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ALIMENTAZIONE

Diossina e allarmi, cosa fa più male

Il caso delle uova alla diossina provenienti dalla Germania, ha fatto scattare misure di sicurezza. Una breve guiida per capire.

Attualità 14_01_2011
uova diossina

Il primo pensiero è stato … ci risiamo, la diossina è tornata; dopo Seveso (1976), il Belgio (1999) e più recentemente – anche se ben meno rilevante – Caserta e la mozzarella di bufala alla diossina. Adesso le uova alla diossina, provenienti dalla Germania, con tanto di allarmi e divieti. Qual è la situazione reale? E quanto è pericolosa questa diossina?

In realtà veri problemi per la salute umana si ebbero solo a Seveso dove lo stabilimento “famoso” liberò una quantità rilevante di questo “veleno” ed in area relativamente piccola. Ma quali i danni per la salute ad essa attribuiti? Sicuramente una sorta di acne (cloro-acne), da tutti noi osservata sul volto dell’allora presidente ucraino che si disse oggetto di avvelenamento da parte del KGB. Peraltro è sospettata essere cancerogena ed assai più probabilmente causa di immuno-depressione, di disturbi endocrini, di mortalità embrionale, di epatotossicità.

Cosa è la diossina e da dove proviene? Non è una sola sostanza, ma un “nugolo” (molte decine) di composti con alcune similarità strutturali e biologiche che si considerano far capo – anche come riferimento tossicologico – al TCDD (2, 3, 7, 8 tetraclorodibenzo-p-diossina). È prodotto di inquinamento industriale? In parte sì, poiché utilizzato nei liquidi dielettrici e nella produzione di diserbanti sino a fine anni ’70; tuttavia, ben prima dell’era industriale ed ancora oggi, la sua presenza è “costante” poiché si tratta di sostanze assolutamente naturali e presenti ovunque (come si vedrà poi a livelli veramente molto bassi) per due ragioni: 1) si formano in molti processi “spontanei” ove vi sia una combustione (incendi, eruzioni vulcaniche, stufe, sigarette ecc.); 2) sono estremamente stabili e facilmente solubili nei grassi. Per tali ragioni, una volta formatasi (raggruppiamole come diossina), si deposita su ogni cosa comprese le piante e – se mangiate da uomini ed animali – in essi si accumula più o meno velocemente. Gli animali che mangiano altri animali ne accumulano più velocemente (ciò vale in particolare per i pesci che infatti ne sono generalmente più ricchi … pesce grande mangia pesce piccolo …!).

Perché allora non si considera normalmente un problema? Solo perché i livelli sono sempre molto bassi e tali da portare all’ingestione giornaliera di 80-120 pg/giorno (pg o picogrammo che è un milionesimo di milionesimo di grammo), mentre la quantità giornaliera da non superare (per prudenza) è di circa 700-800 pg/giorno.

Ancora una volta si confermano due cose spesso trascurate: la prima è che vi sono sostanze naturali tossiche, la seconda che è la dose a fare il veleno. Come dunque può raggiungere livelli a rischio per la salute? Tralasciando le situazioni naturali, si verifica solo nel caso di contaminazioni massicce; ricordo l’esplosione del reattore chimico di Seveso, l’errata aggiunta di fluido dielettrico agli oli di friggitoria riciclati  nella alimentazione animale (Belgio) e lo spargimento di rifiuti industriali - mafia permettendo – sui terreni del casertano.

Nel caso attuale vi è stato un altro errore “banale” (ma a dir poco criminale), poiché partite di grassi alimentari sono state mescolate con altri grassi destinati alle cartiere in quanto contaminati da diossine (il problema grosso è stata la produzione dei due tipi nello stesso impianto).
Attenzione, erano comunque grassi lavorati in impianti per fare biodiesel (immagino da olii di colza o girasole), quindi gli animali sono le “vittime”, non la causa.

Al di là di tutto ciò e della gravità dell’accaduto, specie se è vero che le autorità tedesche (o parte di esse) hanno minimizzato l’accaduto e sono intervenuti tardivamente, il quesito è: dobbiamo davvero preoccuparcene? Non essendo in possesso di dati oggettivi sulle concentrazioni di diossina nelle uova, nelle carni di pollo e suino (forse anche nel latte) di quelle aziende – non di tutta la Germania – non sono in grado di esprimere un parere serio. Peraltro, credo che anche i tedeschi non soffriranno di problemi rilevanti proprio perché le partite contaminate non sono enormi, ma anche perché fra gli animali non si sono manifestate anomalie, dunque l’accumulo in essi non è stato gravissimo.

Dopodiché concordo con il suggerimento di mangiare preferibilmente italiano (od almeno non tedesco per qualche tempo), senza tuttavia lasciarsi cogliere da facili forme di isterismo del tutto ingiustificate.

* Istituto di Zootecnica
   Università Cattolica del S. Cuore, Piacenza