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AMORIS LAETITIA

Divorziati "risposati", un altro cardinale sposa i dubia

"Ciò che è vero in un posto A non può essere falso in un posto B. Queste interpretazioni differenti dell’esortazione, che riguardano delle questioni dottrinali, causano confusione fra i fedeli. Io sarei lieto perciò se il Papa facesse chiarezza al riguardo, preferibilmente nella forma di qualche documento magisteriale". Intervistato dal Timone, il cardinale arcivescovo di Utrecht, Eijk chiede al pontefice un documento magisteriale per mettere fine alla confusione generata dall’esortazione post sinodale Amoris laetitia.

Ecclesia 08_03_2018

Olandese, 65 anni, medico e teologo esperto di bioetica, dal 2007 arcivescovo di Utrecht e fino al 2016 presidente della conferenza episcopale dei Paesi Bassi. E' il cardinale Willem Jacobus Eijk che ha rilasciato una lunga intervista pubblicata sul numero di marzo del Timone.

Nelle risposte affronta apertamente quel piano inclinato che i paesi del centro nord Europa hanno imboccato da tempo e su cui ormai scivolano tutti i paesi dell’Occidente. «La porta, una volta socchiusa, alla fine si apre completamente», dice Eijk spiegando la situazione dell’Olanda rispetto all’eutanasia. La perdita dei principi non negoziabili, anche nell’azione politica dei cattolici, si mostra come una ferita mortale nella ricerca del bene comune e per la dignità della persona umana.

Per quanto riguarda il dibattito ecclesiale sulla questione dell’accesso all’eucaristia per i divorziati risposati, il cardinale ritiene «sarebbe necessario fare chiarezza». Una confusione generata dal capitolo VIII di Amoris laetitia per cui alcuni vescovi o conferenze episcopali offrono soluzioni diverse al fedele.

Ecco alcune risposte del cardinale Eijk al giornalista del Timone Lorenzo Bertocchi.

Eminenza, sembra che molti cattolici impegnati in politica abbiano dimenticato i cosiddetti “principi non negoziabili” (difesa della vita, famiglia naturale e libera educazione).
«I numeri 73-74 dell’Evangelium vitae di Giovanni Paolo II (1995) permettono che i politici cattolici sotto certe condizioni, cioè rispettando le condizioni dei principi generali sulla collaborazione al male, possano votare per una legge, per esempio una norma più restrittiva sull’aborto procurato, anche se si tratta di una legge intrinsecamente ingiusta, nel tentativo di prevenire che sia accettata una proposta di legge sull’aborto più permissiva. I politici, limitando così il numero di aborti procurati, possono vedere questa azione come un contributo al bene comune. Molti politici cattolici hanno difeso in questo modo il loro voto a favore di una legge sull’aborto o sull’eutanasia, sebbene ci si possa chiedere se davvero abbiano seguito sempre tutte le condizioni menzionate nella Evangelium vitae e se il loro voto possa davvero essere interpretato come un contributo al Bene Comune. Ora, a parte il fatto che molti politici cattolici siano effettivamente preparati per dialogare sui principi non negoziabili e per arrivare a un compromesso eticamente giustificabile o meno, temo che molti di loro non li vedano nemmeno più come non negoziabili».

A suo parere qual è la causa di questa situazione?
«La crisi della fede colpisce sempre anche le convinzioni morali, che ne sono una parte intrinseca. La crisi della fede in Cristo ha condotto a una crisi della fede nella norma assoluta, l’esistenza di atti intrinsecamente cattivi, e perciò nel fatto che certi principi non sono negoziabili. Tuttavia, “bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” (Atti 5,29). Le leggi umane devono corrispondere alla legge morale naturale, che salvaguarda la dignità della persona e che deriva dall’ordine che Dio ha dato alla sua creazione». (…)

Nel mese di gennaio lei ha rilasciato un’intervista al quotidiano olandese Trouw, dove ha affrontato la controversa questione dell’accesso ai sacramenti per le coppie di divorziati risposati, un tema che è frutto del cammino sinodale. Potrebbe ripetere il suo pensiero al proposito?
«La questione se si possa consentire ai cosiddetti divorziati risposati civilmente di ricevere l’assoluzione sacramentale e quindi l’eucaristia sta spaccando la Chiesa. Si incontra un dibattito, alle volte abbastanza veemente, a tutti i livelli, fra cardinali, vescovi, preti e laici. La fonte della confusione è l’esortazione post sinodale Amoris laetitia, scritta da Papa Francesco in conclusione dei Sinodi sulla famiglia del 2014 e 2015. Questa confusione concerne soprattutto il numero 305 dell’esortazione. Si osserva che alcune conferenze episcopali hanno introdotto delle regole pastorali che implicano che i divorziati risposati possano essere ammessi alla comunione con una serie di condizioni e dopo un periodo di discernimento pastorale da parte del sacerdote che li accompagna. Invece, altre conferenze episcopali escludono questo. Ciò che è vero in un posto A non può essere falso in un posto B. Queste interpretazioni differenti dell’esortazione, che riguardano delle questioni dottrinali, causano confusione fra i fedeli. Io sarei lieto perciò se il Papa facesse chiarezza al riguardo, preferibilmente nella forma di qualche documento magisteriale.

Io stesso, partecipando a entrambi i Sinodi sulla famiglia, ho argomentato che non si può consentire ai divorziati risposati in rito civile di ricevere la comunione, l’ho fatto anche in un articolo pubblicato su di un libro che conteneva interventi di undici cardinali (“Si può consentire ai divorziati risposati con rito civile di ricevere la comunione?,” in: Matrimonio e Famiglia: Prospettive pastorali di undici cardinali, W. Aymans (ed.), Cantagalli, Siena 2015, pp. 75-86, ndr)».

Può spiegare brevemente qual è la sua posizione?
«Gesù stesso dice che il matrimonio è indissolubile (Mt 5,32; 19,9; Mc 10,11-12; Lc 16,18). Gesù, nel Vangelo secondo Matteo (19,9; cfr. 5,32), sembra ammettere una eccezione, cioè che si possa ripudiare la propria moglie «in un caso di unione illegittima». Tuttavia, il significato della parola greca, porneia, tradotta qui con «unione illegittima», è incerto: significa molto probabilmente un’unione incestuosa a causa di un matrimonio entro gradi di parentela proibiti (cfr. Lev 18,6-18; cf. Atti degli apostoli 15,18-28).

L’argomento più profondo è che non si può consentire ai divorziati risposati di ricevere la comunione in base all’analogia tra il rapporto fra marito e moglie e quello fra Cristo e la Chiesa (Ef 5,23-32). Il rapporto fra Cristo e la Chiesa è un mutuo dono totale. La donazione totale di Cristo alla chiesa si realizza nella donazione della sua vita sulla croce. Questa donazione totale è resa presente nel sacramento dell’Eucaristia. Chi partecipa all’Eucaristia deve essere pronto a un dono totale di se stesso, che fa parte della donazione totale della Chiesa a Cristo. Chi divorzia e si risposa in rito civile, mentre il primo matrimonio non è stato dichiarato nullo, viola il dono mutuo totale che questo primo matrimonio implica. Il secondo matrimonio in rito civile non è un matrimonio vero e proprio. Il violare il dono totale del primo matrimonio ancora da considerare come valido, e l’assenza della volontà di attenersi a questo dono totale, rende la persona coinvolta indegna di partecipare all’eucaristia, che rende presente la donazione totale di Cristo alla Chiesa. Questo non toglie, però, che i divorziati risposati possano partecipare alle celebrazioni liturgiche, anche quella Eucaristica, senza ricevere la comunione, e che i sacerdoti li accompagnino pastoralmente.

Nel caso in cui i divorziati risposati civilmente non possono separarsi, ad esempio per le loro obbligazioni verso i figli di entrambi, possono essere ammessi alla comunione o al sacramento della penitenza, solo rispondendo alle condizioni menzionate nel numero 84 della Familaris consortio e nel numero 29 della Sacramentum caritatis. Una di queste condizioni è che loro devono impegnarsi a vivere come fratello e sorella, cioè smettere di avere rapporti sessuali».