Diritto all’oblio e memoria storica, il bilanciamento necessario
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A dieci anni dalla sentenza González, va ricordato che il diritto all’oblio non è assoluto. Il criterio per i motori di ricerca è diverso da quello valido per i giornali: questi ultimi sono tenuti ad aggiornare certe informazioni, non a cancellarle.
Una delle frasi più ricorrenti per descrivere le insidie del web e dei social è: “La Rete non dimentica”. Si è soliti infatti ricordare che i tentativi di cancellazione dallo spazio virtuale di contenuti non aggiornati, fuorvianti o addirittura falsi non vanno sempre a buon fine. Quello che c’è scritto in Rete molte volte non corrisponde al vissuto reale delle persone perché tanti link si riferiscono a notizie valide il giorno in cui sono state scritte ma poi superate dalle evoluzioni successive, delle quali i media non sempre danno conto.
Di qui l’equivoco di pretendere la cancellazione di informazioni dallo spazio virtuale che in realtà andrebbero solo aggiornate, al fine di allineare il mondo digitale alla vita reale. Non si può chiedere di rimuovere un contenuto dal web se questo ha a che fare con vicende di interesse pubblico, anche se datate. Occorre, al contrario, offrire sempre una corretta rappresentazione della realtà, al fine di consentire una puntuale ricostruzione storica di vicende del passato, che non sarebbe giusto far sparire dalla Rete.
Questi concetti, anche abbastanza elementari, non sono ancora del tutto chiari alla generalità dei cittadini, perché in tanti continuano a richiedere l’oblio su situazioni scomode che hanno vissuto in passato. Si tratta però di richieste irricevibili che vanno contro il ruolo principale degli archivi web dei giornali, quello di essere depositari della memoria storica di avvenimenti che hanno segnato la storia di un Paese e meritano di essere perennemente conservati, al di là del trascorrere del tempo.
Detto questo, però, che vale per tutti i canali informativi che assicurano quotidianamente ai cittadini il diritto all’informazione, occorre chiarire che invece sui motori di ricerca generalista come Google i margini per richiedere il diritto all’oblio, cioè alla deindicizzazione di link non più attuali o scorretti, sono più ampi. In altre parole il colosso di Mountain View può valutare in alcuni casi di eliminare da Google News link di articoli che rimangono sui siti sorgente a carattere informativo, a mo’ di documentazione storica, ma che non meritano di continuare ad essere riproposti in ricerche per parole chiave su aggregatori di contenuti come Google, perché altrimenti finirebbero per disinformare, fornendo una rappresentazione parziale e non aggiornata di vicende di interesse pubblico.
Quest’orientamento è ormai consolidato a partire dalla storica sentenza González, pronunciata dalla Corte di giustizia europea dieci anni fa, il 13 maggio 2014. Si tratta di una pietra miliare in materia di diritto di Internet, in particolare per quanto riguarda la tutela dei dati personali dei cittadini. Da allora si parla molto di più di diritto all’oblio, in questo caso il diritto di una persona di richiedere la rimozione dai motori di ricerca generalista come Google di informazioni personali che sono obsolete, non rilevanti o non più necessarie. Definito anche diritto alla deindicizzazione, il fulcro di questo concetto legale è la tutela della riservatezza, dell’identità personale e della reputazione.
All’origine c’è il caso Google Spain, portato davanti alla Corte di giustizia dell’Unione europea dall’avvocato spagnolo Mario Costeja González, che aveva richiesto la rimozione, prima al gestore del sito e poi a Google, di alcuni dati personali pubblicati in poche righe dal giornale La Vanguardia e da lui ritenuti non più attuali. In particolare, si trattava di un annuncio in cui figurava il nome di Costeja González per una vendita all’asta di immobili pignorati. L’Agencia Espano͂la de Proteccion de Datos (AEPD), l’equivalente spagnolo del Garante per la protezione dei dati personali, aveva ordinato a Google di procedere alla rimozione di questi dati contestati dal ricorrente, ma il motore di ricerca si era rifiutato di procedere alla cancellazione ritenendo che la richiesta dell’AEPD andasse a ledere la libertà di espressione dei gestori di siti Internet.
Portato il caso all’attenzione della Corte di giustizia, questa si espresse a favore del ricorrente, ordinando a Google di rimuovere il link. Sia ben chiaro, il diritto alla deindicizzazione non è un diritto assoluto; esso deve bilanciarsi con il diritto della generalità degli utenti a essere puntualmente informati su eventi passati e contemporanei. Quando si tratta di fatti di pubblico interesse, il diritto alla privacy del singolo non può minare il diritto all’informazione della collettività, così come il diritto di cronaca del giornalista. Tuttavia, nel caso di González, l’informazione sul pignoramento dell’immobile, peraltro non effettuato perché nel frattempo il diretto interessato aveva saldato i suoi debiti con il fisco, a distanza di anni non è stata considerata utile per la collettività, bensì solamente lesiva della personalità del protagonista; per questo la Corte ha ritenuto prioritario soddisfare la sua richiesta, ordinando di deindicizzare il contenuto. La sentenza González, costituendo un precedente, ha fatto sì che dal 2014 centinaia di persone inviassero richieste ai gestori dei motori di ricerca affinché determinati contenuti che le riguardavano fossero cancellati. In molti hanno anche rivendicato la rimozione di articoli dagli archivi online delle testate giornalistiche, mettendole esattamente sullo stesso piano di motori come Google News e questo è un errore.
Come detto, il diritto all’oblio si applica in maniera differente ai siti giornalistici rispetto ai motori di ricerca generalista come Google, che non sono testate registrate ma solo aggregatori di informazioni prodotte da altri. Quando si parla di giornali online, infatti, entra in gioco il concetto di memoria storica: se gli articoli venissero cancellati o fossero privati di alcuni dettagli, verrebbe meno la testimonianza delle vicende passate e si violerebbe quindi il diritto della collettività a informarsi e a essere informata. Gli archivi web delle redazioni devono essere custodi affidabili della memoria di vicende di interesse pubblico e dunque non sono possibili censure di alcun tipo. Sono obbligati solo all’aggiornamento dei resoconti giornalistici affinché i loro motori di ricerca interni restituiscano agli utenti informazioni aggiornate fino all’ultima evoluzione di quel fatto di cronaca. La storia non può essere cancellata o distorta, ma questo non annulla il diritto delle persone a vedersi rappresentate in un modo adeguato rispetto al presente. È per questo che le testate sono tenute a riordinare costantemente i loro archivi, tanto più su segnalazione delle persone coinvolte nelle vicende raccontate negli articoli.