Depp vs. Heard, abbattuta la colonna infame del MeToo
Il processo Johnny Depp contro Amber Heard è stato l’evento di attualità più seguito negli Usa. L'attrice aveva accusato l'ex marito di abusi domestici, ora è condannata per diffamazione. Era una delle icone del movimento MeToo, la campagna di denunce contro gli abusi sessuali, quasi sempre arbitrarie, dove il maschio è colpevole a prescindere.
Il processo Johnny Depp contro Amber Heard è stato l’evento di attualità più seguito negli Usa, chiamato anche il “processo su Tik Tok” per le numerose dirette, da cui sono state ricavate altrettante parodie, sul social network più diffuso fra i giovani. Si è concluso, come ormai noto, con la condanna per diffamazione di Amber Heard, l’attrice ex moglie del protagonista dei Pirati dei Caraibi e di tantissimi altri film di successo. Ora gli deve 15 milioni (ridotti a 10, poi a 8 perché Depp stesso, a causa di un’affermazione del suo legale, la deve a sua volta risarcire per 2 milioni di dollari).
Nel 2018, l’attrice, due anni dopo il divorzio con Johnny Depp, l’aveva pubblicamente accusato di violenze domestiche con un articolo pubblicato sul Washington Post, intitolato Ho denunciato la violenza sessuale. E per questo ho dovuto affrontare la collera della nostra cultura. L’articolo era un atto d’accusa in cui non veniva mai menzionato l’ex marito, ma dalle circostanze si capiva bene chi fosse: «Due anni fa sono diventata una figura pubblica simbolo degli abusi domestici». I legali di Depp avevano subito sporto querela e chiesto 50 milioni di dollari in danni. Nel 2018 si era nel pieno della campagna del MeToo, delle denunce (a mezzo social, o a mezzo stampa) delle violenze sessuali subite in passato, anche nel passato remoto. La carriera del divo hollywoodiano pareva segnata. La sua produzione entrò in stallo, appena due titoli sul grande schermo e una serie televisiva nei quattro anni dopo lo scandalo, per un attore che era abituato a recitare anche in tre o quattro lungometraggi all’anno. Una causa intentata da Depp al quotidiano britannico The Sun, che lo aveva definito “picchiatore di mogli” era stata persa nel 2020.
Invece il tribunale di Fairfax, Virginia, ha condannato Amber Heard per diffamazione. Questa è la verità giudiziaria che è emersa da prove, testimonianze, registrazioni, chat al cellulare, il tutto mostrato al pubblico ludibrio, praticamente in diretta, con gran gioia del voyeurismo del pubblico. L’immagine di entrambi gli attori, a prescindere dall’esito del processo, ne è uscita distrutta. Per non parlare dell’esempio di totale instabilità famigliare che hanno dato, già dal divorzio del 2016, dopo un matrimonio durato appena quindici mesi, il secondo matrimonio per Johnny Depp, dopo una prima moglie, negli anni Ottanta, e una relazione di 14 anni con la modella Vanessa Paradis, da cui ha avuto due figli. Anche il divorzio era finito con accuse a lui di violenze domestiche, poi quasi subito ritirate.
Ma la vittima sociale del processo Depp vs. Heard è il movimento MeToo, di cui l’attrice era diventata una testimonial, con i suoi appelli alle donne di trovare il coraggio per denunciare. Il colpo è stato accusato soprattutto dalla stampa britannica, in prima linea dai tempi del processo Depp vs. The Sun. La BBC, usa l’aggettivo “toxic” (tossico) per descrivere la vicenda processuale. Un aggettivo che spesso è usato per indicare il machismo: mascolinità tossica. Nel pezzo di commento del sito dell’emittente britannica viene intervistata Nicole Bedera, esperta di violenze domestiche, che lamenta: «Ci sono molte vittime che avranno visto la loro storia riflessa in questo processo. Saranno anche loro danneggiate dal suo esito». Un’altra esperta di violenze sessuali, Kelly Sundberg, della Ashland University, dichiara: «Anche se la Heard avesse vinto, questo (processo, ndr) avrebbe avuto un effetto gelante sulle vittime, perché nessuno vuole essere discreditato e non creduto ai livelli a cui lo è stata lei», riferendosi all’ondata di odio social a cui è stata sottoposta durante e dopo il processo.
A pubblicare un vero e proprio manifesto della sconfitta è Moira Donegan sul quotidiano britannico The Guardian: «La strana, illogica e ingiusta sentenza ha l’effetto di sancire i presunti abusi di Depp nei confronti di Heard e di punire quest’ultima per averne parlato. Avrà un effetto devastante su tutte le vittime, che ora saranno messe a tacere con la consapevolezza di non poter parlare delle loro esperienze violente per mano degli uomini senza la minaccia di una rovinosa causa per diffamazione. In questo senso, la parola delle donne è appena diventata molto meno libera». L’articolo, dal titolo eloquente La vittoria di Johnny Depp è un trionfo della misoginia, è un coccodrillo del movimento MeToo: «Il processo si è trasformato in un’orgia pubblica di misoginia. Anche se la maggior parte del vetriolo è apparentemente diretto unicamente a Heard, è difficile scrollarsi di dosso la sensazione che in realtà sia diretto a tutte le donne. E in particolare a quante tra noi hanno parlato di abusi e violenze sessuali di genere durante l’apice del movimento MeToo».
Tutti questi editoriali esprimono preoccupazioni più che comprensibili. Ma incredibilmente non colgono un punto fondamentale: che Johnny Depp, dopo un regolare processo, è risultato innocente. Magari il verdetto sarà ribaltato in un processo di appello (perché l'attrice ha già annunciato che ricorrerà). Ma per ora, se Amber Heard è stata condannata per diffamazione, è perché, evidentemente, la verità giudiziaria (che non è assoluta, ma almeno ci si avvicina) ha assolto l'ex marito dall’accusa di essere “picchiatore di mogli”.
Il MeToo nasce come una battaglia di coraggio per denunciare gli abusi sessuali, a partire proprio dal mondo del cinema (nasce con le accuse di violenza al produttore Harvey Weinstein) e però diventa subito una caccia alle streghe. L’accusa, spesso, non passa nemmeno da un processo, entra subito nel circuito mediatico e diventa una condanna senza appello per chi è additato, distruggendo famiglie, reputazioni e carriere. MeToo, ultimo stadio del femminismo, accusa il maschio in quanto maschio, accusa la famiglia in quanto istituzione patriarcale, senza prove, senza rispettare il principio dell’"innocenza fino a prova contraria" che caratterizza la nostra civiltà giuridica.