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L'INTERVISTA

Don Gabriele, sfida al Coronavirus: «Niente può toglierci la Messa»

Chi è don Gabriele Bernardelli, il parroco che ha commosso e dato speranza con il messaggio ai parrocchiani di Castiglione d'Adda, chiusi in casa per l'epidemia da Coronavirus? Ha benedetto sul sagrato, suonato le campane e non ha rinunciato alla Messa, «che niente può toglierci, perché è il bene più grande che abbiamo. E questa privazione ci aiuterà a desiderarla ancora di più». La Nuova Bussola Quotidiana lo ha incontrato. 
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Attualità 25_02_2020
Don Gabriele Bernardelli benedice i fedeli dal sagrato dopo la messa

«L’ho fatto perché l’Eucarestia è la cosa più importante che abbiamo nella vita». Si dice stupito per la improvvisa notorietà conquistata con un semplice audio di WhatsApp. Ma don Gabriele Bernardelli, parroco di Castiglione D’Adda, nel piccolo del suo gesto ha dato la testimonianza di fede più bella: la Messa ci salva e non saranno i dispacci prefettizi e gli adempimenti vescovili a cancellare con un colpo di spugna questo tesoro insostituibile.

Cronache dal Nord Italia che ha iniziato la settimana per la prima volta – da secoli? millenni? – senza Messe: da Torino a Udine, da Trieste a Modena, passando per Ivrea, Lodi, Verona, Milano, Bologna, Trento: siamo senza Messa. Il Coronavirus ha potuto fare ciò che invasioni islamiche, guerre e Massoneria non erano riuscite ad ottenere. E nel caos delle fredde comunicazioni vescovili, così arresesi facilmente alla Ragion di stato, sono davvero pochi i vescovi che si sono raccomandati con i preti di continuare a celebrare le Messe: Ivrea, Pavia e pochi altri. Per tutti gli altri la comunicazione ha il sapore del tana liberi tutti che ai preti sa tanto di rompete le righe.

Don Gabriele invece ha stupito tutti, perché ha ricordato che in questo clima di lassismo spirituale nel quale la Messa equivale né più né meno ad un servizio come il mercato rionale, da togliere quindi alla bisogna, è invece il centro della nostra vita. E il suo audio ha confortato tanti fedeli e dato coraggio a tanti sacerdoti di ricordare ai propri parrocchiani che al suono delle campane, la Messa sarà lì per loro, rimedio anche all’epidemia in corso. In poche ore il suo audio è diventato virale e don Gabriele si è trovato a dover fare i conti con il plauso di tantissimi cattolici sparsi per il Paese che lo hanno lodato. La Nuova Bussola Quotidiana lo ha trovato a Castiglione, pieno focolaio lodigiano dell’epidemia, nello studio della sua abitazione dove vive blindato da venerdì. «Non ho fatto niente di eclatante…», dice.

Eppure, non abbiamo sentito tanti vescovi dire che le Messe dovevano continuare…
Forse perché implicitamente ritengono che i loro preti siano consapevoli che la Messa la devono celebrare. 

Ma il fatto è che non siamo abituati a sentire un prete parlare con così tanto ardore e trasporto della Santa Messa. E a fare di tutto per non rinunciarvi. Ci racconti di lei.
Sono parroco a Castiglione d’Adda, che è un paese di 5000 anime e di Terranova, di appena un migliaio. Venerdì ho ricevuto la notizia del contagio di Codogno e abbiamo saputo che la persona era originaria di Castiglione, anche se non viveva qui.

E ora avete molti contagiati?
Bè, sì… un certo numero.

Che cosa ha fatto?
Venerdì ero a Lodi dalle monache del Carmelo per le confessioni, io lavoro anche in curia al tribunale ecclesiastico. Ma ho capito che dovevo rientrare immediatamente dalla mia gente.

E quando si sono complicate le cose?
Sabato, con la chiusura di tutte le attività e il comunicato del vescovo. A quel punto ho capito che domenica avrei dovuto celebrare da solo con gli altri confratelli.

Quando ha pensato all’audio?
Nella mattinata di sabato: mi sono trovato a pensare che cosa sarebbe stato della mia comunità senza la Messa comunitaria. Abbiamo una realtà vivace, tante celebrazioni e avevamo molte iniziative per il gruppo famiglie in vista per domenica. Ci sarebbe stato anche l’incontro di un gruppo diocesano per la pastorale famigliare. Insomma, sarebbe stata una domenica molto ricca. Ma l’assenza della Messa mi ha molto addolorato.

E ha pianto al tabernacolo, come ha raccontato…
Ho immaginato la gente che vede la vita cristiana azzerata, così mi sono detto: devo raggiungerli in un qualche modo per dire loro che la Messa ci sarebbe comunque stata e sarebbe stata per loro.

Mai avrebbe pensato che questo messaggio sarebbe arrivato ovunque?
Assolutamente no.

Ha mai pensato di sospendere anche lei la celebrazione della Messa?
No, mai. Nessuno potrà mai chiedermi di non celebrare Messa…

E come l’è venuta in mente l’idea della benedizione eucaristica?
Ho fatto più considerazioni. Anzitutto non bisogna dimenticare che da noi non c’è solo paura, ma c’è lo sconforto di vedere che il virus è entrato nelle nostre case. E in questi casi al panico si aggiunge la sensazione di essere stati abbandonati da Dio. Ma abbiamo l’Eucarestia che è il bene più grande che c’è sulla terra ed è conforto e benedizione. Così ho voluto dire loro: «Guardate che non siamo stati dimenticati da Dio, Lui vi benedice». Bisogna aiutare i miei parrocchiani a superare questo momento di scoraggiamento e di dubbio, perché ci è capitata questa cosa. Non ci maledice Dio, ma ci benedice.

E l’altro motivo?
L’altro motivo è che noi purtroppo consideriamo l’Eucarestia come una cosa. Invece quel che mi ha sempre colpito è che Gesù non ha dato all’Eucarestia una forza d’inerzia, che va avanti per suo conto, ma quando la celebriamo, Gesù è lì con il suo amore palpitante e il suo dolore, la sua Passione. Per cui nell’Eucarestia dove c’è Gesù risorto c’è anche il suo dolore. Nell’Eucarestia c’è tutto. Anche la guarigione. La benedizione ci restituisce questo Tutto, questo dolore con l’amore della nostra vita.

Che reazioni ha avuto?
La mia gente mi ha risposto ed era quello che volevo, si è creata questa rete in cui l’aspetto principale che si è rimarcato è quello della preghiera e l’unione dei cuori. Anche l’idea di suonare le campane serve a ricordarci che con la Messa parte una rete di preghiera che ricopre tutta la città.

Che cosa pensa della decisione di sospendere le Messe presa da tante diocesi?
Capisco lo scoraggiamento e la delusione dei fedeli che vorrebbero invece più Messe, però riconosco che alcune azioni di contenimento nella nostra zona debbano essere Messe in atto con rigore. In ogni caso, non importa come la penso io. Importa cercare e trovare un risvolto spirituale anche in questa situazione di privazione che ci possa aiutare.

E lei l’ha trovato?
Credo che questa lontananza dal Santo Sacrificio per i fedeli servirà a far crescere in noi la “fame dell’Eucarestia”. Diciamo la verità: oggi ci si è abituati alla Messa in maniera meccanica. Ma c’è un’altra idea che vorrei suggerire.

Quale?
Mi auguro che serva a vivere questa esperienza comunicando spiritualmente con coloro che desiderano l’Eucarestia e non possono averla, coloro che sono privi dell’Eucarestia da tempo. C’è un passaggio di Papa Benedetto XVI di quando era ancora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede che diceva proprio questo: dare un valore spirituale a una privazione temporanea per condividerla con chi non può averla. Una sorta di solidarietà eucaristica.

Com’è la sua vita quotidiana ora che è costretto a non uscire di casa?
È scandita dalla preghiera e dal lavoro: ho del lavoro arretrato dal tribunale regionale per le cause di nullità, devo studiare. Insomma, ci sono tutte quelle attività che si rimandano e non si riesce mai ad approfondire.

E per il cibo?
Gli alimentari sono aperti e anche i supermercati, l’unica accortezza è quella di entrare pochi alla volta. Gli ingressi sono regolati per evitare assembramenti. Ho visto in un supermercato di Casalpusterlengo che ci hanno fatto entrare a flussi minimi e regolati.

Torniamo all’assenza della Messa. A lei che cosa dice personalmente?
Spiritualmente mi dice che proprio perché si rinnova il Sacrificio del Signore il poter celebrare è uno sguardo lanciato sul futuro e di conseguenza uno sguardo di speranza per la gente.

Si è sentito un po’ don Camillo che celebra Messa con la chiesa allagata e i fedeli fuggiti oltre argine?
Sì (ride) e la cosa non mi dispiace affatto. Del resto, il Papa stesso, parlando ai vescovi italiani, ha indicato don Camillo come modello di parroco.