«Donne e laici chiamati alla missione»
L'ultima parte del viaggio negli Stati Uniti è anche il motivo iniziale della visita: l'ottavo Incontro Mondiale delle Famiglie, evento nato da un'intuizione profetica di San Giovanni Paolo II 20 anni fa. Incontrando i sacerdoti, i religiosi e le religiose ha denunciato un certo clericalismo, invitando a dare più spazio ai laici e alle donne.
Sabato 26 settembre 2015, conclusa la visita a New York, Papa Francesco è arrivato a Filadelfia, dove nella nottata italiana si apre l’Incontro mondiale delle famiglie. Incontrando i sacerdoti, i religiosi e le religiose ha denunciato un certo clericalismo, invitando a dare più spazio ai laici e alle donne, senza peraltro rinunciare all’«autorità spirituale» che vescovi e sacerdoti devono esercitare sulle loro comunità.
A New York, il Papa aveva visitato nella serata del 25 settembre la scuola «Nostra Signora Regina degli Angeli» a Harlem. Ai bambini afro-americani e immigrati Francesco aveva ricordato ancora Martin Luther King e le sue parole famose «Ho un sogno». «Sognò», ha commentato il Papa, «che tanti bambini, tante persone avrebbero avuto uguaglianza di opportunità. Sognò che tanti bambini come voi avrebbero avuto accesso all’educazione. Sognò che tanti uomini e donne, come voi, potessero andare a testa alta, con la dignità di chi può guadagnarsi da vivere. È bello avere dei sogni ed è bello poter lottare per i sogni. Non dimenticatelo». Il Pontefice ha parlato di un vero «diritto di sognare», e ha commentato che «dove ci sono sogni, dove c’è gioia, lì c’è sempre Gesù. Sempre. Invece, chi è quello che semina tristezza, che semina sfiducia, che semina invidia, che semina i cattivi desideri? Come si chiama? Il diavolo. Il diavolo semina sempre tristezza, perché non vuole che siamo felici, non vuole che sogniamo».
Poi, il saluto a New York con la Messa al Madison Square Garden, «luogo emblematico di questa città». Il Papa è tornato su un tema che lo appassiona: le grandi città, e come «contemplare la presenza viva di Dio» anche nelle moderne megalopoli. «Vivere in una città è qualcosa di piuttosto complesso: un contesto multiculturale con grandi sfide non facili da risolvere». Ma le megalopoli «ci ricordano la ricchezza nascosta nel nostro mondo: la varietà di culture, tradizioni e storie. La varietà di lingue, di vestiti, di cibi. Le grandi città diventano poli che sembrano presentare la pluralità dei modi che noi esseri umani abbiamo trovato di rispondere al senso della vita nelle circostanze in cui ci trovavamo». Ma è anche vero che «le grandi città nascondono il volto di tanti che sembrano non avere cittadinanza o essere cittadini di seconda categoria. Nelle grandi città, nel rumore del traffico, nel “ritmo dei cambiamenti”, rimangono coperte le voci di tanti volti che non hanno “diritto” alla cittadinanza, non hanno diritto a far parte della città – gli stranieri, i loro figli (e non solo) che non ottengono la scolarizzazione, le persone prive di assistenza medica, i senzatetto, gli anziani soli – confinati ai bordi delle nostre strade, nei nostri marciapiedi in un anonimato assordante. Ed entrano a far parte di un paesaggio urbano che lentamente diventa naturale davanti ai nostri occhi e specialmente nel nostro cuore».
Non dobbiamo abituarci al male, e dobbiamo liberarci «dalle “connessioni” vuote, dalle analisi astratte, o dal bisogno di sensazioni forti». Dobbiamo invece saper «guardare in mezzo allo “smog” la presenza di Dio che continua a camminare nella nostra città. Perché Dio è nella città». Ma come incontrarlo? Francesco si è riferito a quattro caratteristiche del Messia preannunciate dal profeta Isaia: «Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace». Anzitutto, consigliere. Gesù consiglia «sempre ai suoi discepoli di andare, di uscire. Li spinge ad andare incontro agli altri, dove realmente sono e non dove ci piacerebbe che fossero. Andate, una, due, tre volte, andate senza paura, andate senza repulsione, andate e annunciate questa gioia che è per tutto il popolo».
Poi, «Dio potente». «In Gesù Dio si è fatto Emmanuel, il Dio con noi, il Dio che cammina al nostro fianco, che si è mescolato con le nostre cose, nelle nostre case, con i nostri “tegami”, come amava dire santa Teresa di Gesù». In Gesù Dio si rivela pure come «Padre per sempre.Nulla e nessuno potrà separarci dal suo Amore». E come «Principe della pace. Andare verso gli altri per condividere la buona notizia che Dio è nostro Padre. Che cammina al nostro fianco, ci libera dall’anonimato, da una vita senza volti, una vita vuota, e ci introduce alla scuola dell’incontro. Ci libera dalla guerra della competizione, dell’autoreferenzialità, per aprirci al cammino della pace».
A Filadelfia il Papa ha iniziato la sua visita dalla cattedrale dei Santi Pietro e Paolo, dove ha incontrato i sacerdoti, le religiose e i religiosi. La Chiesa Cattolica in Pennsylvania ha eretto splendide mura, ha detto Francesco, ma «mi piace pensare, tuttavia, che la storia della Chiesa in questa città e in questo Stato è in realtà una storia che non comprende solo la costruzione di mura, ma anche il loro abbattimento». È la storia «di generazioni e generazioni di cattolici impegnati che sono andati verso le periferie e hanno costruito comunità per il culto, per l’educazione, per la carità e il servizio della società in generale». Un’eredità che passa anche per «centinaia di scuole». Francesco ha ricordato un aneddoto relativo a una santa di Filadelfia, Caterina Drexel. «Quando parlò al Papa Leone XIII delle necessità delle missioni, il Papa – era un Papa molto saggio – le domandò intenzionalmente: “E tu? Che cosa farai?”. Quelle parole cambiarono la vita di Caterina, perché le ricordarono che in fondo ogni cristiano, uomo o donna, in virtù del Battesimo, ha ricevuto una missione». Ognuno di noi deve rispondere personalmente, senza pensare di poter delegare ad altri.
Questo «E tu?» di Leone XIII ha due dimensioni. In primo luogo, le parole «sono state rivolte ad una persona giovane, a una giovane donna con alti ideali, e le hanno cambiato la vita». Tanti giovani hanno gli stessi ideali e aspirano a cose grandi. Il Papa chiede ai sacerdoti: «noi, li mettiamo alla prova? Diamo loro spazio e li aiutiamo a realizzare il loro compito? Troviamo il modo di condividere il loro entusiasmo e i loro doni con le nostre comunità, soprattutto nella pratica delle opere di misericordia e nell’attenzione agli altri? Condividiamo la nostra gioia e il nostro entusiasmo nel servizio del Signore?». Un prete non entusiasta spegne l’entusiasmo dei fedeli. In secondo luogo, «queste parole dell’anziano Papa sono state rivolte ad una donna laica». Francesco ricorda che «il futuro della Chiesa, in una società che cambia rapidamente, esige già fin d’ora una partecipazione dei laici molto più attiva». Il Pontefice parla ai sacerdoti, e li invita a superare il clericalismo. Attenzione, però, ricorda il Pontefice a vescovi e sacerdoti, «questo non significa rinunciare all’autorità spirituale che ci è stata conferita; piuttosto, significa discernere e valorizzare sapientemente i molteplici doni che lo Spirito effonde sulla Chiesa. In modo particolare, significa stimare l’immenso contributo che le donne, laiche e religiose, hanno dato e continuano a dare nella vita delle nostre comunità».
Infine, il Papa ricorda che è venuto a Filadelfia per l’Incontro mondiale delle famiglie e chiede ai sacerdoti «in modo speciale di riflettere sul nostro servizio alle famiglie, alle coppie che si preparano al matrimonio, e ai nostri giovani». «E tu?». Il Signore lo chiede alle parrocchie: fate abbastanza per le famiglie? Lo chiede alle famiglie. E a tutti addita l’esempio di chi ha dato la risposta perfetta: la Vergine Maria.