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USA

Donald Trump cerca il voto delle vittime della crisi

Considerato troppo a lungo, e senza alcun rispetto per i suoi elettori, come un "matto", Donald Trump ha sfidato il mondo dell'informazione e degli intellettuali progressisti. Grande imprenditore e divo televisivo, il suo ingresso in politica punta ad attrarre il voto delle vittime della crisi economica.

REPUBBLICANI GRANITICI SU VITA E FAMIGLIA di Marco Respinti

Esteri 23_07_2016
Donald Trump

L'uomo può piacere o non piacere, ma sta di fatto che dal suo discorso di accettazione della candidatura a presidente degli Usa, pronunciato ieri a Cleveland, è emerso un Donald Trump molto diverso da come per mesi ce l'hanno raccontato. Per mesi i grandi giornali e le reti televisive ce lo hanno descritto come un pagliaccio, fra l'altro mancando di rispetto per i milioni di elettori che da un estremo all'altro degli Stati Uniti sancivano via via la sua vittoria alle elezioni primarie del Partito repubblicano. Se infatti si crede nella democrazia, quando il popolo si esprime diversamente da come ci si attenderebbe, la prima cosa da fare è domandarsene le ragioni.

Senza dubbio il personaggio è pittoresco, o meglio sa fare molto bene la parte del pittoresco, del “matto”. Questo aspetto del suo modo di porsi è però molto più una tecnica che una sostanza. E' una tecnica grazie alla quale è riuscito ad affacciarsi alla ribalta della vita politica di un Paese che ha oltre 325 milioni di abitanti superando la resistenza dell'establishment sia dei media che dello stesso partito a nome del quale intendeva candidarsi.

Ricco imprenditore immobiliare (ha un patrimonio di circa 9 miliardi di dollari), Trump aveva saputo anche trasformarsi in una star televisiva conducendo dal 2004 al 2015 il programma The apprentice ( = L'apprendista), molto seguito negli Stati Uniti. Il programma, prodotto da Sky anche in versione italiana tra il 2012 e il 2014 ma senza grande successo, è centrato sulla figura di un “boss” che giudica il comportamento di alcuni giovani aspiranti imprenditori immobiliari messi in concorrenza tra loro, uno dei quali viene per così dire promosso e gli altri invece vengono licenziati. Nella versione italiana la parte del “boss” - Donald Trump nella versione originale - era stata affidata a Flavio Briatore.

Trump rientra insomma nella categoria, ben nota nel nostro Paese, del grande imprenditore divo che si trasforma in politico. Forte anche della sua fortunata esperienza televisiva, e sapendo che avrebbe avuto contro il mondo della comunicazione (che negli Usa come in Italia è per lo più orientato a sinistra), Trump ha giocato in modo deliberato la carta dell'eccesso e dell'”politically uncorrect” avendo intuito che l'eco sui giornali e sui telegiornali delle sue “sparate” gli avrebbe paradossalmente attirato la simpatia di quei vecchi ceti operai e di quei ceti medi impoveriti che non ne possono più delle élites giornalistiche e intellettuali e del loro astratto progressismo. E così infatti è accaduto.

Avendo presente tutto questo, se si ha la pazienza di leggere o di ascoltare il suo discorso di accettazione della candidatura presidenziale (reperibile su Internet) ci si avvede che in primo luogo e sostanzialmente Trump si pone come campione non solo dei ceti medi bianchi, come ancora insistono a dire i nostri commentatori “illuminati”, bensì di tutti coloro che stanno facendo le spese della crisi. Per esempio giustifica le sue dure proposte in tema di controllo dell'immigrazione dicendo di voler così difendere gli interessi dei più poveri tra i cittadini americani neri e ispanici nonché degli immigrati in regola, che sono i primi a subire la concorrenza degli immigrati clandestini. Lo stesso dicasi analogamente con riguardo alla sicurezza nei quartieri popolari. E promette di creare le condizioni perché nelle periferie più disagiate ci siano scuole migliori. Non è poi vero che voglia il blocco definitivo e totale dell'immigrazione. Poi magari non ci riuscirà, ma si ripromette di bloccarla solo finché gli Stati Uniti non si saranno dotati di meccanismi di controllo e di filtraggio proporzionati all'attuale entità del fenomeno.

Pur non essendo un abortista militante come Hillary Clinton, tuttavia non ha invece detto nulla di esplicito in tema di difesa della vita, salvo impegnarsi a nominare giudice della Corte Suprema sul seggio che fu del defunto Antonin Scalia, contrario all'aborto, un magistrato di analogo orientamento. D'altra parte, al di là dei loro opposti programmi politici, sia Donald Trump che Hillary Clinton sono dei “laici”. Trump ha scelto tuttavia come suo vice un “evangelico” (un cattolico convertito al protestantesimo), che è dichiaratamente contro l'aborto e contro l'ideologia “gender”.

In tema infine di politica estera Trump ha delle priorità molto pratiche, lontane dai grandi disegni delle presidenze democratiche. Chiede un immediato e forte impegno nella lotta contro il terrorismo islamista, una maggiore partecipazione degli alleati alle comuni spese militari e una rinegoziazione di tutti gli accordi internazionali a causa dei quali tante industrie manifatturiere americane sono state costrette a chiudere. Quale che sia il giudizio che se ne vuol dare, il suo insomma è un programma preciso col quale, se verrà eletto, occorrerà seriamente confrontarsi.