Dopo l'inchiesta arriva lo spot. E Repubblica fiuta l'affare
La pubblicità e i quotidiani scoprono il business della fecondazione assistita. Su La Repubblica una mezza pagina a pagamento per pubblicizzare i Centri Tecnobios di Bologna per la procreazione artificiale. Solo due giorni fa, il quotidiano aveva fatto un lungo servizio sul centro bolognese. Solo coincidenze?
Che sulla procreazione assistita, soprattutto dopo il via libera della Corte costituzione alla fecondazione eterologa, stia crescendo un grande businnes, lo avevamo già capito da un pezzo. Cliniche, centri privati, medici (come il professor Antinori), già noti alle cronache per il loro trafficare in gameti e ovociti, e nuovi luminari della genetica con o senza “eu” (che non è la sigla dell’Europa unita) si stanno adeguatamente attrezzando per far fronte alle magnifiche sorti e progressive dell’emergente mercato dei bambini in provetta.
Ma il segno più chiaro di questo piatto-ricco-mi-ci- ficco, stava su La Repubblica, il quotidiano della sinistra bon ton, da sempre in prima linea nei giochi senza frontiere della bio-manipolazione. La pagina 25 dell’edizione di domenica 31 agosto era per metà occupata da una rèclame davvero insolita e probabilmente inedita nel campo della pubblicità sui quotidiani. Anche se per riuscire a leggere la scritta “inserzione pubblicitaria” (obbligatoria per non confondere i lettori) occorreva dotarsi di microscopio elettronico tanto era invisibile e illeggibile a occhio nudo. Un trucco a cui spesso ricorrono le aziende nel tentativo di far passare per informazione quello che è invece uno spot a pagamento.
Nel caso in questione, la merce pubblicizzata era quella di un Centro di procreazione assistita: casa madre a Bologna e studi associati in una dozzina di città italiane. Titolo: “La procreazione assistita parla italiano” e a seguire il trionfante annuncio: «Con la cancellazione del divieto di eterologa previsto dalla legge 40, niente più trasferte all’estero per le coppie in cerca di un figlio». Chiaro no? Finita l’epoca triste dei viaggi della speranza, con la sentenza della Corte costituzionale non è più necessario andare in Svizzera, Spagna, Cecoslovacchia per acquistare un figlio su misura: basta ordinarlo a Bologna o nel centro medico più vicino alla vostra città. Insomma, dopo frutta e verdura, ecco anche il bimbo a chilometro zero. Che campeggia allegro sulla pagina, insieme a mamma e papà felici come una pasqua sotto lo sguardo professionale e rassicurante del medico direttore scientifico del Centro bolognese. Il suo nome? Lo sveleremo tra poco.
D’accordo, la pubblicità è l’anima del commercio, ma quella su Repubblica è piuttosto un commercio delle anime. Perché c’è spot e spot e reclamizzare la fabbrica dei bambini non è come fare il Carosello sui dadi per il brodo di pollo, lo sturacessi di Mastro Lindo o i filetti di Capitan Findus. Tra loro e il bimbo di origine controllata, concepito solo con ovuli e gameti di donatori italiani, garantiti come la carne di vitello, qualche differenza dovrebbe esserci. Invece, no. La sola differenza è che al posto di top model e super boy che ti rifilano scarpe e slip griffati, lo spot fecondativo è più da leggere che da “guardare” (creativi e art director non sono ancora riusciti a rendere glamour e intrigante l’accoppiamento tra uno spermatozoo e un ovulo in un vetrino da laboratorio). L’inserzione, dopo aver ricordato il dramma tante famiglie (circa 4000) costrette ogni anno a “emigrare” all’estero, con «conseguente dispendio economico, oltre che di tempo, stress ed energie per realizzare il loro sogno», annuncia che non c’è affatto bisogno di attendere una nuova legge per dare corso alla pratica. Ma come assicurarsi che non esistono rischi per la salute, come avere assicurazioni sulla qualità e la tracciabilità del trattamento? Nessun problema, i centri in questione possono contare su un’esperienza pluriennale in tecniche del genere, «hanno aiutato già 100 mila coppie ad avere un figlio. Sono 700, quasi due al giorno, i bambimi nati nell’ultimo anno». E poi ci sono «l’eccellenza, la professionalità e l’expertise di un gruppo che da oltre 20 anni opera nel settore». Pubblicità ingannevole? Può darsi, ma chi può dirlo.
A questo punto, occorre rivelare il nome di “er professor” che sta dietro e garantisce della bontà dello spot e di quale centro si tratta. Eccolo: è il dottor Andrea Borini, dal 1993 direttore scientifico del Centro di fecondazione assistita di Tecnobios di Bologna. Dice niente l’illustre ricercatore? Massì, è lo stesso al quale la “Paziente numero 5” si è rivolta per avere l’agognato figlio e che ha raccontato proprio a Repubblica la sua lunga odissea, tra lunghe attese e mai sopite speranze. Anche lo studio, Tecnobios di Bologna, dove finalmente la “Paziente 5” ha trovato un approdo, è lo stesso che due giorni dopo la pubblicazione, ringrazia con uno auto-spottone a pagamento sul quotidiano. Coincidenze? Ma via, non c’è nulla di irregolare. Dare soldi, vedere cammello, con tanto di fattura e ricevuta. Un omaggio doveroso alla sanità privata e alle cliniche d’oro che neppure la severa e inflessibile Repubblica se la sente (in questo caso) di condannare.
Perché, si sa, le cliniche scelte dal quotidiano radical drink, sono un po’ più pubbliche delle altre, fanno il bene delle donne che un governo insensibile e una ministra ancora più cattiva vogliono costringere a concepire clandestinamente all’estero. Ma adesso si cambia: tutti hanno il diritto a una vita manipolata, e allora, cari genitori, fate il numero verde e moltiplicatevi. Voi ci mettete una firma, al resto pensano i Centri del dottor Borini. Garantiti dall’expertise e anche da Repubblica.