Dopo la caduta di Assad tutti i giochi sono aperti
Ascolta la versione audio dell'articolo
Biden apprezza i toni usati dal jihadista al-Jolani. La normalizzazione a Damasco procede senza intoppi. L’Ue si conferma irrilevante. La vera “padrona” della Siria appare oggi la Turchia, ma non è scontato che l’Iran resti a guardare.
Mentre dagli USA all’Europa, politici e media accolgono i nuovi padroni di Damasco come eroi democratici, “ex terroristi” e “jihadisti moderati”, il leader di Hayat Tahrir al-Sham (HTS), Abu Mohammad al-Jolani, ha pronunciato il primo discorso da “uomo forte” di Damasco all’antica grande moschea degli Omayyadi, dinastia il cui impero fece da “modello” per l’Isis. «Questa vittoria, fratelli miei, è una vittoria dell'intera nazione islamica e segna un nuovo capitolo nella storia della religione, una storia irta di pericoli che ha reso la Siria un'arena per le ambizioni dell'Iran, diffuso il settarismo e alimentato la corruzione». Parole che non lasciano intendere che la Siria resterà uno Stato laico, anche se l’organizzazione HTS si è impegnata a garantire libertà di culto e a non imporre restrizioni alle donne.
Tra i più sfegatati fan degli ex qaedisti (o qaedisti pentiti) ci sono la Cnn e i media vicini all’amministrazione Biden, tra i quali l’entusiasmo per la caduta di Bashar al-Assad, alleato di Russia e Iran, sembra cancellare anche il ricordo degli attentati di al-Qaeda negli Stati Uniti. Infatti la Cnn esalta l’affermazione del jihadista sunnita al-Jolani che di fatto seppellisce l’influenza dell’Iran sciita sulla Siria. Del resto, anche Joe Biden ha apprezzato parole e toni di al-Jolani dimenticando che gli Stati Uniti hanno posto una taglia da 10 milioni sulla sua testa, evidentemente non per le sue attività caritatevoli. Il fatto che al-Jolani usi un linguaggio da jihadista appare normale, anche se ora vuole apparire un “bravo ragazzo”: così ha rivolto un messaggio alle potenze straniere spiegando che «stiamo purificando la Siria» che sotto Assad era diventata «la principale fonte mondiale di Captagon», una droga simile all'anfetamina, e una base per diverse attività criminali.
Intanto la normalizzazione a Damasco procede senza intoppi. Il parlamento ha dichiarato di rispettare la volontà del popolo di costruire «una nuova Siria», parlando di «una giornata storica» all'indomani della presa della capitale da parte dei ribelli e della fuga dell'ex presidente Bashar al-Assad. «L'8 dicembre è stato un giorno storico nella vita di tutti i siriani. Sosteniamo la volontà del popolo di costruire una nuova Siria focalizzata su un futuro migliore, governato dalla legge e dalla giustizia», ha affermato il parlamento in un comunicato diffuso dall'agenzia di stampa ufficiale Sana, il cui logo su Telegram ora mostra le tre stelle della bandiera ribelle, a conferma del rapissimo adattamento di tutte le strutture pubbliche al nuovo regime.
Qualche preoccupazione l’ha espressa dagli Stati Uniti il segretario alla Difesa, Lloyd Austin, avvertendo che nella nuova fase siriana l'Isis potrebbe tentare di approfittare della situazione sul campo. «Man mano che la situazione si evolve, c'è la possibilità che elementi presenti nell'area, come l'Isis, cerchino di approfittare di questa opportunità e di riacquistare forza». Cauto il ministro degli Esteri britannico, David Lammy, per il quale la caduta di Assad non comporta alcuna garanzia per la pace, mentre la Commissione europea ribadisce di non avere alcun contatto con le forze al potere in Siria, inclusa Hayat Tahrir al-Sham e il suo leader.
Un’affermazione che lascia sconcertati, quella da parte del portavoce della Commissione europea, Anouar El Anouni, che da un lato evidenzia la totale irrilevanza dell’Europa nello scenario siriano e dall’altro ci ricorda che HTS è ancora considerata un'organizzazione terroristica dall'Unione europea, come dagli Stati Uniti. L’Ue è pronta a rivalutare le sanzioni poste a 400 esponenti del governo di Assad, oggi riciclatisi con gli insorti, a quanto sembrerebbe. L'alto rappresentante dell'Ue per gli Affari esteri, Kaja Kallas, ha definito la fine del regime di Assad uno «sviluppo positivo e atteso da tempo», mentre diversi Stati europei stanno sospendendo l’esame delle richieste di asilo formulate da migranti e profughi siriani. Su questo tema la Turchia, oggi vera “padrona” della Siria, è pronta a rimandare a casa i profughi accolti durante la guerra civile e ha annunciato la riapertura del valico di frontiera di Yayladagi, chiuso dal 2013. «Dopo 13 anni è arrivato il momento per i siriani di tornare a casa», ha detto Recep Tayyip Erdogan rivolgendosi ai 4 milioni di profughi siriani che in Turchia hanno trovato rifugio negli anni del conflitto ma che da tempo stavano creando problemi di consenso al presidente turco.
Mentre i russi sembrano puntare a mantenere le loro basi (quella aerea e quella navale) sulla costa siriana, circa le quali dovrebbero aver negoziato garanzie con la Turchia, Erdogan ne approfitta per consolidare il suo successo anche in termini militari. Difficile credere che Erdogan rischi di compromettere i rapporti con Putin: del resto, in un incontro pubblico a Gaziantep due giorni fa, ha affermato che «in questo momento, tra i leader nel mondo, già sono rimaste solo due persone. Una sono io, l'altra è il presidente russo Vladimir Putin». Mentre gli occhi del mondo sono puntati sulla rapida avanzata di HTS verso Damasco, le milizie jihadiste filo-turche hanno cacciato i curdi da diverse aree del nord, lungo il confine turco: interi quartieri di Aleppo, Tal Rifaat e Manbji sono caduti in mano alle milizie fedeli ad Ankara sostenute da aerei e cannoni turchi.
Ora che gli Stati Uniti sembrano pronti con Donald Trump a ritirare il migliaio di uomini che presidia alcune basi nell’est della Siria, i curdi potrebbero pagare il prezzo più alto del cambio di regime a Damasco, schiacciati dalle milizie filo-turche (che dispongono di forze più numerose dei 30 mila combattenti curdi) e dalla fedeltà del nuovo governo siriano ad Ankara. In realtà è presto per avventurarsi in ipotesi e valutazioni circa il futuro, anche rispetto al confronto a distanza tra Israele e Iran. Lo Stato ebraico, in difficoltà nelle operazioni in Libano contro Hezbollah, riceve un grande regalo dal “nemico” Erdogan poiché il crollo del regime di Assad impedirà agli iraniani di continuare a rifornire Hezbollah. Ciò detto, gli israeliani non sembrano fidarsi molto e approfittando del cambio di regime a Damasco hanno assunto il controllo di una fascia di territorio siriano a est delle alture del Golan e sul Monte Hermon. Un'occupazione arbitraria che viola il diritto internazionale, esattamente come la presenza delle quattro basi statunitensi nel sud e nell’est della Siria.
Non si può neppure dare per scontato che l’Iran accetti di uscire dalla vicenda siriana come unico grande sconfitto. L’Iraq, grande alleato di Assad e di Teheran, teme che la vittoria delle milizie sunnite in Siria scateni una nuova rivolta nelle regioni settentrionali irachene; Baghdad ha chiuso il confine con la Siria dopo aver accolto quattromila militari di Assad in fuga dalla regione di al-Hasaka. In assenza di una solida intesa con Ankara, iraniani e iracheni potrebbero tentare di cogliere la rivincita nella Siria orientale, anche fornendo aiuto militare alle milizie curde sotto attacco della Turchia e delle milizie siriane a lei fedeli. Di fatto, tutti i giochi restano aperti e solo il tempo ci dirà se il cambio di regime a Damasco stabilizzerà la Siria o contribuirà a destabilizzare tutto il Medio Oriente.
Il "25 aprile" della Siria è il trionfo della Turchia
L'esercito jihadista HTS conquista Damasco senza incontrare resistenza: ministri e funzionari di Assad già collaborano con i nuovi padroni. Una svolta repentina condotta sotto la regia di Ankara, con l'appoggio degli Stati Uniti e la compiacenza di Israele.
- Cristiani stretti tra speranze e timori per il futuro, di Elisa Gestri
- Cosa è accaduto ieri mattina