Distinguere sacro e profano, l’importanza dei cinque sensi
L’uomo finisce per vivere come se Dio non esistesse, se non “esperisce Dio” con i suoi cinque sensi, cioè se non fa esperienza del sacro, tramite melodie, profumi, spazi, riti distinti da quelli profani. Ignorare ciò non porta a una religione più spirituale, ma ad accantonare Dio.
Che la polarizzazione sacro-profano appartenga all’esperienza religiosa dell’umanità (vedi qui) non è un dato da trascurare. Il giudizio secondo cui questo dato rifletterebbe il retaggio di una religiosità immatura e superata è piuttosto pretenzioso e nasce tendenzialmente in contesti ove la religione viene confusa con la spiritualità.
Qual è l’anima, il motore della religione? Non è la ricerca della consapevolezza, della concentrazione, dell’equilibrio e nemmeno propriamente di un’esperienza interiore del divino. Tutti aspetti che hanno la loro importanza, ma che non costituiscono la religione, che è invece un insieme di pratiche e di credenze che caratterizzano non semplicemente il singolo, ma un’intera comunità, per rendere culto alla divinità. È questo il cuore teologico della religione, che ha poi evidentemente delle ripercussioni sia sul piano sociale che su quello psicologico. Alla base della religione c’è una concezione della realtà che riconosce la dimensione divina, non in modo astratto, bensì come profondamente relata all’origine e al destino del cosmo in generale e di un popolo in particolare. Per questo, la religione è segnata dal culto, mediante il quale si onora la divinità, la si ringrazia per i benefici percepiti, la si rende propizia, se ne placa la “collera”, etc.
Per quante distorsioni possano esistere in questo ambito, lo “zoccolo duro” della religione è sostanzialmente sano, appunto perché orienta e struttura la vita personale e di una società verso la divinità. E questo avviene in modo molto concreto, ossia mediante riti, oggetti, tempi, spazi, persone che vengono, per così dire, sottratti alla profanità, per poter entrare nella sfera del divino. Si vede dunque come la religione esiga strutturalmente il sacro, il quale non si comprende se non nella sua opposizione al profano.
La diade sacro-profano ha ben poco a che vedere con quella eticamente connotata da buono-cattivo o da lecito-illecito, che sono pure categorie che appartengono al fenomeno religioso. Essa riguarda un aspetto ancora più profondo e fondamentale della religione: sperimentando la caducità, la decadenza e anche il caos del mondo profano, l’uomo comprende di dover accedere alla vera realtà, la realtà del divino, o meglio, di permettere a questa realtà di farsi presente, di manifestarsi in una modalità sperimentabile dall’uomo. Una volta che queste mediazioni, che permettono la ierofania, entrano in contatto con il divino, esse divengono sacre, ossia messe a parte per il servizio della divinità.
Questo pilastro fondamentale della religione è stato confermato dalla rivelazione di Jahvè ai Patriarchi e al popolo di Israele. È sufficiente dare una rapida lettura ai passi che riguardano gli altari eretti dai Patriarchi, la Tenda del Convegno voluta da Dio e rivelata a Mosè, l’istituzione del sacerdozio levitico, dei sacrifici prescritti e dei tempi sacri, l’edificazione del Tempio, i riti di purificazione. E si potrebbe continuare. Il Signore Gesù, vero Dio e vero uomo, si assoggettava non solo ai precetti morali della Torah, ma anche a quelli cultuali, che con il suo insegnamento non intendeva proibire, ma purificare da quelle «tradizioni degli uomini» che trascuravano il comandamento di Dio (cf. Mc 7, 8). La Nuova Alleanza ha comportato l’istituzione di un nuovo rito nel suo Corpo e nel suo Sangue, nuovi sacramenti, un nuovo sacerdozio, che pure confermano pienamente la struttura di fondo della diade sacro-profano.
L’idea di gommare tale diade, ritenendola superata dall’Incarnazione del Figlio di Dio, non rende ragione del senso dell’Incarnazione: il Verbo assume la natura umana, con tutte le sue dimensioni essenziali, tra cui quella più radicale della religiosità, che per esprimersi e compiersi ha bisogno appunto dei riti sacri. Gesù Cristo, perfetto uomo, ha vissuto la religione dentro questa struttura fondamentale, l’ha assunta e l’ha rinnovata. Perché l’uomo, come singolo e come popolo, data la sua modalità conoscitiva, se non “esperisce Dio” con i suoi cinque sensi, finisce per vivere come se Dio non esistesse. La sua natura richiede che i suoi sensi non siano sospesi nel vuoto, ma possano “percepire” il divino. E ciò avviene precisamente mediante l’esperienza del sacro, quella dimensione esperibile dai nostri sensi e che pure è in discontinuità con questo mondo, ma che non è totalmente altra da questo mondo.
Detto in modo ancora più spicciolo: se le mie orecchie non odono melodie in discontinuità con ciò che appartiene al profano, se le mie narici non odorano un profumo altro da quello comune, se il mio corpo non entra in uno spazio diverso da quello della mia abitazione o di un luogo pubblico civile o commerciale, il risultato non sarà una religione più spirituale e più pura, ma la sparizione di Dio dall’orizzonte dell’uomo. Ed è precisamente quello che è accaduto. Se i cinque sensi non fanno più l’esperienza del divino mediato dalla sacralità, allora l’uomo vivrà quanto i suoi cinque sensi gli comunicano, ossia una realtà priva del divino.
Questa discontinuità del sacro rispetto al profano è la condizione fondamentale perché l’uomo abbia il senso della presenza di Dio nel mondo e della sua azione sul mondo. E il contatto con il sacro è esperienza più potente di mille parole. La vita religiosa ha più a che fare con una prostrazione o con il profumo dell’incenso, che non con continui discorsi sui valori; la vita cristiana non fa eccezione. Bisogna tornare a riflettere su questa concatenazione di verità: il cristiano è innanzitutto un uomo; l’uomo è essenzialmente religioso; la religione è essenzialmente costituita da un insieme di riti; i riti hanno a che fare con ciò che si può esperire con i cinque sensi. Il che significa anche, drammaticamente, che se l’esperienza dei cinque sensi, mediante la sacralità del rito, non afferra più il divino, allora Dio viene declassato ad un’idea più o meno ipotetica, la religione ad un insieme di valori non necessariamente connessi con il divino e l’uomo cessa di essere religioso, ossia di comprendere che Dio è il senso e l’orientamento di tutta la vita, di tutta la storia, di tutto il cosmo.
Sacro e profano, la distinzione da recuperare
Una certa corrente teologica insiste sul fatto che, con Dio che si è fatto carne, la distinzione sacro-profano sarebbe venuta meno. Questa idea ha ricadute gravi sulla liturgia. In realtà, l’Incarnazione compie e perfeziona la dualità sacro-profano. Solo con la Parusia, Dio, il Sacro, sarà tutto in tutti.
Lo Spirito Santo
All’interno della crisi ariana nacque anche l’eresia che negava la divinità dello Spirito Santo. Il dilemma di Eunomio e la risposta di san Gregorio Nazianzeno: la distinzione tra generazione e processione. Le obiezioni al Filioque e le risposte di san Tommaso.

