Desbordes, il cantore della gauche femminista in carcere per stupro
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L'emblematica vicenda di Jean-Philippe Desbordes, per anni cantore della gauche francese all'insegna del femminismo e del green. Condannato per stupro e violenza sessuale nei confronti della moglie e delle figlie, il suo caso è stato ignorato dai giornali della sinistra per i quali ha scritto per anni.
Jean-Philippe Desbordes è stato per decenni un rappresentante chimicamente puro della «gauche» francese, naturalmente collocabile alla sinistra di Emmanuel Macron. Nato a Parigi nel 1969, ha percorso tutte le tappe più tipiche e canoniche dell’intellettuale progressista, senza mancarne nemmeno una. Dopo gli studi universitari di antropologia, ha iniziato un’invidiabile carriera nel giornalismo stampato e radio-televisivo, pubblicando libri di tendenza (contro il nucleare e pro green) e a 42 anni ha abbracciato «l’arte di vivere aïki». Divenuto cintura nera e «maestro di aïkido», è riconosciuto come il fondatore della «aïki-terapia» disciplina fisico-psicologica con la quale la sua notorietà nei salotti parigini è salita alle stelle.
Tra le collaborazioni radiofoniche si ricordano quelle come reporter su Radio France e France Info mentre tra quelle giornalistiche Desbordes ha percorso tutta la panoplia della galassia laico-progressista: da Libération a Charlie Hebdo (il settimanale delle caricature blasfeme), da L’Événement du Jeudi a Le Canard enchaîné, per citare solo i fogli principali.
Ora l’identità di queste pubblicazioni è chiara e poco o nulla ha più a che vedere con la vecchia sinistra operaia, «moralista» e anticapitalista. Le battaglie di fondo di quotidiani come Libé sono, ormai da decenni, quelle della «nouvelle gauche»: contro il razzismo (esteso a tutti coloro che emettono critiche verso l’immigrazione), contro la famiglia naturale, per i «diritti delle donne», contro il patriarcato.
Eppure il giornalista e militante femminista Desbordes è stato processato lo scorso novembre per «stupro con tortura» e «atti di barbarie» commessi, dal 2017 in poi, ai danni delle 3 figlie, minorenni, della sua ex moglie.
Secondo La Dépêche, uno dei pochi quotidiani che ha avuto il coraggio di seguire il caso dell’ex icona progressista, il processo «si è concluso il 22 novembre». E il giornalista, dopo «una settimana di dibattimenti» e «3 ore di deliberazione», è stato «condannato a 20 anni di reclusione criminale», con annesso «obbligo di cure psichiatriche» da effettuarsi in carcere.
«L’avvocato di Desbordes» scrive sempre La Dépêche, «ha cercato di minimizzare le accuse», facendo riferimento «a un amore tossico, più che a una predazione». Ma le testimonianze precise e convergenti delle 3 vittime, che all’epoca dei fatti, avevano 16, 14 e 9 anni, non gli hanno lasciato scampo. La loro madre lo aveva conosciuto nel 2017 e proprio durante un corso di aïki-terapia. Il tema del corso, presieduto personalmente da Desbordes, quella sera era proprio una seduta contro la violenza sulle donne…
La più grande delle ragazze ha raccontato davanti al giudice, con molti particolari crudi e irripetibili, che Desbordes, manipolandola, l’aveva fatta diventare «la sua schiava sessuale», arrivando alla «tortura» e tenendola «spesse volte al guinzaglio». «Che io dicessi sì o no» ricorda la ragazza, «non avevo scelta». Ed anzi si rese conto «che se fossi stata troppo recalcitrante», se la sarebbe presa «con le mie sorelle». «Quello che a lui piaceva, era proprio ciò che era più doloroso per me», ha concluso.
I giornali su cui ha scritto per anni, con pudore indecente, hanno dato poco spazio al triste affaire. Forse perché non sanno spiegarsi una cosa. E cioè: come fa il patriarcato ad essere la causa delle violenze sulle donne quando a volte chi le commette ha un curriculum fuxia intenso, e si è dedicato, per una vita alle battaglie del femminismo e del progressismo? O forse la morale è un’altra. Come lo straniero colpevole non va in prima pagina per «scongiurare il razzismo», così se il criminale sta coi «miglioratori del mondo», meglio per una volta dimenticarsi dei «diritti delle donne».