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LE ELEZIONI/1

Dopo l'Abruzzo la Maggioranza si ricompatta e pensa alle Europee

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Le elezioni di domenica hanno confermato il Presidente uscente di Fratelli d'Italia. Tuttavia sono ben altre le prove che attendono le due coalizioni, a cominciare dal voto europeo, al quale ogni forza politica si presenterà da sola. La crisi della Lega per la Meloni sarà una mina vagante.

Politica 12_03_2024

Era stato un errore sopravvalutare la sconfitta in Sardegna e ora sarebbe un errore ugualmente imperdonabile esaltarsi per la riconferma in Abruzzo. Il successo del governatore in carica, Marco Marsilio, di Fratelli d’Italia, è certamente un ottimo risultato per la coalizione di governo e una battuta d’arresto per le opposizioni che, dopo l’exploit della sarda Todde, pregustavano il bis. Le elezioni di domenica hanno confermato, per la prima volta nella storia dell’Abruzzo, il Presidente uscente e questo è indubbiamente un dato di rilevanza storica.

Tuttavia sono ben altre le prove che attendono le due coalizioni, a cominciare dal voto europeo dell’8 e 9 giugno, al quale ogni forza politica si presenterà da sola e cercherà di massimizzare i propri consensi. Prima di quell’appuntamento con le urne ce ne sarà un altro, il 21 e 22 aprile, quello per il rinnovo del consiglio regionale della Basilicata, dove l’uscente Vito Bardi (Forza Italia) si misurerà con il candidato del campo largo che ancora non è stato individuato.

Per quanto riguarda l’analisi del voto abruzzese, va sottolineato che Fratelli d’Italia è di gran lunga il primo partito con il 24% (in calo di tre-quattro punti rispetto ai sondaggi iniziali) e stacca di 4 punti il Pd (poco sopra il 20%). Nel centrodestra registra un ottimo risultato Forza Italia, che supera il 13%, mentre la Lega precipita dal 28% di cinque anni fa al 7,6%. Fa peggio il Movimento Cinque Stelle, che crolla al 7% mentre cinque anni fa aveva raccolto il 20%. Marsilio ha vinto con il 53,5% dei consensi, pari a 326.660 preferenze, contro il 46,5% del candidato di centrosinistra, Luciano D’Amico, che si è fermato a 284.748 preferenze. I 42.912 voti di differenza arrivano per tre quarti da una sola provincia, quella dell’Aquila. È lì che è maturata la conferma del governatore.

Si può dunque affermare che non c’è stato l’”effetto Sardegna” e che la spallata al governo è rimasto un autentico miraggio per Elly Schlein e Giuseppe Conte. Se è vero che nell’isola la Meloni ha sbagliato candidato, altrimenti difficilmente avrebbe perso, in Abruzzo è stata la sinistra a fare una campagna elettorale tutta “contro” la coalizione di governo e incentrata su manganelli e questioni ideologiche che poco incidono sul consenso locale. L’affluenza ai seggi in Abruzzo è stata la stessa di cinque anni fa, il che conferma che il candidato di centrosinistra non è riuscito a motivare il suo elettorato potenziale, nonostante la sfilata di tutti i leader nazionali dem e pentastellati.

La Meloni non deve dunque più di tanto preoccuparsi del campo largo, dove i lavori in corso sono ancora nelle fasi iniziali, bensì deve monitorare attentamente i rapporti di forza dentro il suo schieramento. La crisi della Lega, che in Sardegna ha preso meno del 4 e in Abruzzo meno dell’8, è una mina vagante per il premier, che senza i voti dei parlamentari leghisti non avrebbe la maggioranza. Il Carroccio è a un bivio: continuare a sostenere convintamente il governo oppure puntare i piedi su questioni identitarie come l’autonomia rischiando di destabilizzarlo. Nella prima ipotesi i voti della Lega potrebbero ulteriormente assottigliarsi e dunque l’idea di un secondo Papeete potrebbe tentare Matteo Salvini, molto abile nel far cadere i governi, ma assai meno affidabile nel sostenerli.

Sull’altro fronte la rivalità tra Conte e Schlein è destinata ad accentuarsi in vista del voto per il Parlamento di Strasburgo, dove il sistema proporzionale spingerà ogni partito alla corsa solitaria. Se i centristi di Carlo Calenda e Matteo Renzi, ormai divisi tra di loro, non dovessero raggiungere il quorum del 4%, si aprirebbe un problema politico e non è da escludere che molti di loro possano entrare in Forza Italia o nel Pd per sfuggire al rischio dell’insignificanza politica. In ogni caso, il campo largo avrà bisogno di un federatore che per ora non s’intravvede all’orizzonte.

Il premier, dal canto suo, deve decidere se candidarsi in prima persona alle europee o se far candidare sua sorella. Si tratta di un’arma a doppio taglio. Se il cognome Meloni non dovesse consentire a Fratelli d’Italia di superare il 30% in molti considererebbero il voto europeo la prova della fine della “luna di miele” con gli italiani. E a quel punto si aprirebbe la resa dei conti anche dentro lo schieramento di maggioranza.

Dopo le europee, secondo alcuni rumors, Meloni farà un tagliando al governo. Il rimpasto di cui si parla dovrebbe riguardare alcuni ministri di tutti i partiti. Basterà per rilanciare l’azione dell’esecutivo e consentirgli una navigazione tranquilla fino alla fine della legislatura? Le incognite sono tante, dal patto di stabilità Ue alla politica estera, con i tanti conflitti ancora aperti, fino alle elezioni negli Usa, con la possibile vittoria di Donald Trump. Ecco perché cedere all’euforia per il successo in una sola Regione come l’Abruzzo potrebbe costare caro all’inquilino di Palazzo Chigi.