Direttore, mandi un cronista travestito nelle moschee
Il direttore del Quotidiano Nazionale, Andrea Cangini, non torna indietro, anzi. Difende la scelta di aver spedito una sua cronista a confessarsi nascondendosi sotto identità false per registrare e pubblicare i colloqui con i sacerdoti. Alla faccia della deontologia professionale. Perché non fa la stessa cosa con l’islam?
Il presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti gli aveva chiesto di scusarsi e “confessare” il grave sbaglio commesso. Ma lui non è affatto pentito, anzi: ribadisce che per fare il giornalismo d’inchiesta il travestimento e l’inganno sono ingredienti irrinunciabili. Lui è Andrea Cangini, direttore del Quotidiano Nazionale, ispiratore e responsabile dell’inchiesta farlocca sulle confessioni (clicca qui). Ha spedito una sua cronista a confessarsi nascondendosi sotto le identità più strane e “scandalose”: una mamma lesbica che vuole battezzare il figlio, una divorziata risposata che fa comunione tutte le domeniche e altre figure tanto care allo scandalismo laico e massmediatico. Messo sotto accusa, il direttore ha scritto ad Avvenire, che aveva intervistato la cronista en travesti, Cangini ribadisce di essere stato pienamente consapevole di «violare un sacramento, ma l’abbiamo fatto perché solo dando conto di quel che viene detto nel segreto del confessionale potevamo avere una risposta veritiera e incontrovertibile alla nostra domanda».
E poi, conferma che pur essendo credente, dunque indifferente alla sacralità della confessione, «il fatto di non avere il dono della fede non mi impedisce di considerarmi cattolico». Mah, il ragionamento è piuttosto strampalato, ma l’outing del direttore ateo ma cattolico è cosa che riguarda solo la sua coscienza, meglio la sua ragione. Quel che risulta, invece, spudorato è che Cangini si lamenti con Avvenire per aver forzato l’intervista alla sua giornalista con il titolo: “I dubbi dell’inviata. 'Ero molto perplessa'. Ma il direttore insiste”. «È un titolo fuorviante», protesta Cangini arrivando così a raggiungere l’apice dell’impudenza e della cialtroneria militante.
Il titolo di Avvenire diceva semplicemente quello che nell’intervista anche la giornalista ammetteva: che, cioè, aveva espresso gravi dubbi sulla liceità morale di estorcere confessioni in quel modo, ma che il direttore era stato irremovibile. Di più: nell’inchiesta pubblicata dal Quotidiano Nazionale erano proprio i titoli l’elemento più falso e irreale (del tipo: “Sei lesbica? Vai dallo psicologo”), mentre nel pezzo si dava sostanzialmente conto delle risposte dei sacerdoti, tutti estremamente rispettose e accoglienti della (finta) penitente e delle sue storie (inventate). A conferma che certi giornalisti hanno la faccia come il bronzo. E che Cangini abbia fatto quella che il leghista Calderoli non esiterebbe a definire “una porcata”, lo ha detto anche Enzo Iacopino, presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti. «Le nostre regole deontologiche», aveva ricordato il presidente, «non consentono di nascondere la propria identità e di agire sotto mentite spoglie, se non quando la vita del giornalista è in pericolo. Oppure quando il dichiarare l’identità renderebbe impossibile il servizio, ma per scoprire che cosa la Chiesa preveda sui divorziati o sul Battesimo non occorre certo guardare dal buco della serratura».
Dunque, a quando il provvedimento contro Cangini? Tocca all’Ordine regionale intervenire, ma il tribunale dei giornalisti tace e non dà segno di vita. Cosa preoccupante e anche un tantino vigliacca, dato lo zelo con cui è intervenuto in altre occasioni e con altri direttori. Con Magdi Cristiano Allam, per esempio. L’ex vicedirettore del Corriere vive da anni blindato e sotto scorta, perché molti gruppi islamici gli hanno giurato di fargli la pelle. Eppure solo un mese fa, l’Ordine nazionale dei giornalisti, l’ha sottoposto a provvedimento disciplinare accusandolo di incitazione all’odio contro l’islam per una serie di articoli pubblicati dal Giornale. Il processo si è chiuso con l’assoluzione, ma il fatto è che non doveva neppure aprirsi. Una parodia simil-fascista che ha palesato una volta per tutte l’inutilità e la dannosità di quel sinedrio di categoria. Anche nel processo, la grande stampa democratica si mise il bavaglio, finse di non vedere e di non sentire. Repubblica non pubblicò neppure una riga. Pure sulle finte confessioni i grandi quotidiani nazionali hanno scritto un bel niente. Si vede che farsi beffe di un sacramento e dei sacerdoti cattolici non deve essere tanto grave come criticare l’islam.
In attesa che L’Ordine regionale si decida a battere un colpo, regaliamo al direttore Cangini l’idea per il prossimo scoop: spedisca un cronista travestito da musulmano ad ascoltare la preghiera del venerdì in qualche moschea romagnola o toscana. Oppure, sempre fingendosi ex cattolico convertito ad Allah, a chiedere agli imam spiegazioni su cosa dice Corano sul jihad e, nel caso, se non abbiano qualche dritta o canale riservato per arruolarsi dal Califfo. Poi pubblichi tutto in quattro belle puntate, magari forzando un pochino sui titoli, così: “Alì, ti presento al Baghdadi”, o anche: “L’islam che cambia: il Califfo cerca una Califfa”, infine: “Giù la testa (mozzata)” e “Fai una strage e scappa”.