Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Giovanni da Kety a cura di Ermes Dovico

Omoeresie

Don e "sposo gay", scandalo risaputo fermato troppo tardi

Che l'ex parroco di Selva di Progno avesse un "collaboratore" era risaputo e non si è fatto nulla per fermare lo scandalo.

Gender Watch 06_07_2018

Il provvedimento canonico con il quale verrà ridotto allo stato laicale don Giuliano Costalunga arriverà. Arriverà come atto dovuto e forzato dall’esplosione di una vicenda, quella dell’ex parroco di Selva di Progno che ha “sposato” in Spagna un uomo, che è diventata di dominio pubblico quando i giornali ne hanno parlato. Poteva avvenire molto prima, perché lo scandalo per la fede dei fedeli era in atto da molto tempo, ma il redde rationem è stato indotto solo dal clamore della vicenda mediatica e da una vicenda legale che andrà avanti per molto tempo. Solo giovedì infatti il vescovo Giuseppe Zenti si recherà in parrocchia a consolare la comunità orfana del suo parroco. Poteva salire sui monti Lessini anche prima, ma si è atteso, secondo la peggiore delle strategie clericali, che la cosa esplodesse in tutto il suo clamore con articoli di giornale e l’immancabile intervista veleno del “neo sposo” su Repubblica.

E’ un problema principalmente di tempistiche, quello di don Giuliano Costalunga e del suo vescovo. Da anni lo scandalo – stando a quanto raccontano ex confratelli e parrocchiani alla Nuova BQ – era perpetrato sotto gli occhi di tutti. Ma non si è fatto niente, per quieto vivere e disinteresse.

Fino a quando ad aprile don Giuliano non si è “sposato” in Spagna. Prima aveva lasciato il ministero sacerdotale, a febbraio con una raccomandata con ricevuta di ritorno, tanto per far capire come erano i rapporti con le gerarchie della Chiesa veronese, ma oggi può dirsi ancora prete nel cuore secondo un frasario che il codice di diritto canonico non prevede. Infatti, fino a poco prima di quella comunicazione di febbraio aveva continuato a ricevere lo stipendio.

Anche dopo la decisione di lasciare la parrocchia tre anni fa. “E’ stato – dice lui – quando a seguito di incomprensioni che mi hanno portato a chiedere di abbandonare il ministero sacerdotale in seguito alla sospensione dello stipendio che era arrivata qualche settimana prima”. Dalle sue parole si intuisce che ricevesse ancora regolare stipendio anche dopo aver lasciato la parrocchia e che solo dopo la sospensione sia arrivata la richiesta di lasciare l'abito.

Più che l’orgoglio gay potè il conto in banca, praticamente. Ma il tema è vecchio e stravecchio, affrontato con grande difficoltà da parte della diocesi. C’è molto dolore negli occhi di un vescovo quando accadono queste cose, emerge la sua natura di padre, ma forse bisognerebbe chiedersi se abbaiare prima di fronte al nemico, non avrebbe contribuito a rendere lo scandalo più facile da digerire per i fedeli. Il nemico non è infatti il prete che, in evidente confusione circa il suo status di chierico e la sua vocazione, ma anche la sua condotta morale, ha mostrato ancora una volta quanto l’omoeresia dilagante sia penetrata dentro la Chiesa. Il nemico è colui che attenta la fede del popolo di Dio. Quali frutti potevano nascere da un sacerdote che per anni ha convissuto con un uomo che in diocesi veniva persino chiamato “il perpetuo”?

Nelle interviste don “Julian” lo chiama collaboratore. Normale la situazione non doveva certo essere, ma evidentemente andava bene così a tutti, perché lo scandalo era circoscritto soltanto ai piccoli borghi della Lessinia. Invece adesso si grida al lupo! al lupo! solo perché sono arrivate le troupe televisive con il loro carico di morbosità.

Da quando andava avanti questa storia? Da almeno un decennio, da quando don Giuliano conobbe Paolo che – dice lui – “mi ha salvato la vita” intendendo che gli ha dato una ragione di vita. Ci si aspetterebbe che a salvare la vita debba essere Cristo. Invece…

Adesso lui dalle colonne di Repubblica lancia strali a destra e manca. Dice che continuerà a celebrare messa nel chiuso della sua casa di Gran Canaria, ma questo è impossibile dato che la sua condizione lo pone irrimediabilmente nella situazione della scomunica latae sententiae e aggiunge minaccioso che ci sarà anche lui stasera in chiesa in prima fila a raccontare la sua versione dei fatti. Difficile immaginare che il vescovo accetterà un contraddittorio con lui, che potrebbe far passare la situazione dallo scandaloso al ridicolo, con la rottura di una comunità come risultato di tutto.

A quanto risulta alla Nuova BQ dunque, stasera non ci sarà alcun contraddittorio tra i due, ma tutto è possibile.

Resta però – e di questo se ne dovrà far carico il vescovo – la fede dei parrocchiani. Come è stata minata in tutti questi anni nei quali lo scandalo è stato visto da tutti? I piercing, l’orecchino, i tatuaggi, ma anche i flash mob con tanto di balletti come metodo di evangelizzazione pastorale alla moda, c’erano già prima, quando don Giuliano era parroco e Paolo soltanto il suo, assiduo, collaboratore. Ma che impianto morale solido potrà mai aver dato ai fedeli a lui affidati se lui per primo contraddiceva pubblicamente, nella carne e nel vivere quotidiano, la dottrina cattolica che si fonda sulla verità del progetto divino sull’uomo?

https://lanuovabq.it/it/don-e-sposo-gay-scandalo-risaputo-fermato-troppo-tardi