Don Pessina, un martire riscoperto della guerra civile
Un nuovo quaderno del Timone ripercorre le storie dei preti uccisi dai partigiani comunisti nel Triangolo della morte e mostra che si trattò di un martirio collettivo in odium fidei. Come per don Pessina, che, si apprende esattamente 70 anni dopo, fu minacciato poco prima di morire, ma non fuggì dalla sua canonica.
Sono passati 70 esatti dall’uccisione di don Umberto Pessina, l’ultimo dei 130 sacerdoti italiani uccisi a cavallo tra il ’44 e il ’46 dalla violenza partigiana comunista. Era il 18 giugno 1946 e nella parrocchia di San Martino di Correggio, in provincia di Reggio Emilia, alcuni gappisti uccidevano a sangue freddo il parroco. La sua uccisione ha rappresentato uno spartiacque della storia della guerra fratricida italiana e non solo per la complessa vicenda giudiziaria che ne seguì e che terminò soltanto negli anni ‘90 con una revisione processuale che assicurò, più alla storia che alla giustizia, i veri assassini.
Con quella morte infatti, così platealmente fuori tempo massimo, quando la maggior parte dei combattenti delle formazioni partigiane non comuniste avevano già riconsegnato le armi ai comandi alleati, fu evidente che il Partico Comunista Italiano (Pci) aveva uno strettissimo rapporto con quelle bande di assassini che spesso di notte si aggiravano per rapire, sequestrare e poi uccidere tutti quegli italiani che non erano comunisti o erano sospettati di non aver sufficientemente preso in simpatia il movimento partigiano. O peggio ancora, per quanto riguarda il sacerdote, l’essere prete che dal pulpito denunciava il rischio dell’invasione comunista.
Ma mentre per i sacerdoti uccisi dai nazisti sono state dedicate vie e piazze, glorificati spesso in chiave politica, per quelli ammazzati dalla violenza comunista il ricordo si è completamente perso. Sacrificati sul'altare di una riconciliazione nazionale mai avvenuta pienamente. E quindi dimenticati perché il loro ricordo appariva troppo divisivo. Emblematico il caso di don Pessina del quale, nonostante la giustizia nel '1993 avesse accertato il vero colpevole, il ricordo è sempre rimasto strozzato. Ancor oggi a Correggio, in provincia di Reggio Emilia, dove venne ammazzato, si fatica a ricordarlo, celebrarlo e onorarlo. Molto spazio è stato dato alla revisione processuale e alla drammatica storia dell'ingiusta detenzione di Germano Nicolini, all'epoca dei fatti sindaco di Correggio, ma di don Pessina si sono perse le tracce della memoria, che oggi conducono ad un più che dignitoso sacello funerario nella chiesa del martirio.
Ecco perché su questo capitolo ancora sanguinante della nostra storia è bene fare chiarezza. Affinché la Chiesa consideri il sacrificio di questi suoi figli e perché anche a loro, come è accaduto per tanti testimoni della fede, venga riconosciuto il martirio in odium fidei in grado di consegnarli agli altari come beati di una guerra sporca che per tanti anni non si è voluto vedere, per paura di continuare ad alimentare ferite e dissapori.
Le loro morti sono tutte accomunate da fattori unici, che ne definiscono il martirio: minacce e presentimenti nei giorni precedenti, poi uccisi o prelevati dalle loro canoniche, alcuni in chiesa, rapiti via con la scusa del viatico da portare a un moribondo o con la richiesta di andare al comando partigiano per un chiarimento. Ad alcuni sotto la tonaca insanguinata venne trovata l’Eucaristia che avrebbero dovuto portare al malato, altri consumarono il Sacramento poco prima della raffica finale. Tutti torturati brutalmente e poi infangati nella memoria accusati di essere spie o padroni nemici dei partigiani. Nella stragrande maggioranza dei casi non si seppe mai il nome del colpevole. Eppure, una parola di verità su queste vittime cadute nel dimenticatoio è necessaria. Se è vero che il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani, il loro nome deve essere giustamente scritto e valorizzato nella storia, perché il loro esempio possa essere germoglio di una fede cristiana rinnovata e convinta.
Nella maggior parte degli altri luoghi dove questi preti trovarono la morte spesso non compare neanche una targa né una croce. Eppure sono a tutti gli effetti luoghi di martirio che devono essere frequentati come tali, non affidati ad una memoria che si sta lentamente spegnendo. Prima che l’ultimo testimone di quei fatti scompaia per sempre, è bene provvedere al loro ricordo, sapendo che il loro posto non è in una piazza o in una via, ma sugli altari.
Per favorire questo clima di riconciliazione e ricerca della verità, il mensile di apologetica Il Timone ha dato alle stampe un nuovo quaderno chiamato “Chiesa martire nel Triangolo della morte”. E’ stato scritto dal giornalista della Nuova BQ Andrea Zambrano, che ha raccolto le storie dei tanti preti assassinati (Roberto Beretta ne ha contati 130 nel suo indispensabile “Storia dei preti uccisi dai partigiani”), e ha inquadrato quelle uccisioni come un vero e proprio martirio, assimilabile a quello che la Chiesa ha riconosciuto per i martiri spagnoli o messicani.
Il libro è corredato da una approfondita disamina delle prove di questo odio alla fede. A parlare sono i sacerdoti sopravvissuti, alcuni ancora vivi e intervistati da Zambrano, come don Raimondo Zanelli, che dovevano essere uccisi. O le testimonianze degli stessi ex partigiani rossi “pentiti” o altri che con lettere o minacce hanno intimidito la Chiesa che speravano di conquistare alla causa partigiana in chiave marxista.
Zambrano ha riportato anche le storie di quei preti che il martirologio del clero non potè includere. Perché ufficialmente morti di morte naturale, in realtà uccisi da nascoste emorragie interne incorse a seguito della tecnica del sacchettamento, come è il caso di don Ennio Melioli.
Un capitolo particolarmente importante merita la storia di don Pessina, della quale negli anni ’90 si tornò a parlare a seguito della revisione del processo che consegnò alla giustizia il vero commando di ex gappisti che lo uccise scagionando definitivamente l’ex sindaco di Correggio Germano Nicolini e gli altri due che con lui si fecero quasi dieci anni di galera ingiustamente.
Zambrano ha potuto leggere la sentenza di proscioglimento per amnistia del killer di don Pessina del 1993 e constatato come, esattamente come accadde per il Beato Rolando Rivi, l’impronta ideologico-politica dell’odium fidei fosse certificata dalla ricostruzione che venne fatta durante il processo. Don Pessina infatti, come ha rivelato al Timone il nipote del sacerdote, Graziano Pessina, era stato minacciato da qualcuno tanto che dovette assentarsi per una notte dalla canonica, nella quale poi fece ritorno per trovarvi la morte.
La sua storia è la storia di una morte annunciata che venne portata avanti dalle Squadre di vigilanza democratiche, sulla cui esistenza tanto il Pci quanto i partigiani sono stati sempre reticenti. A scoprirle fu l’ex deputato comunista Otello Montanari, che più di tutti, attraverso il Chi sa parli, si attivò per la ricerca della verità. Squadroni della morte che di notte si aggiravano nelle campagne emiliane per fare giustizia degli anticomunisti e che avevano, stando a quando lo stesso Montanari e altri ex esponenti del Pci rivelarono, una funzione eversiva in chiave rivoluzionaria.
Questi e molti altri aspetti della vicenda di don Pessina, martire del Triangolo della morte, verranno affrontati per la prima volta dopo 70 anni nella parrocchia dove trovò la morte, a San Martino di Correggio. Qui a partire da domani, la comunità ha organizzato una due giorni di celebrazioni religiose alla presenza dell’Arcivescovo emerito di Ravenna mons. Verucchi e del presidente del Comitato Amici di Rolando Rivi, l’Arcivescovo di Ferrara e Comacchio Luigi Negri. Quest’ultimo, interverrà domenica alle 17 con l’autore, alla presentazione del Quaderno. Domani, sabato 18 giugno, nell'anniversario del martirio la Santa Messa sarà celebrata nella forma straordinaria del rito romano da mons. Giancarlo Pasotti, cancelliere della curia di Reggio Emilia. La celebrazione è a cura del gruppo stabile per la messa in latino "Beato Rolando Rivi" del Vicariato di Correggio.