Dissesto idrogeologico, non diamo la colpa al maltempo
Il maltempo di questo periodo invernale, seguito a quello dello scorso autunno, mette all'ordine del giorno il problema del dissesto idrogeologico. Colpa del maltempo? No, colpa della non prevenzione e dell'uso sconsiderato del territorio. Lo Stato qualcosa ha fatto, ma i soldi sono stati mal gestiti dagli enti locali.
Il naturale maltempo di questo periodo invernale, che segue quello particolarmente piovoso dello scorso autunno, mette nuovamente all’ordine del giorno il problema del dissesto idrogeologico del nostro Paese. Non passa giorno, quasi, senza che le cronache ci parlino di frane, allagamenti, esondazioni, e dei danni materiali che ne conseguono; talvolta anche, dolorosamente, in termini di perdita di vite umane. Dell’accaduto spesso vengono imputati coloro che hanno creato lo stato di cose sul quale tali eventi si sono innestati: il consumo eccessivo e scorretto del territorio e gli interventi di manutenzione che spesso non vengono realizzati, e altre volte sono malamente progettati o eseguiti.
In effetti l’uso sconsiderato del territorio è una delle cause remote della instabilità dei suoli; non l’unica né la principale, forse, ma certamente un problema sul quale è possibile intervenire senza sconvolgimenti o modifiche profonde del sistema normativo: in effetti una seria e informata azione amministrativa può porre rimedio alla situazione, che è francamente insostenibile. Ma la causa principale dei problemi idrogeologici, oltre alla natura del suolo italiano, è la mancanza di interventi preventivi e di manutenzione delle aste fluviali e dei versanti.
È talmente comune da rientrare nella banalità l’affermazione per la quale effettuare appropriati interventi di prevenzione costerebbe meno di quanto costino gli interventi di emergenza per sistemare situazioni ormai compromesse. È certamente vero, ma occorre pur fare qualche considerazione sul volume di investimenti necessari a mettere in sicurezza tutto il territorio italiano: si tratta di un somma che, per consenso quasi unanime, può essere stimata aggirarsi intorno ai quaranta miliardi di euro. Tale somma non è evidentemente, oggi, disponibile, né tutta insieme, né nei dieci anni che costituirebbero un traguardo temporale accettabile: quello che non è stato fatto quando si sarebbe potuto (anche per responsabilità del Ministero dell’Economia) oggi non è possibile affrontarlo.
Però va anche detto che lo Stato qualcosa l’ha fatto, stanziando, a questo fine, circa un miliardo di euro l’anno almeno fino al 2006. Però da una ricerca fatta quell’anno risultò che, trascorsi cinque anni dall’erogazione agli enti attuatori, solo circa un quinto degli stanziamenti aveva originato concrete attività per le finalità previste; il resto era stato impiegato dagli enti locali – ai quali era stato trasferito per l’impiego – ad altri fini. All’epoca fu organizzato e avviato, d’accordo con l’Anci, un sistema di controllo della produttività degli stanziamenti che in funzione ci stette pochi mesi, perché Pecoraro Scanio, per motivi oscuri, provvide a cancellarlo.
Pochi soldi, dunque, ma soprattutto mal gestiti dagli enti locali: per voi è un fatto nuovo? Purtroppo quanto riferito è solo un’ulteriore rappresentazione di quanto malversazioni, malaffare e incapacità di amministrazione gravino sulla nostra situazione generale e sull’andamento dei nostri affari.
Pure, è necessario che lo Stato intervenga in maniera decisa e che risolva questi problemi: quando è necessario, come nel caso di specie, i soldi possono e devono essere trovati. Naturalmente nel tempo, ma con una cadenza di impiego ragionevole. Se il governo avesse realizzato una verifica della spesa pubblica improduttiva, e i conseguenti tagli, potremmo spendere, perché i soldi sapremmo dove prenderli.