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RICCHI E POVERI

Diritti umani, vero indice di povertà dei popoli

Non è la povertà che moltiplica le violazioni dei diritti umani, è violarli, al punto di ignorarne l’esistenza, che mantiene poveri. Nell’attuale clima di politicamente corretto, è una ipotesi difficile da sostenere. Evoca scontri di civiltà che il relativismo culturale e morale nega. Dividere i paesi in poveri senza colpa e colpevolmente ricchi, assolve i primi e condanna i secondi. Dividerli per grado di rispetto della persona, è un vero e proprio spartiacque nella storia umana. Ecco perché...

Editoriali 15_02_2021

Ci hanno abituati a considerare il mondo diviso in paesi ricchi e paesi poveri. Organizzazioni non governative, associazioni, istituti missionari impegnati nel sociale si concentrano sulle disuguaglianze economiche, tra chi ha più del necessario e chi manca di tutto: “il 20 per cento della popolazione mondiale – dicono – consuma l’80 per cento delle risorse condannando gli altri 2/3 dell’umanità a vivere nella povertà”.

Per Baripedia, ad esempio, una piattaforma esperta in relazioni internazionali, “è difficile da capire l’iniqua distribuzione della ricchezza nello spazio… Dobbiamo ricordare la brutalità dei fatti che è la questione della povertà e della ricchezza: ci sono paesi poveri e paesi ricchi”. Action Aid, una onlus per l’adozione a distanza, sintetizza così la situazione mondiale: “vivere con meno di due dollari al giorno. Per chi è nato in uno dei cosiddetti Paesi occidentali, sembra impossibile. Invece questa è la realtà di tutti i giorni per chi è nato in uno dei tanti Paesi che si trovano nel sud del mondo. Ecco la differenza tra Paesi ricchi e Paesi poveri”.

Solo chi ha scarse nozioni di storia ed economia ed è vittima di ideologie vetero terzomondiste può ancora pensare che siano i consumi dei paesi ricchi a condannare all’indigenza e al sottosviluppo quelli poveri. Al contrario, la richiesta di prodotti agricoli e minerari – dal cotone allo zucchero ai fosfati al petrolio…  – è fondamentale per il loro sviluppo. La classificazione stessa di paesi “poveri” è fuorviante perché molti paesi definiti tali abbondano invece di risorse naturali e umane, spesso assai più di quelli “ricchi”. Inoltre niente è più falso che pensarli abitati solo da poveri (“meno di due dollari al giorno, questa è la realtà di chi è nato nel sud del mondo”). Persino in Africa, un continente che colleziona primati negativi, circa un terzo della popolazione è di ceto medio e gli africani benestanti sono milioni.

A prescindere da queste e altre considerazioni ancora,  il reddito è effettivamente una differenza, ma non la differenza. C’è un altro parametro fondamentale, in base al quale dividere e classificare i paesi, che non viene mai seriamente preso in considerazione: il rispetto della persona umana, la tutela dei suoi diritti. Si sa, è del tutto evidente che violenze, discriminazioni, intolleranza, negazione delle libertà personali sono più frequenti ed efferate in certi paesi, in certe regioni del mondo. Si sa anche contro chi si concentrano: categorie sociali deboli, minoranze, estranei per etnia, classe sociale, casta, religione…

La pandemia di Covid-19 lo ricorda al mondo intero perché sta causando gravissimi costi umani ben oltre il numero degli ammalati e dei decessi. Poche settimane dopo il suo inizio, organizzazioni non governative e agenzie delle Nazioni Unite attive in ambito umanitario hanno lanciato i primi allarmi dopo aver registrato un rilevante aumento delle violazioni dei diritti umani, principalmente nei confronti di donne e bambini, soprattutto in Africa e in parte dell’Asia. Si tratta di violenze, fisiche e sessuali, rese più frequenti dalle misure di distanziamento e isolamento sociale, con l’aggravante di una crescita esponenziale di quelle in ambito domestico e famigliare. In qualche misura anche l’Europa è interessata da questo fenomeno, l’Italia stessa, sebbene con numeri di gran lunga inferiori. Inoltre – e invece sotto questo aspetto chi vive nei “cosiddetti paesi occidentali” è quasi del tutto al sicuro – sono aumentati i bambini e gli adolescenti che lavorano, i matrimoni precoci, quindi imposti, e le mutilazioni genitali femminili, due istituzioni che da decenni si tenta di sradicare.  

Unicef, Oil e altri organismi internazionali nel presentare dati e statistiche sostengono che la spiegazione di quanto sta accadendo è la povertà in cui sono piombate o temono di finire decine di milioni di famiglie. Un aumento della povertà di un punto percentuale fa aumentare il lavoro minorile almeno dello 0,7 per cento. Sempre a causa della povertà, dicono, è cresciuta la premura di maritare le figlie per alleviare la famiglia del peso del loro sostentamento e, dove l’istituzione sopravvive, per ricavare un provvidenziale prezzo della sposa. Più sono giovani e più è facile trovare loro un marito. L’Unfpa, Fondo Onu per la popolazione, stima che, a causa del Covid-19, saranno 13 milioni in più rispetto alle previsioni pre pandemia le bambine e le adolescenti costrette a sposarsi. Per lo stesso motivo, facilitarne il matrimonio, per circa 70 milioni di bambine sale la probabilità di subire il tipo di mutilazione genitale – escissione, infibulazione – prescritto dalla tradizione, tuttora indispensabile perché una donna si possa sposare.

Ma lavoro infantile, matrimoni imposti, mutilazioni genitali femminili esistono, non come trasgressioni, ma come legittime scelte degli adulti, solo dove il valore e il rispetto della persona umana dipendono dallo status sociale e ancora non si riconosce l’esistenza di diritti umani universali. La vita e la volontà di donne e bambini sono tenute in minor conto e per questo sopravvivono, ostinatamente praticate, istituzioni nate per disporre della loro esistenza in funzione del bene collettivo, così come veniva inteso e tutelato nelle società arcaiche. Si riconosce che violano i diritti alla libertà, alle pari opportunità, alla sicurezza e alla dignità della persona. Bisogna anche capire che sono funzionali alle economie di sussistenza, povere, costantemente minacciate dalla scarsità di risorse, ma che impediscono di superarle in favore di economie a maggior resa. Invertendo il rapporto di causa ed effetto, non è la povertà che moltiplica le violazioni dei diritti umani, è violarli, al punto di ignorarne l’esistenza, che mantiene poveri.

Nell’attuale clima di politicamente corretto, è una ipotesi difficile da sostenere. Evoca scontri di civiltà che il relativismo culturale e morale nega. Dividere i paesi in poveri senza colpa e colpevolmente ricchi, assolve i primi e condanna i secondi. Dividerli per grado di rispetto della persona, con la netta distinzione, un vero e proprio spartiacque nella storia umana, tra chi crede nell’esistenza di diritti universali e inalienabili e chi fa dipendere i diritti dallo status, rende ogni paese, ogni popolazione responsabile delle proprie scelte e della propria condizione.