Disporsi all'atto di fede - Il testo del video
Anche se il primato è della Grazia, volontà e intelletto dell’uomo possono disporsi all’atto di fede o fare in modo che la fede cresca. Per l’intelletto un ruolo fondamentale ce l’ha l’apologetica; per la volontà è necessario coltivare le virtù e combattere i vizi.
La puntata di oggi è incentrata sul capire come la volontà dell'uomo e il suo intelletto possano disporsi all'atto di fede; oppure, se già aderiscono alla fede, possano far crescere la fede.
Iniziamo a considerare la nostra facoltà intellettiva, ricordandoci ciò che abbiamo detto e ripetuto seguendo l'insegnamento di san Tommaso d'Aquino: la fede è un atto dell'intelletto che aderisce; non dobbiamo pensare che questa nobile facoltà dell'uomo sia estranea all'atto di fede.
Pensiamo innanzitutto alla preparazione all'atto di fede.
- Che cosa vuol dire preparare la nostra intelligenza all'atto di fede?
Se ci sono certe caratteristiche nella nostra intelligenza, l'atto di fede diventa più facile o più difficile, in relazione all'intelletto.
Ricordiamoci sempre che l'impulso dell'atto di fede è sempre, preventivamente, dato dalla Grazia di Dio e tuttavia questa grazia di Dio non toglie l'azione dell'uomo. Noi oggi ci occupiamo dell'azione dell'uomo, tenendo sempre presente però il primato della grazia di cui abbiamo parlato nella scorsa lezione.
Nella predisposizione dell'uomo quanto all'intelletto, l'apologetica ha una notevole importanza.
- Che cos'è l'apologetica?
È la presentazione delle ragioni per credere ed una difesa di queste ragioni. Perché l'apologetica continua ad essere importante? Perché una sana apologetica può aiutare a rimuovere delle cause, delle deficienze, delle difficoltà che bloccano o sviano l'intelletto umano.
Possono essere di diverso genere. Pensiamo, per esempio, quando viene ristabilita una sana verità storica, senza ideologie, che fa comprendere come non siano veri tanti errori o cattiverie attribuite ai cristiani e alla Chiesa. Questo aiuta a rivalutare la Chiesa ed il suo messaggio.
Pensiamo ancora a quanto può essere importante capire che le ragioni che portano all'atto di fede sono importanti: l'atto di fede non è l'atto di uno stupido, ovvero di uno che smette di ragionare e si apre alla fede.
L'apologetica in questo senso aiuta a disporre; non causa la fede, perché la fede nasce quando la grazia arriva a toccare. E tuttavia la parte umana di apertura al vero, di rimozione di errori, di approfondimento delle motivazioni e delle ragioni, ha il suo peso.
La conversione, l'adesione alla fede può avere tante ragioni, eppure c'è sempre un aspetto che colpisce l'intelletto e che libera l'intelletto da una gabbia di errori. Può essere un miracolo a cui si assiste, può essere un'analisi più ragionata e serena dei miracoli, delle profezie... ci sono tante strade; per questo è importante coltivare l'apologetica e diffonderla.
Tanto è vero questo discorso, quanto è vero notare come gli errori sulla Chiesa, sui Vangeli, sulla persona di Cristo, etc., allontanano le persone dalla fede.
Per chi ha già compiuto l'atto di fede, per chi aderisce a Dio nella fede, rimane il principio fondamentale per cui la fede va rafforzata.
Ora dobbiamo capire un aspetto importante: l'oggetto proprio del nostro intelletto, il bene del nostro intelletto è il vero. Questo significa che più procediamo nella conoscenza del vero, più il nostro intelletto si perfeziona; più allontaniamo le tenebre dell'errore e della confusione, più allontaniamo dalla nostra intelligenza l'imperfezione dell'ignoranza. L'ignoranza è un male che affligge l'intelletto. Ciò non significa che tutti debbano sapere tutto in chissà quale grado, ma è vero che ciascuno di noi è tenuto a fare tutto ciò che può, affinché la propria intelligenza venga istruita, venga aperta al vero secondo tutta la sua potenzialità, che può essere per uno meno e pur un altro di più, l'importante è puntare alla perfezione della propria intelligenza, che è un dono di Dio.
L'ignoranza non è una virtù, non è un bene dell'intelletto e non è assolutamente vero che conoscere di meno le verità che Dio ci ha rivelato è una condizione che ci possa aiutare a rimanere nell'umiltà. Non è vero. L'umiltà ha a che fare con la disposizione dell'uomo, lo vedremo nelle prossime puntate, ma quell'errata corrispondenza tra perfezione dell'intelletto e superbia da una parte, e imperfezione dell'intelletto e quindi umiltà dall’altra, semplicemente non esiste. L'intelletto ci è stato dato da Dio perché si apra al vero e lo faccia il più possibile secondo le sue possibilità.
C'è un testo della Costituzione dogmatica Dei Filius, del Concilio Vaticano Primo, che spiega come l'intelligenza dell'uomo è chiamata a progredire nella comprensione dei misteri.
"Quando la ragione, illuminata dalla fede, cerca con zelo, pietà e moderazione, per il dono di Dio arriva a una certa conoscenza molto feconda dei misteri, sia grazie all'analogia con ciò che conosce naturalmente, sia per il nesso degli stessi misteri tra loro e con il fine ultimo dell'uomo. Mai, però, essa è resa capace di penetrarli come le verità che formano il suo oggetto proprio. I misteri divini, infatti, per loro intrinseca natura, sorpassano talmente l'intelligenza creata, che anche se trasmessi per divina rivelazione e ricevuti mediante la fede, rimangono avvolti nel velo della fede". (Numero 3016, Denzinger)
I misteri divini sorpassano la nostra intelligenza, sorpassano la capacità dell'uomo e anche la capacità dell'uomo elevata dalla grazia, perché Dio è Dio ed è infinito, mentre la nostra intelligenza è finita. E tuttavia si può progredire nella conoscenza dei misteri, tramite la luce della fede, aiutati anche dalla luce della ragione, e questa conoscenza è feconda: si aprono delle praterie di indagine che arricchiscono l'uomo, lo confermano nella profonda verità della sua fede e lo dissetano ai pascoli della verità rivelata.
- Che cosa possiamo dire invece della volontà, della facoltà volitiva dell'uomo?
Per disporsi alla fede, ma anche per custodirla e rafforzarla, è importante rimuovere il difetto, l'imperfezione della volontà.
Come l'intelletto ha la sua imperfezione nell'ignoranza o nella conoscenza errata e la sua perfezione, il suo bene, nella conoscenza della verità, analogamente anche la volontà ha una sua perfezione ed imperfezione.
La volontà ha come suo obiettivo, come suo compimento, la scelta del bene e quindi la virtù, che è un'inclinazione che si radica nella volontà umana verso il bene. La sua imperfezione saranno dunque i vizi, i cosiddetti vizia capitali o passioni.
- Nella tradizione occidentale vengono classificati con i sette vizi capitali così come li troviamo nell'opera Moralia in Job di san Gregorio Magno: superbia, avarizia, lussuria, ira, gola, invidia e accidia.
- La tradizione orientale si fonda invece sulla classificazione che ne fa Evagrio Pontico nel suo Trattato sulla vita monastica e si tratta di otto passioni o spiriti della malvagità: gastimargía (gola), pornéia (lussuria), filargiría (che è l'insieme di avarizia e avidità), la tristezza, la collera, l'accidia, la cenodossia (vanagloria) e infine l'orgoglio.
Questi moti sregolati, chiaramente influiscono nell'attività della volontà e quindi influiscono negativamente anche nell'atto di fede.
San Tommaso nella quaestio quarta, articolo 7, in cui tratta il tema se la fede sia la prima delle virtù, dice:
"Togliere gli ostacoli è compito delle cause per accidens ed in questo senso è possibile che alcune virtù precedano la fede in quanto tolgono gli ostacoli che impediscono di credere"
E fa alcuni esempi:
"La fortezza toglie il timore disordinato che impedisce la fede (...). L'umiltà elimina la superbia che provoca il rifiuto dell'intelletto a sottomettersi alle verità di fede. E lo stesso vale per altre virtù..."
È dunque importante questo lavoro che si fa sulla volontà, perché quanto più la volontà è viziosa, tanto più sarà frenata nell'atto di fede. Analogamente, quanto più la volontà è viziosa, tanto più la fede è in pericolo, in quanto possono subentrare delle passioni non regolate che possono frenare o far regredire la fede. E molto spesso è la non curanza di queste passioni, la superficialità nel riconoscere e non lottare contro questi vizi capitali radicati, magari in modo nemmeno eclatante, ma che crescono senza che noi ce ne accorgiamo, ecco che questo può essere all'origine della perdita della fede. Non ci siamo accorti che abbiamo permesso a queste passioni, a questi vizi di guadagnare terreno, di estendere i loro tentacoli sulla nostra volontà, sino in qualche modo a bloccarla e a portarla dove non dovrebbe andare.
San Tommaso alla Quaestio 5, articolo 4, offre un riassunto di quanto abbiamo detto oggi.
Egli si domanda se la fede possa essere in uno più grande che in un altro e dice:
"L'oggetto della fede può essere considerato secondo due aspetti: primo, dal lato della ragione formale, secondo dal lato delle verità materialmente proposte ai credenti"
La ragione formale è: credo in virtù di Dio stesso, credo a Dio che si rivela. Le verità materialmente proposte sono i singoli articoli della nostra fede, le singoli definizioni dogmatiche della fede.
"L'oggetto formale della fede è unico e semplice, non essendo altro che la prima verità [cioè Dio, n.d.a.]. Perciò da questo lato la fede non ha variazione nei credenti, ma è in tutti della medesima specie. Invece, le verità materialmente proposte a credere sono molteplici: e possono essere accolte in maniera più o meno esplicita. E da questo lato un uomo può credere esplicitamente più cose di un altro. Perciò in uno ci può essere una fede più grande in base all'esplicitazione dei dogmi"
1 - Il mio intelletto aderisce a Dio come ragione formale della fede. O si crede a Dio, o non si crede a Dio che si rivela, non vi è una gradazione di fede.
2- Circa i misteri che Dio ci rivela, invece, ci può essere un'adesione a più contenuti di fede o a meno, più profonda o meno profonda. Dal lato dell'intelletto, quindi, c'è una gradazione della fede.
"Se invece - continua san Tommaso - si considera la fede dal lato della partecipazione del soggetto, allora ciò [ossia avere una maggiore o minore fede, n.d.a.] può accadere in due modi. Infatti, l'atto della fede emana dall'intelletto e dalla volontà. Perciò la fede in un uomo può essere maggiore: primo, per quanto riguarda l'intelletto, per una maggiore certezza e fermezza; secondo, per quanto riguarda la volontà, per una maggior prontezza, devozione o fiducia".
Quindi si capisce bene che nella vita della fede bisogna crescere sotto tutti questi aspetti:
1 - Le verità rivelate.
2 - La fermezza, la certezza con cui il nostro intelletto conosce la verità rivelata e vi aderisce.
3 - La prontezza della volontà di abbandonarsi a Dio, di affidarsi a Dio, di avere fiducia in Dio che si rivela.
-------------------------------------------------------
PER APPROFONDIRE:
- Costituzione dogmatica Dei Filius
- Summa Theologiae II-II, q. 4, a. 7; q. 5, a.4.
- B. Bartmann, Teologia dogmatica (1949), vol. I, pp.109-111; 117-119.