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SANTI E GASTRONOMIA/ 20

Domenico Savio e il segreto della santità

Proveniente da una famiglia numerosa, umile e ricca di fede, il giovanissimo Domenico Savio aveva chiesto a don Bosco quale fosse il segreto della santità. Pregare e fare il bene, con gioia, si era sentito rispondere. E Domenico lo fece, dimostrando di essere un “piccolo, anzi grande gigante dello spirito”, come lo definì Pio XI.
LA RICETTA: COSTOLETTE ALL’ASTIGIANA

Cultura 17_10_2021 English Español

Carlo Enrico viaggia sui sedili dietro dell’auto di grossa cilindrata. Suo padre è al volante, la madre di fianco a lui. Il silenzio in macchina è opprimente. Se avesse almeno le cuffie… ma gliele hanno sequestrate, insieme al suo iPhone. Comincia a preoccuparsi, domandandosi per quanto tempo lo puniranno così, senza uscite con gli amici, senza iPhone e cuffie, senza i videogiochi. Certo, il momento in cui la guardia della grande libreria in centro lo aveva sorpreso mentre cercava di uscire senza pagare con i cavi che aveva sottratto nel reparto iPhone era stato terribile. La guardia non aveva voluto sentire ragioni, tuonando contro “i figli maleducati e viziati dei ricchi” e aveva chiamato la polizia. L'ora passata al posto di polizia gli era sembrata senza fine, poi i suoi erano arrivati, avevano parlato con il capo e lo avevano portato a casa.

L'interrogatorio del padre non aveva tirato granché da lui, non era stato in grado di dirgli perché aveva preso quei cavi (che, per la verità, non gli servivano nemmeno). Avrebbe potuto comprarli, i genitori gli passavano una discreta somma come paghetta mensile e la madre gli ripeteva sempre che era parecchio denaro per un dodicenne; ma prenderli e cercare di uscire senza pagarli gli era sembrata una cosa da grandi. I genitori non la pensavano così. Gli avevano annunciato il seguito, oltre alle punizioni sopra descritte. Dopo una telefonata che avevano fatto a don Celestino, il parroco amico loro, gli avevano detto che il giorno dopo sarebbero andati in pellegrinaggio. Una strana parola: faceva rima con “ingranaggio”.

Ora erano in viaggio, in “pellegrinaggio”, per conoscere la vita di un giovane quasi della sua età, che i genitori gli vogliono dare come esempio. Si chiama Domenico Savio. Carlo Enrico sente un pizzico di gelosia: chi sarà mai questo Domenico che i suoi ammirano tanto, mentre a lui hanno sequestrato le cose? Chissà che arie si darà quando arriveranno lì... Carlo Enrico legge sul cartello di entrata nel villaggio: “San Giovanni di Riva”. Arrivano a destinazione, si fermano davanti ad una costruzione designata come “La Casetta”. Scendono e sono accolti da un giovane che farà loro da guida, si chiama Alessandro. Cominciano la visita. Alessandro spiega loro che questo è il Centro di Spiritualità San Domenico Savio conosciuto appunto come «La Casetta», che sorge presso la casa natale del giovane santo, a San Giovanni di Riva. L’abitazione che Carlo Savio, padre di Domenico, aveva affittato è situata a nord-ovest, all’angolo della parte terminale dell’intero complesso. I Savio vissero lì fino al novembre 1843, quando Domenico non aveva ancora due anni; poi si spostarono, per motivi di lavoro, a Morialdo, frazione di Castelnuovo, dove rimasero per una decina di anni.

Sentendo enunciare quella data, Carlo Enrico chiede se Domenico fosse morto. Alessandro sorride e conferma, sì, è morto nel 1857. Il ragazzo si sente un po' a disagio: non può essere geloso di uno che è morto. Comincia a prestare attenzione alle spiegazioni di Alessandro, che ora è intento a mostrare loro la cappellina ricavata dall’antico locale della cucina, poi visitano un piccolo museo che riproduce una bottega di fabbro qual era il padre di Domenico, la stanza dove nacque Domenico Savio con gli originali pavimenti in mattone e la stanzetta dei bambini. Carlo Enrico si sente dispiaciuto vedendo quella stanza così esigua, che doveva ospitare non solo Domenico, ma anche i suoi fratelli e pensa alla sua, spaziosa e luminosa.

Alessandro spiega che Domenico Savio proviene da una famiglia relativamente povera. Suo padre, Carlo Savio, era, come visto, fabbro e sua madre sarta; avevano altri nove figli. Ben presto i suoi genitori insegnarono a Domenico a pregare, ad amare Dio. Il ragazzo andava a Messa quasi tutti i giorni e diventò chierichetto. All’età di sette anni, gli fu offerto di fare la sua Prima Comunione, fatto insolito per l’epoca in cui l’età normale per accostarsi per la prima volta all’Eucaristia era di 12 anni. Carlo Enrico, sentendo il racconto, è impressionato.

Poiché Domenico era un bambino intelligente, i suoi genitori cercarono di dargli un'istruzione completa. Ma il paese dove viveva la famiglia non aveva una scuola. Domenico percorreva tutti i giorni, per due volte tra andata e ritorno, i quattro chilometri che separano Morialdo da Castelnuovo d'Asti, dove c’era una scuola. Molti erano sorpresi di vedere il ragazzino fare questo lungo viaggio, ma lui rispondeva loro di non essere solo, ma con Dio.

A scuola si fece subito notare per le sue grandi qualità. Piuttosto apprezzato dai suoi compagni di classe, diceva comunque che i suoi migliori amici sarebbero stati sempre Gesù e Maria. Don Bosco (1815-1888) visitò la regione nel 1854 e seppe di questo ragazzo pio e intelligente. Dopo averlo incontrato e interrogato, decise di portarlo nella sua scuola, l'Oratorio di San Francesco di Sales, a Torino, nel quartiere di Valdocco, che accoglieva allora circa 115 bambini.

Domenico raccontava a Don Bosco il suo sogno: farsi santo. Carlo Enrico è stupito: non ha mai sentito una cosa del genere: voler diventare santo. Poliziotto, pompiere, corridore di Formula Uno, sì: ma santo? Decisamente, Domenico lo intriga. Alessandro continua il racconto, spiegando che don Bosco ha dato a Domenico il segreto della santità: pregare e fare del bene, cercare di essere un esempio per gli altri, facendo tutto con gioia e un sorriso. Domenico vi si è applicato, lo testimoniano i numerosi episodi della sua vita. Per esempio, il seguente. Un giorno, due studenti, dopo una seria discussione, decisero di combattere fino alla morte. Domenico andò a trovarli, si mise in mezzo a loro e brandì una croce, dicendo loro di colpirlo per primo. Pochi giorni dopo, riuscì a riconciliarli. Fondò un gruppo di giovani, la Compagnia dell’Immacolata, con lo scopo di edificare e santificare i suoi membri. Gli sono attribuite visioni profetiche durante le quali vide il ristabilimento ufficiale della religione cattolica in Inghilterra.

Ma Domenico era di salute fragile, purtroppo. Si ammalò nel giugno 1856. Don Bosco, preoccupato, lo mandò a respirare l’aria familiare di Mondonio (dove i Savio si erano spostati nel 1853) perché potesse riposare. Vi rimase due mesi e tornò a Torino alla fine di agosto. Ma si ammalò di nuovo. Don Bosco lo mandò in infermeria, poi, sperando che l’aria di campagna lo rimettesse in salute, chiese a Carlo Savio di venire a cercare suo figlio. Domenico tornò a Mondonio il 1° marzo 1857. Vi morì di tubercolosi il 9 marzo, verso le 10 di sera. Poco prima di morire, disse ai suoi genitori con un'aria di estasi: “Oh! Che bello quello che vedo!".

Quando Domenico Savio morì, don Bosco era talmente convinto della sua santità che decise di pubblicarne subito la biografia. Così, scrisse un libro su Domenico nel 1858, per sottolinearne la vita esemplare. In effetti, questo ragazzo morto a poco meno di 15 anni aveva tutte le carte in regola per essere additato come modello ai giovani. Nel 1914 i suoi resti mortali furono traslati a Torino nella basilica di Maria Ausiliatrice. Pio XI lo definì “piccolo, anzi grande gigante dello spirito”. Dichiarato eroe delle virtù cristiane il 9 luglio 1933, Pio XII lo beatificò il 5 marzo 1950 e lo canonizzò il 12 giugno 1954. Domenico, quasi quindicenne, divenne così il più giovane santo cattolico non martire (poi ‘superato’ da altri santi ancora più giovani, come Francesco e Giacinta Marto). I suoi resti mortali, collocati in un nuovo reliquiario realizzato in occasione del 50° anniversario della canonizzazione, sono venerati nella Basilica torinese di Maria Ausiliatrice.

È patrono dei pueri cantores, nonché dei chierichetti, entrambe mansioni liturgiche che svolse attivamente. Altrettanto nota è la sua speciale protezione nei confronti delle gestanti, tramite il segno del cosiddetto “abitino”, in ricordo del miracolo con cui il santo salvò la vita di una sua sorellina che doveva nascere. La memoria liturgica del santo è stata fissata al 9 marzo, mentre per la Famiglia Salesiana e per le diocesi piemontesi è stata posta al 6 maggio, per evitare che la celebrazione cada in Quaresima.

La visita è finita e, dopo avere ringraziato, Carlo Enrico e i suoi riprendono il viaggio di ritorno. Il ragazzo rimane silenzioso per tutto il viaggio. Quando arrivano a casa, va nella sua camera e mette l'immaginetta del santo sul suo comodino. Si siede sul letto e pensa a quanto ha imparato oggi. Promette mentalmente a Domenico di non rubare mai più e di diventare anche lui un esempio per gli altri. Il padre lo guarda dalla porta, rimasta socchiusa, e capisce che il figlio ha imparato oggi una lezione importante. Ringrazia interiormente san Domenico Savio per questo ulteriore miracolo.