chiunque paghi il pizzo a criminali e terroristi. Del resto i fatti degli ultimi giorni confermano che la crisi libica non è gestibile con un negoziato dell’Onu né si può pensare di inviare decine di migliaia di soldati a stabilizzare l’ex colonia italiana. In questo contesto l’unica opzione ragionevole e attuabile persino dall’Italia da sola è riposta nel “sigillare” la Libia bloccando ogni mezzo navale in uscita dalle sue coste sequestrando carichi illeciti, respingendo sulle spiagge libiche gli immigrati impiegando scorte militari e tenendosi pronti a colpire eventuali Mig o imbarcazioni libiche che dovessero reagire alla violazione delle loro acque che però non riescono a controllare per impedire i traffici illeciti. Soluzioni talmente semplici e logiche che, ne siamo certi, nessuno in Italia adotterà mai.