Donne che torturano donne: gli orrori della "gestapo rosa"
Dai racconti delle donne che avevano sposato la missione del sedicente Stato Islamico emergono storie terribili: Al Jazeera fa luce sulle torturatrici della polizia religiosa istituita dall'organizzazione terroristica islamica. Una sola la parola d'ordine: rapire, colpire, torturare e uccidere le infedeli, le donne crociate o semplicemente senza velo.
In questi giorni Al Jazeera ha deciso di riaprire il vaso di pandora del modus operandi islamico nella "gestione" degli infedeli. E con una serie di racconti ci riporta alla scoperta in particolare della vita delle donne che avevano sposato la missione del sedicente Stato Islamico.
Ecco allora Aisha, a cui l'Isis aveva cambiato il nome in Um Qaqaa. A Raqqa, quella che era la capitale dell'Isis e sede di una ben strutturata gestapo femminile, decide di "lavorare per loro". Il marito era stato un martire per Allah, sceglie allora la loro formazione sulla shari'a e l'addestramento per iniziare il lavoro come torturatrice della polizia religiosa istituita dall'organizzazione terroristica islamica. Una sola la parola d'ordine: rapire, colpire, torturare e uccidere le infedeli, le donne crociate o semplicemente senza velo.
Per Aisha e le altre - lei ne ricorda circa una quarantina - parte dell'addestramento era imparare le nozioni islamiche e a recitare il Corano: "La moschea era piena di apprendisti. E bisognava recitarlo ancora e ancora fino a quando non si superava l'esame. Mi ci sono voluti tre mesi per passarlo". La donna racconta di tante "colleghe" analfabete che hanno imparato a leggere e scrivere a suon di frustate. Armate, le donne scelte - secondo le testimonianze - erano quelle che più apparivano crudeli, con meno pietà.
"Avremmo dovuto pattugliare i quartieri, i mercati, alla ricerca di donne i cui abiti non fossero conformi alle leggi islamiche. [...] Anche le bambine dovevano indossare abiti conformi alla shari'a. Un giorno, abbiamo arrestato una donna che indossava lo smalto. Hanno usato un paio di pinze per estrarle unghie".
I ricordi che la donna riporta al quotidiano sono pieni di orrori, come percosse a donne gravide a causa delle quali hanno perso i bambini o ad altre mute. Perché puntualizza, "era il nostro lavoro torture le persone".
La forma più popolare di tortura era la frustata. Poi c'era il ricatto: o il matrimonio o la galera e la tortura. Sono tante le donne che hanno deciso di unirsi in battaglia perché convinte dalla polizia religiosa, molte di più quelle che hanno scelto di seguire i loro mariti e quante hanno deciso di combattere per vendicare un figlio un fratello, un coniuge nella speranza del paradiso.
Um Farouk, viveva a Deir Az Zor, Siria quando è arrivato l'Isis. Il giuramento di fedeltà e il lavoro nella polizia religiosa sono arrivati subito dopo. Ad Al Jazeera racconta della gioia in città quando i soldati dello stato islamico sono arrivati, convinti dai loro modi di fare che avrebbero migliorato il Paese. "Bay'a è il giuramento che fai, è così che diventi uno di loro", racconta Um Farouk. "Inizialmente, hanno permesso agli occhi di essere scoperti. Ma hanno cambiato idea. Dovevi essere completamente coperta e persino indossare i guanti. Quelle erano le loro regole. Un giorno, una bambina di circa 10 anni, indossava pantaloni del pigiama sotto l'abito da preghiera. Non appena hanno visto la bambina, la macchina della polizia religiosa si fermò. "Perché sei uscita con questi vestiti, puttana?", le dissero". Per coloro che avevano commesso reati morali minori, c'era il cosiddetto "mordere". Mordere le donne. Una volta, una donna venne torturata in questo modo finché non è morta.
Le storie di queste due donne, che nel momento in cui l'Isis è entrata in crisi, hanno dovuto abbandonare le loro mansioni, si intrecciano con le vite di chi ha subito quella persecuzione. Come quella di Rita Habib, una trentenne cristiana di Mosul, che qualche mese fa ha potuto riabbracciare suo padre: gli unici sopravvissuti di una famiglia i cui membri, come migliaia di altri cristiani e altri non musulmani, sono stati uccisi o torturati dall'Isis più o meno dal 2014. Habib era tra le centinaia di donne e ragazze cristiane e yazide rapite all'epoca e vendute nel commercio del sesso. È stata una delle fortunate ad essersi salvata grazie ad una organizzazione cristiana, la Shlomo Organization for Documentation, che ha pagato 30.000 dollari al califfato per la sua liberazione. Habib, scambiata quattro volte durante la sua prigionia, ha assistito a molti casi di ragazze cristiane e yazidi - alcune di appena 9 anni - vendute, violentate e torturate dai membri dell'Isis.
Quando il Califfato ha effettuato l'assalto alle città yazidi nell'Iraq settentrionale nell'estate del 2014, la sua missione era eliminare i kufar ("miscredenti infedeli"). E dalle testimonianze riportate viene fuori tutta la dimensione della "nuova era di conquista" islamica, quella delle donne combattenti. Nel febbraio 2018, l’Isis diffondeva un video di elogio delle donne combattenti. Mostrando donne in burqa che brandiscono kalashnikov contro i nemici, la voce narrante le invita a dirigersi "verso il loro Signore con abiti di purezza e fede, cercando vendetta per la loro religione e per l’onore delle loro sorelle, imprigionate dai curdi apostati".
Già nell’ottobre 2017, il giornale dell’organizzazione aveva invitato le donne a prepararsi alla battaglia, definendolo "un dovere". "Oggi si è reso necessario che le musulmane adempiano ai loro doveri su tutti i fronti […], preparandosi a difendere la loro religione con il sacrificio nel nome di Allah".
E' uno spaccato nudo e crudo quello che arriva direttamente dal cuore dell'Isis. Storie che sembrano farci spiare dal buco della serratura la struttura e la logica di un'organizzazione terroristica che con la polizia religiosa islamica ci riporta alla gestapo e al Kgb.