Dio o niente, la lezione all'Europa del cardinale Sarah
Dio o niente. È questo il titolo del libro intervista del cardinale africano Robert Sarah che esce per i tipi di Cantagalli, cioè dell’editore più gettonato dai cardinali. Ciò che dice Sarah, è anzitutto, che la fede non è negoziabile: tutto sta o cade sulla nostra fede in Cristo. “Dio o niente”, cioè Dio è tutto e non si prende a pezzi.
Dio o niente. È questo il titolo del libro intervista del cardinale africano Robert Sarah presentato su Libero di martedì come “Il manifesto dei vescovi contro Bergoglio”. Davvero non si capisce il vezzo dei giornali, di qualsiasi colore e tendenza, quando non manipolano apertamente la realtà (vedi Repubblica e Corriere), di buttare tutto in caciara. In realtà, in questo caso la colpa non è del cardinal Sarah, ma di quei “cattolici” che dividono il mondo tra coloro che sarebbero i veri interpreti di papa Francesco, cioè loro, e chi invece va additato come “nemico” ed avversario della misericordia e del nuovo corso della Chiesa.
Ricordiamo tutti le lamentazioni del cardinal Kasper che, dopo aver esposto le sue tesi piuttosto periclitanti, sia da un punto di vista teologico, che canonico e storico, osò lamentarsi prima contro i cardinali che avevano espresso anche loro il proprio parere, nel celebre Permanere nella verità di Cristo (Cantagalli), poi, durante il Sinodo, contro gli ecclesiastici africani, fautori dell’indissolubilità matrimoniale e avversi al gender, invitati a non rompere le scatole ai dotti e bianchi ecclesiastici tedeschi come lui. Soprattutto nel primo caso Kasper fu presentato da vari giornalisti cattolici come l’uomo di papa Francesco, e i cinque cardinali come dei ribelli: quasi non fosse ribellione, al contrario, voler mutare la dottrina di sempre, e come se il Papa potesse essere colui che invece di custodire e tramandare il deposito della fede, ne dispone a piacimento.
Se vogliamo stare ai fatti, Robert Sarah non è capo di alcuna cordata ideologica o di potere, ma solo un cardinale particolarmente stimato da Benedetto XVI ed anche da papa Francesco, che infatti lo ha nominato prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti il 3 novembre 2014, cioè proprio dopo che al Sinodo sulla famiglia Sarah era stato uno dei più convinti avversari della visione del matrimonio kasperiana. In effetti, titolo a parte, Franco Bechis, nell’articolo di Libero dichiara molto onestamente che Sarah non ha alcuna intenzione di proporsi come antipapa o come capo di una qualche fazione. Coloro che lo hanno conosciuto, confermano tutti quello che scrive il giornalista francese che lo ha intervistato, Nicolas Diat, già alla quarta riga della sua introduzione: «… c’è solo l’evidenza di trovarsi al cospetto di un uomo di Dio». Il sottoscritto ha avuto la fortuna di conoscere vari cardinali che gli hanno fatto la stessa impressione: semplici, umili, innamorati di Cristo e della Chiesa. Ma anche un mondo di preti, di monsignori e di alti prelati troppo attenti al gioco delle cordate, alle ripercussioni di gesti e parole sulla propria carriera, alle prudenze mondane che caratterizzano lo sguardo corto degli uomini che si attendono tutto … da altri uomini.
No, Sarah ha tutto l’aspetto, l’atteggiamento, il parlare, di un uomo libero, che si misura con la verità del Vangelo e del magistero, e non con i calcoli del mondo. “Dio o niente”, il titolo della sua intervista, basta da sé a dimostrarlo: non ha nulla di sociologico, né di ambiguo o indiretto. Dice chiaramente il nocciolo del pensiero del cardinale, dia ciò fastidio o meno a chi legge. Detto questo, messo da parte un po’ del fumo che si è alzato e che si alzerà durante il Sinodo soprattutto per opera di zelanti “cattolici”, ecclesiastici e laici, decisi a sbarazzarsi della Tradizione della Chiesa, sarà bene dire qualcosa su questo libro che esce per i tipi di Cantagalli, cioè dell’editore più gettonato dai cardinali. Sì perché Sarah non ha scelto una casa editrice garibaldina, ma lo stessa che per decenni ha ripubblicato i classici del pensiero cristiano, e che edita volumi dei cardinali Angelo Bagnasco, Angelo Scola, Joseph Ratzinger, Camillo Ruini, Mauro Piacenza e tanti altri… Alcuni di questi andrebbero ripresi in mano proprio in questi giorni. Mi riferisco soprattutto ai testi sull’amore sponsale del cardinale Carlo Caffarra, Non è bene che l’uomo sia solo, e alle Memorie e digressioni di un cardinale italiano, opera istruttiva, gustosa, profonda, di un cardinale che ci ha lasciati da poco: Giacomo Biffi.
Cantagalli, l’editore dei cardinali, dunque, ha deciso ora di guardare anche all’Africa, cioè al Continente più promettente per il cattolicesimo del futuro. Pubblicando un libro che è già un best seller in altri Paesi, e che piace proprio per lo stile schietto, diretto, franco del suo autore. “Il vostro parlare sia sì sì, non no, il resto viene dal Maligno”, recita il Vangelo, mentre la lingua di legno di molti ecclesiastici ammorbidisce, ingarbuglia, modifica il messaggio evangelico, soffocandolo in un mare di parole. Anche sul matrimonio Gesù è stato chiarissimo, così conciso da utilizzare, per parlarne, pochissime, inequivocabili parole. Ma sarebbe riduttivo sostenere che il libro del cardinal Sarah è una risposta a Kasper e Marx, o persino a certe ambiguità di Francesco, oppure il tentativo di ribadire la morale della Chiesa così come essa è sempre stata. Ciò che dice Sarah, è anzitutto, che la fede non è negoziabile: tutto sta o cade sulla nostra fede in Cristo. “Dio o niente”, può anche essere sviluppato ulteriormente: “Dio, o tutto, o niente. Non si prende a pezzi”. É il principio delle fede in se stessa. O ci fidiamo di Lui, o non ci fidiamo. O crediamo che la sua verità e il suo amore ci salvino, o non ci crediamo. Le vie di mezzo non sono possibili. Non lo sono, almeno, nei momenti decisivi, in quelli delle scelte difficili, importanti. Un figlio, o lo si ama, o non lo si ama. Se lo sia ama a giorni, se lo si ama quando si comporta in un certo modo, e non in un altro, allora non lo si ama davvero. Così la moglie, gli amici… Così Dio.
L’ottica con cui Sarah argomenta è quella di un cristiano africano. Sarah non appartiene alla vecchia Europa, un tempo cristiana, ed oggi impegnata a smontare, pezzo per pezzo, la sua storia e la sua fede, ponendo qualcosa in soffitta, con cautela e un po’ di finto riguardo, e buttando altro, con rabbia, nell’immondizia. Non appartiene alla Chiesa tedesca, che ha gloriosamente resistito, in molti casi, alla ferocia nazista, ma si è arresa quasi del tutto all’ individualismo materialistico e al pensiero unico di oggi. La Germania, e in generale l’Europa del Nord, che per primi hanno fatto della fede un “fai da te” con il “libero esame” luterano, vedono le chiese svuotarsi, e a permanere, in certi casi, è soltanto qualche residuo di potere economico. L’Africa, invece, è un Continente che ha cominciato a conoscere il cristianesimo solo poche decine di anni fa, soprattutto grazie ad un santo italiano, Daniele Comboni. Lì la Chiesa assomiglia a quella dei primi secoli: cresce, conquista spazi, mossa dall’entusiasmo dei nuovi adepti. Perché questo? Perché la “buona novella”, in un Continente sino a ieri solo animista o islamico, è, appunto, “nuova”, novella, e quindi più facilmente visibile, sia nei suoi contenuti più profondi, sia nei suoi effetti.
L’africano che si avvicina a Cristo vede in lui, come i pagani romani, un Liberatore, dalla paura dell’astrologia e della magia, dalla paura dei morti che ritornano, dei riti tenebrosi che ancora caratterizzano molta religiosità africana. Cristo, figlio di Dio, fratello degli uomini, è una rivelazione impetuosa, per chi ha sempre concepito la divinità come una forza capricciosa, minacciosa, incomprensibile, vendicativa. E poi gli africani toccano con mano gli effetti liberanti dell’insegnamento di Cristo: della sua idea di perdono e di fratellanza, in un Continente di lotte tribali e di vendette simili alle antiche faide germaniche; della sua idea di famiglia, in un paese in cui la donna è stata spesso trattata, come scriveva Daniele Comboni, come una pecora da comperare o da vendere, e l’uomo ha concepito per millenni la sua mascolinità come licenza e potere, invece che come servizio. Sarah lo fa capire chiaramente: il matrimonio indissolubile è in Africa un grande, irrinunciabile, annuncio, perché propone apertamente l’alleanza tra l’uomo e la donna, valorizzando la donna e responsabilizzando l’uomo; perché dice ad entrambi che sono fatti per l’amore, l’amore vero, l’amore fedele, e che ciò è possibile. Le società che hanno futuro sono quelle che credono, amano e sperano. Non quelle impegnate a demolire l’idea stessa della possibilità dell’amore, della fedeltà, della costanza. Sono quelle in cui i legami buoni sono riconosciuti come tali, indicati, auspicati, cercati.
Sarah, inoltre, non vuole assolutamente omettere di ricordare tutta intera la grandezza del messaggio evangelico: messaggio di Verità, perché la Verità è la prima Carità; messaggio di Carità, perché la Verità esiste davvero solo nell’Amore, nella delicatezza, nel suo ancoraggio ad un Dio che è insieme, appunto, Logos ed Amore. Per questo separare dottrina e prassi è atteggiamento schizofrenico, e come tale senza sbocchi. Siamo lontanissimi dallo sguardo dei cardinali Kasper e Marx, e in generale dall’ ottica che quasi spontaneamente, per certi versi “comprensibilmente”, caratterizza un mondo cristiano agonizzante. Qual è, infatti, la tentazione del cristiano occidentale? Svendere passo passo la fede, i suoi contenuti, di fronte alla corrosione esercitata della cultura dominante. E questa svendita, questo graduale disarmo, questo adeguarsi alla mentalità mondana, è bene presentarlo, a sé, agli altri, con un bel vestito: non come un cedimento, una mancanza di fiducia, ma come un aggiornamento; come fosse dettato non dalla disperazione, dalla sfiducia, ma dalla misericordia, dalla tolleranza, dalla “apertura”.
Misericordia è educare, perdonare, curare, rialzare, con carità ammonire e rimproverare; è sia curare, che prevenire; sia curare, che, poi, rimettere in piedi. Sarah, come in generale gli africani, lo ha chiaro nella testa, perché la società africana lo mostra con evidenza: c’è, in quel grande Continente, un mondo di povertà, di poligamia, di aids, di bambini orfani, di stregoneria, di vendetta… e c’è un mondo di giovani che abbandonano le superstizioni e la poligamia dei padri, che percepiscono l’amore di Cristo, che trattano da mogli le loro donne e che a differenza degli antenati non fanno figli, destinati a rimanere orfani, al di fuori del matrimonio (cioè dell’istituzione che, più di ogni altra, cura ogni giorno gli egoismi dei coniugi e l’istintività dei figli, e curando educa alla generosità e al sacrificio, all’amore e al perdono, alla fiducia e alla pazienza…). Questi due mondi, entrambi vivi e presenti in Africa, richiamano l’opera che la Chiesa ha svolto per secoli: educazione e cura; predicazione e confessione. La Chiesa è stata, in Europa, la madre delle scuole e la madre degli ospedali, e ha dato il meglio di sé in quelle grandi figure di santi della carità e di santi dell’educazione, che insegnano proprio a conciliare Verità ed Amore.
Di qui passa la sempre più forte crescita dei cristiani in Africa. Dalla consapevolezza che vi sono nel contempo orfanotrofi da costruire, fallimenti da curare, e nuove generazioni a cui indicare un nuovo modo di vivere, un modo di vivere più felice perché più conforme alla “buona novella”. E in Europa? Da noi non c’è l’avventura esaltante di una civiltà in costruzione, ma quella deprimente di una civiltà in decomposizione. Per questo sembra a taluni, erroneamente, che sia omai possibile un solo mondo: quello che ha preso la direzione della religione fai da te, del Gesù Cristo al massimo interessante filosofo, del divorzio breve, del matrimonio gay, e dell’utero in affitto… Se così è, signori, dicono in fondo Kasper e Marx, la buona novella non è più annunciabile, non è più possibile, non è più credibile… flettiamola, modifichiamola, adattiamola al mondo. Saltiamo sul carro dei vincitori. Ma così, direbbe il cardinal Sarah, nel suo libro tutto da leggere, non solo non si curano i malati; non solo non si educano le nuove generazioni ai grandi ideali del Vangelo, ma si dimentica che il diffondersi della buona novella sta anche nella fede in essa che hanno coloro che ne sono portatori ed interpreti.
In fondo sta tutto qui. Nel credere davvero che la buon novella è vera; nel credere che è per il bene di tutti; nel credere che è possibile, nei limiti della miseria umana, viverla e comunicarla, anche nell’Europa post-cristiana di oggi. Ai tempi dell’antica Roma l’abbondanza dei divorzi e dei ripudi, il numero altissimo di infanticidi, la decadenza dei costumi… non spinsero gli apostoli ad accomodare il Vangelo, ma a viverlo così intensamente, da cambiare, piano piano, ogni cosa.