Don Palazzolo, il beato che portava i poveri a Gesù
Autorizzato da papa Francesco il riconoscimento di un miracolo attribuito all’intercessione del beato Luigi Maria Palazzolo, fondatore delle Suore delle Poverelle. Un apostolato verso i giovani e gli orfani, il suo, che fruttò molte vocazioni.
Il 28 novembre papa Francesco ha autorizzato la Congregazione delle cause dei Santi a promulgare diversi decreti, tra cui quello relativo al riconoscimento di un miracolo attribuito all’intercessione del beato Luigi Maria Palazzolo (1827-1886), sacerdote bergamasco fondatore delle Suore delle Poverelle, che sarà quindi presto proclamato santo.
Come già ricordò nell’omelia di beatificazione il conterraneo Giovanni XXIII, che aveva sentito parlare per la prima volta di don Palazzolo all’età di 5 anni, quest’anima prediletta fa parte di quell’«assai copioso» numero di sacerdoti vissuti nell’Ottocento, «sacerdoti che, mediante l’istituzione di scuole, l’educazione della gioventù, le missioni al popolo, le opere di assistenza, vollero ancora una volta svelare al mondo il volto luminoso della Chiesa». Nell’epoca risorgimentale e post-unitaria, che vide diffondersi in Italia il pensiero liberal-massonico con tutta la sua carica anticattolica, don Palazzolo, sostenuto da un tenero amore per la Madonna e una salda fiducia nella Provvidenza, fu dunque uno dei sacerdoti che mantenne vivo l’annuncio di Gesù, testimoniando in concreto, con la sua vita di fede e le sue opere, l’illusione di una società che già allora pretendeva di escludere dai propri orizzonti il Dio che si è fatto uomo.
Luigi Maria, nato il 10 dicembre a Bergamo, era l’ultimo degli otto figli di Ottavio e Teresa, due genitori benestanti e cristiani devoti. Fin dalla sua fanciullezza visse diversi lutti familiari. Rimase orfano del padre quando non aveva ancora compiuto 10 anni, e intorno ai 23 gli morì anche l’ultimo dei fratelli. Educato nella fede cattolica, già da bambino aveva mostrato una grande pietà verso i poveri e pian piano era maturata in lui la vocazione sacerdotale.
Fu ordinato sacerdote il 23 giugno 1850 e iniziò il suo ministero presso l’oratorio di via della Foppa nella parrocchia di Sant’Alessandro in Colonna, in una delle zone più disagiate di Bergamo. La formazione cristiana dei ragazzi fu il nucleo del suo apostolato, insieme al venire incontro ai bisogni di orfani, malati indigenti, adulti analfabeti, secondo un proponimento che lui stesso riassunse con queste parole: «Io cerco e raccolgo il rifiuto di tutti gli altri, perché dove altri provvede lo fa assai meglio di quello che io potrei fare, ma dove altri non può giungere cerco di fare qualcosa io così come posso». Certo è che la sua opera non rimase senza frutti, abbondanti in primis nel numero di vocazioni: una quarantina di giovani formatisi in via della Foppa scelsero la strada del sacerdozio.
Di carattere gioviale, mite e al tempo stesso tenace, don Palazzolo trasmetteva agli altri grande allegria e vedeva in questa una chiave per aprire i cuori. Era abilissimo a maneggiare Gioppino, una maschera bergamasca. «Le sue rappresentazioni sono avvenimenti cittadini - scriveva Giovanni Battista Scaglia. Naturalmente nessuno immaginava che il “burattinaio” dispensatore di letizia a tante anime che non conoscevano che le sofferenze e gli stenti, usciva dalla sua camera per entrare nella “baracca” preparato da una lunga preghiera e da un’aspra penitenza, come per una vera e propria predicazione, e col cilicio ai fianchi. Era la sua cattedra, la cattedra del “povero ignorante”, quale egli si definiva, che trovava per tal via la possibilità di parlare anche a coloro che non avrebbero capito un linguaggio elegante, ma astratto».
Insomma, il suo naturale buonumore era parte integrante della sua pedagogia, come del resto di altri santi quali il contemporaneo don Giovanni Bosco e ancor prima san Filippo Neri, sotto la protezione del quale mise un nuovo oratorio, da lui inaugurato grazie alla donazione fatta dalla madre poco prima di morire.
Su consiglio di monsignor Alessandro Valsecchi, suo direttore spirituale, andò via via estendendo la sua missione anche alle fanciulle, alle loro necessità materiali e spirituali. E in questo si rivelò fondamentale l’incontro con la maestra Teresa Gabrieli, oggi venerabile, attorno alla quale nacque - passando per l’avvio a Bergamo della Pia Opera di Santa Dorotea (già diffusasi in altre città italiane e originata dall’iniziativa dei fratelli Luca e Marco Passi, entrambi sacerdoti) - la comunità di quelle che poi vennero chiamate Suore delle Poverelle, di cui la Gabrieli è considerata cofondatrice.
L’atto di inizio del nuovo istituto avvenne la notte tra il 21 e il 22 maggio 1869, che Teresa trascorse immersa nella preghiera: alle 3 di notte don Luigi Maria celebrò Messa e infine, nella casa in via della Foppa, Teresa professò i voti religiosi davanti a un dipinto dei Sacri Cuori di Gesù e Maria. Lo stesso don Palazzolo si adoperò per scrivere le costituzioni dell’istituto religioso, che accolse rapidamente nuove vocazioni.
Per ogni passaggio cruciale della sua vita e del suo apostolato, il futuro santo chiedeva consiglio al suo direttore spirituale, con cui intrattenne anche uno scambio epistolare dal quale emerge più volte il valore dato da don Palazzolo all’obbedienza. Come quando, nel 1872, chiese a monsignor Valsecchi di consigliarlo per il progetto di «una casa opportuna, sana e salutare», necessaria perché «crescono le monache e crescono le orfanelle». «Abbiamo fatto un Settenario alla Madonna perché si compia intorno a quest’affare la volontà santa di Dio […]. Manca adesso il suo consiglio, o Padre e Monsignor mio, e la sua obbedienza che vale più di tutti i consigli e mezzi che mi possono offrire mille mondi».
Nell’ottobre dello stesso anno ci fu anche l’atto di inizio di una congregazione maschile (durerà fino agli anni Venti del XX secolo), ai cui membri don Palazzolo affidò il compito di prendersi cura dei figli dei contadini poveri e degli orfani. Portava avanti queste opere tenendo ferme virtù ben precise: «Occorre umiltà e semplicità. L’umiltà toglie ogni timore e invita chiunque ha bisogno ad entrare… La semplicità dà ai poveri sicurezza ad aprire il cuore e versare tutte le loro amarezze». Scriveva ancora: «Vi metto nei cuori di Gesù e di Maria, e vorrei chiudervi dentro a chiave, da poter proprio respirare e mangiare e bere umiltà e così crescere umili».
I suoi frequenti problemi di salute, che accettava e offriva unendoli alla Passione di Nostro Signore, si aggravarono all’inizio del 1886, costringendolo a letto. Tornò infine alla Casa del Padre nelle prime ore del 15 giugno, a 58 anni e mezzo, sussurrando, con le ultime sue forze terrene, il nome di Gesù.