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DIRITTI (IN)CIVILI

Divorzio breve: agonia radicale

I radicali depositano in Cassazione sei quesiti referendari tra cui uno sul divorzio breve, per ridurre da tre anni a pochi mesi il periodo di separazione contestuale. Le ragioni: «aumentano i costi, si intasano i tribunali, si esasperano i rapporti umani».

Famiglia 17_04_2013
Divorzio breve

I radicali due giorni fa [10 apr] hanno depositato in Cassazione sei quesiti referendari tra cui uno sul divorzio breve. Andando ad abrogare parte dell’art. 3 della legge sul divorzio, l’intento perseguito, ci dicono, è il seguente: “Il referendum elimina i tre anni di separazione obbligatoria prima di chiedere divorzio, la cui domanda potrebbe essere fatta contestualmente alla separazione”. Insomma da tre anni a quasi zero: potrebbe saltare quindi qualsiasi periodo di separazione prima del divorzio.

In riferimento al merito di questa iniziativa rimandiamo all’articolo pubblicato su queste colonne dal titolo “Non si tratta di divorzio breve, ma di matrimonio breve” che commentava la proposta di legge dell’on. Maurizio Paniz, in esame in Parlamento nel febbraio del 2012, mirante anch’essa a introdurre nel nostro ordinamento il divorzio breve. La proposta di Paniz, è il caso di dirlo, però non era così radicale: da tre ad un solo anno per poter divorziare (eccetto nel caso in cui ci fossero stati figli minori). In quell’articolo ponevamo in evidenza che per la nostra Costituzione è il matrimonio ad essere un valore da tutelare e non il divorzio. In tal senso la volontà di separarsi e poi di divorziare è – seppur solo formalmente – in tutti i modi scoraggiata dal legislatore perché considerata una scelta patologica e non fisiologica. Il termine attualmente vigente di tre anni mira proprio ad imporre un tempo di riflessione obbligatorio prima di rompere definitivamente il rapporto matrimoniale.

Sul sito dei Radicali a proposito di questo referendum si legge: “Solo in Italia se vuoi divorziare devi aspettare 3 anni di separazione: aumentano i costi, si intasano i tribunali e si esasperano i rapporti umani. Vogliamo abolire questa follia”. Insomma pare proprio che tutti i separati non vedano l’ora che arrivi questo benedetto divorzio breve per liberarli da una vita d’inferno e da costi che nelle more di attesa del divorzio continuano a crescere. Ma a leggere i dati Istat del 2012 si scopre che un sorprendente 40% delle separazioni pronunciate nel lontano 1998 al 2010 non sono sfociate in divorzio. Per quale motivo? Una minima parte sicuramente per impicci burocratici e giuridici di varia natura, ma per la maggior parte non c’è interesse a mettere la parola “fine” con tanto di timbro dello Stato alla propria relazione. Sia perché i coniugi quasi ex ritengono sufficiente le garanzie proprie della separazione, separazione che di fatto è già vissuta come divorzio, sia perché vivono il rapporto di separazione in modo liquido. Spesso cioè non si vuole definire la rottura, si desidera tenere una porta aperta – non di rado a tempo indeterminato - ad un futuro e possibile ricongiungimento. A volte dunque smettere per sempre ufficialmente i panni di “coniuge” viene percepito come un doloroso strappo della coscienza da rimandare il più possibile.

Ma in realtà i Radicali si sono inventati questi quesiti referendari non tanto perché sono davvero interessati al divorzio breve, all’8 per mille, al finanziamento pubblico e altre materie oggetto dei referendum, ma perché questo è uno degli ultimi e disperati tentativi per tentare di far sapere agli italiani che la loro forza politica, ormai fuori dal Parlamento, ancora esiste. Un bengala di segnalazione nella notte oscura dell’indifferenza che li ha avvolti. I figli e i nipotini di Pannella si accalorano su cannabis e immigrazione quando l’italiano medio è tutto preso dal far quadrare i conti in casa. A quest’ultimo non interessa più lottare per aborto e divorzio, sia perché ormai traguardi da un pezzo acquisiti, sia perché la vera priorità è non avere la pancia vuota.

L’indifferenza verso questi temi in realtà è l’esito proprio della strategia di matrice radicale: la libertà individuale sacralizzata e resa assoluta porta all’anoressia dell’impegno politico, al menefreghismo civile perché ciò che importa sono gli interessi del singolo, non quelli pubblici. Il partito radicale è stato ucciso proprio da quei figli partoriti negli anni Settanta ed oggi diventati grandi ed indipendenti. Quindi queste battaglie per “i diritti civili” appaiono stantie, cose di altri tempi, quando ancora lo strumento del referendum poteva funzionare. I Radicali oggi sembrano Yokoi Shoichi, quel militare giapponese che per 28 anni si nascose nella giungla credendo che la Seconda Guerra Mondiale non fosse finita.