Dopo l'omicidio di Charlie Kirk non c'è guerra civile, ma risveglio religioso
L'omicio di Charlie Kirk ha risvegliato il senso religioso degli americani. Non rivolte, ma veglie di preghiera: così milioni di giovani lo hanno ricordato in questi dieci giorni. E al funerale la vedova, Erika, perdona l'assassino.

Alla cerimonia di addio all'attivista Charlie Kirk, assassinato da Tyler Robinson il 10 settembre scorso, c’erano soprattutto americani giovani, gente comune, da tutti gli Stati. Lo State Farm Stadium di Glendale, Arizona, scelto per celebrare la memoria dell’attivista, poteva contenere fino a un massimo di 73mila persone e si è riempito completamente. Nella vicina Desert Diamond Arena, altre 20mila persone seguivano l’evento in remoto. Ma in totale, le persone che si sono recate a rendere omaggio a Charlie Kirk erano 200mila, anche secondo la polizia, dunque più del doppio rispetto a quelle che, mettendosi in fila dalla sera precedente, sono riuscite ad entrare nei due stadi.
Duecentomila persone, per un funerale, sono una cifra enorme che si avvicina ai 300mila che assistettero alle esequie di Martin Luther King. Parrà a molti un paragone “blasfemo”, ma è la stessa nipote del grande attivista nero (e repubblicano), Alveda King, a celebrare la memoria di Charlie Kirk che «Non aveva paura a portare il nome di Gesù Cristo nella pubblica piazza. E ne ha pagato il prezzo».
L’assassinio di Charlie Kirk non è un evento che può lasciare indifferenti. Col suo intuito di giornalista con una lunga memoria storica, Paolo Mieli lo ha definito come “l’assassinio di un futuro presidente”. Ma ciò che si nota è che quel colpo di fucile che ha spezzato la parola in gola a Charlie ha provocato un risveglio spirituale come mai si era visto nella storia recente degli Usa. In dieci giorni, Turning Point Usa, l’organizzazione creata da Kirk, ha accettato altri 62mila iscritti. E si tratta di un popolo giovane e religioso. Nonostante l’emozione per l’uccisione di uno degli uomini più popolari d’America, non ci sono stati disordini. La tanto paventata “guerra civile”, le due parole più sulla bocca di tutti in queste settimane, non è diventata realtà. Non si sono ripetute le sommosse di Black Lives Matter, seguite all’uccisione del nero George Floyd da parte di un poliziotto bianco: nel 2020 provocarono 30 morti, 14mila arresti e danni alle proprietà per 2 miliardi di dollari. Dopo la morte di Charlie Kirk, ad opera di un ragazzo antifascista, non c’è stato alcun morto, né alcun danno e nessuno è stato arrestato per atti di violenza.
I media hanno cercato, come al solito, l’ago nel pagliaio. Hanno cercato di mostrarci il presunto lato violento della destra, ma non lo hanno trovato. Circola sempre un solo video, su tutti i media e social media, che ritrae un gruppetto neonazisti mascherati, in processione per Charlie Kirk. Contandoli, saranno una decina al massimo, insultati dai passanti. Ma nessuno può nascondere che il popolo che lo celebra è fatto quasi interamente di ragazzi e ragazze che pregano. In ogni città, anche quelle più liberal, si sono tenute veglie di preghiera, con centinaia, anche migliaia di partecipanti. Non solo negli Usa, ma anche in Australia, in Canada e in altri paesi, soprattutto anglosassoni, si sono tenute veglie di preghiera.
«Dopo l'assassinio di Charlie, non abbiamo visto violenza – ha detto Erika Kirk, la vedova di Charlie, durante il suo lungo e commovente discorso allo stadio di Glendale - Non abbiamo visto rivolte. Non abbiamo visto la rivoluzione, invece, abbiamo visto ciò che mio marito ha sempre pregato di vedere in questo Paese: abbiamo visto un risveglio. La scorsa settimana, abbiamo visto persone aprire una Bibbia per la prima volta in un decennio, abbiamo visto persone pregare per la prima volta da quando erano bambini, abbiamo visto persone andare a una funzione religiosa per la prima volta in tutta la loro vita».
Un “lavoro incompiuto”, quello di Kirk, come dice la sua giovane vedova Erika. E un lavoro svolto proprio per distogliere i giovani dalla via della violenza. Con parole ispirate da fede sincera, lo ricorda così: «Mio marito, Charlie. Voleva salvare giovani uomini, proprio come quello che gli ha tolto la vita, oh. quel giovane. Sulla croce il nostro Salvatore disse: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno”. Quell'uomo, quel giovane, io lo perdono. Lo perdono perché è ciò che Cristo ha fatto nella sua vita. Ciò che Charlie avrebbe fatto. La risposta all'odio non è l'odio. La risposta che conosciamo dal Vangelo è l'amore, e sempre amore. Amore per i nostri nemici e amore per coloro che ci perseguitano». E la missione politica che Erika Kirk promette di continuare è una missione pacifica, fondata sul dialogo: «Il Primo Emendamento della nostra Costituzione è l'emendamento più umano – ha detto a conclusione del suo discorso - Siamo esseri naturalmente parlanti, naturalmente credenti, e il Primo Emendamento protegge il nostro diritto a fare entrambe le cose. Nessun assassino ci impedirà mai di difendere questi diritti. Mai. Perché quando si mina il confronto, quando si spezza il dialogo, questo è ciò che accade. Quando perdiamo la capacità e la volontà di comunicare otteniamo violenza».
In uno dei passaggi più significativi, ma anche snobbati, del discorso di Trump, il presidente dice: «Nessuna parte della politica americana ha il monopolio sulle persone disturbate o fuorviate – ma c’è una parte della nostra comunità politica che crede di avere il monopolio sulla verità, la bontà e la virtù, e conclude che dovrebbe anche avere il monopolio sul potere, il pensiero e la parola. Bene – questo non succede più! Abbiamo svoltato quell’angolo molto rapidamente. Tragicamente, atrocità come quelle viste nello Utah sono la conseguenza inevitabile di quel tipo di pensiero. Se le parole sono violenza, allora alcuni sono destinati a concludere che la violenza è giustificata per fermare le parole».
Verità, libertà di parola e fede sono al centro di questo risveglio religioso. E benché possa far storcere il naso a non pochi cattolici questa cerimonia in uno stadio, che di solenne ha ben poco, la fede semplice dell’evangelico Kirk e il suo instancabile attivismo hanno lasciato un segno anche nel popolo cattolico americano. Non solo era amico di JD Vance, il vicepresidente conservatore cattolico, ma Kirk stesso era sulla via della conversione alla Chiesa Cattolica ed è ricordato con parole di sincero affetto anche dal cardinal Timothy Dolan: «Era un missionario, un evangelista, un eroe. Penso che fosse uno di quelli che capiva cosa intendesse Gesù quando diceva che la verità ti renderà libero». Del suo metodo di dialogo con gli studenti nei college e nelle università, monsignor Dolan dice: «L’argomento più debole è quello ad hominem. Quando inizi ad attaccare la persona... allora sai di aver perso. La natura convincente di un argomento razionale è svanita, quindi inizi ad attaccare la persona. Charlie evidentemente lo sapeva». Anche il cardinale ritiene che la tragedia potrebbe ispirare un rinnovato interesse per la fede tra i giovani, una tendenza che, secondo lui, è già in crescita. «Quello a cui stanno assistendo è quasi una sorta di rinascita del senso del valore, della verità e della convinzione, quasi un’elevazione del ruolo della fede nella sfera pubblica, dove i nostri fondatori volevano che fosse fin dall’inizio».