Di nuovo in gabbia, stavolta l'Italia sprofonda arrancando
L’Italia sprofonda nuovamente nel lockdown mascherato. Nel frattempo si sono aggiunte anche fondate ragioni per dubitare dell’affidabilità dei vaccini, che però continuano ad essere sbandierati dalla propaganda istituzionale e dall’informazione mainstream come gli unici antidoti per uscire dal tunnel. Assistiamo rassegnati alla messa in liquidazione dell’intero Paese.
Come ampiamente previsto e preannunciato dal Ministro della Salute, Roberto Speranza, l’Italia sprofonda nuovamente nel lockdown mascherato. A distanza di un anno dalle prime chiusure totali, la situazione epidemiologica appare identica e immutata e il Paese, con centomila morti in più e una strategia disastrosa di contrasto al virus, continua ad arrancare.
Non bastasse, si sono aggiunte anche fondate ragioni per dubitare dell’affidabilità dei vaccini, che però continuano ad essere sbandierati dalla propaganda istituzionale e dall’informazione mainstream come gli unici antidoti per uscire dal tunnel. A proposito di tunnel, da settimane la classe politica assicura agli italiani che siamo all’ultimo miglio, che s’intravvede la luce in fondo al tunnel e che bisogna fare gli ultimi sacrifici prima dell’agognato ritorno alla normalità.
Si tratta peraltro di sacrifici davvero pesantissimi e superiori a quelli fatti finora e che arrivano quando la popolazione è sfinita da ogni punto di vista e quasi rassegnata alla messa in liquidazione dell’intero Paese, vista la crisi dilagante in ogni campo della vita pubblica. Regole decisamente più restrittive, che ratificano definitivamente la sconfitta delle misure sin qui adottate e gettano nello sconforto milioni di italiani giustamente insofferenti all’ennesimo giro di vite, non giustificato da evidenze scientifiche.
Si moltiplicano in ogni parte del mondo gli studi circa l’inutilità di lockdown prolungati e generalizzati, perché il virus, non appena i divieti cessano, riprende a circolare. La soluzione non può più essere, dunque, la perenne rincorsa a un virus che, con varianti sempre nuove, rischia di mettere in ginocchio le economie e le società per anni. Se mai finirà e quando finirà la circolazione incontrollata del Covid-19, ci saranno solo macerie da rimuovere, sia sul fronte degli equilibri individuali sia su quello socio-economico. E le ricerche condotte da molte università straniere documentano una sostanziale parità numerica, in termini di morti, ricoveri e contagi, tra gli Stati che hanno chiuso tutto e per lungo tempo e quelli che hanno mantenuto aperto il più possibile. Dunque sono certi i danni provocati dalle prolungate restrizioni, sia dal punto di vista psicologico che sociale ed economico, mentre non ne sono dimostrati i benefici.
La fortuna di chi sta al governo è che gli italiani dimenticano tutto o quasi, e quindi hanno già dimenticato che a ottobre dell’anno scorso, solo cinque mesi fa, l’ex premier predicava pazienza per poter “salvare il Natale”, ma poi sappiamo molto bene come è andata a finire. E quanti ricordano le dirette televisive per celebrare l’arrivo delle prime dosi di vaccino, magnificato da Giuseppe Conte e i suoi ministri come l’inizio della rinascita del Paese?
E tutto lascia prevedere l’ennesima girandola di promesse non mantenute. La tabella di marcia non è stata rispettata, l’Unione europea anche sui vaccini sta fallendo e le continue contraddizioni nelle dichiarazioni dei virologi sono lo specchio di un Paese che naviga a vista, senza un orizzonte rassicurante.
Sarebbe illusorio sperare che il nuovo premier, con una bacchetta magica, possa rimediare all’infinità di errori commessi da chi l’ha preceduto e da molti governatori regionali, che da oltre un anno rincorrono il virus senza puntare sulla definizione di protocolli per le cure domiciliari (nei giorni scorsi finalmente, come anticipato dalla Bussola, in Piemonte se n’è firmato uno), sul potenziamento dei trasporti pubblici, sulla differenziazione degli orari di apertura di scuole, uffici, negozi, centri commerciali, luoghi di svago e di cultura, ristoranti e via discorrendo.
Come detto, a complicare il quadro i dubbi sull’efficacia e l’affidabilità dei vaccini. Su questo, peraltro, non sono ammesse distrazioni, neppure da parte dei media. Non si capisce perché i mezzi d’informazione, dopo aver assecondato per mesi, da settembre in poi, la narrazione istituzionale catastrofista del Covid, non possano promuovere un’operazione trasparenza e verità sulle dosi di siero da inoculare. Anzi, sarebbe opportuno che lo facessero, rispolverando le armi del giornalismo d’inchiesta e utilizzandole per fini di interesse pubblico all’informazione.
E invece chi solleva dubbi viene automaticamente tacciato di negazionismo. I sempre più numerosi casi sospetti che riguardano alcuni vaccini (leggi qui il caso Astrazeneca) non possono essere catalogati come estemporanei. Meritano un approfondimento. Anche questo vuol dire tutelare la salute. Non c’è un nesso causale tra il Covid e tante morti dell’ultimo anno, eppure quelle vittime risultano tutte uccise dal virus per il solo fatto di essere risultate positive. Non si capisce perché oggi si debba a priori escludere un nesso causale tra la somministrazione del vaccino e alcuni decessi.
Anche perché, non dimentichiamolo, quanti oggi in tv insistono in modo ossessivo sulla totale affidabilità dei vaccini sono gli stessi che a marzo di un anno fa minimizzavano il Covid definendolo un’influenza, ad aprile dicevano che le mascherine erano inutili e a maggio sostenevano che non ci sarebbero state altre ondate.
Proprio quando un giudice a Reggio Emilia dichiara l’incostituzionalità dei dpcm, si continua, sia pure con decreto legge, a introdurre nuove mortificanti limitazioni delle libertà individuali, anziché migliorare i servizi pubblici e, nel contempo, responsabilizzare i cittadini.
L’informazione dovrebbe coltivare un pluralismo vero e dare spazio alle opinioni di tutti anche sui vaccini, sospendendo il giudizio su di essi ed evitando di alimentare una sorta di pensiero unico che fa dimenticare gli errori della politica e scarica sui cittadini le sue inadempienze.