Democrazia, da problema a modello, qualcosa non va
Suona molto strano che ora la teologia cattolica rovesci la problematica e consideri la democrazia addirittura come modello che permette di riscoprire l’essenza sinodale della Chiesa. Viene da chiedersi cosa sia avvenuto.
La democrazia è ormai molto presente nella vita della Chiesa e la sinodalità di cui oggi molto si parla, così impostata com’è, la farà entrare ancora di più dentro di essa. Ne sono prova il fatto che i consessi ecclesiali sono ormai abitualmente preceduti da consultazioni della base come si fa nei consessi civili o politici. Agli inizi degli anni Sessanta del secolo scorso KarI Rahner prevedeva per il futuro una Chiesa democratica.
Oggi il teologo Giacomo Canobbio, della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale di Milano, sostiene che la sinodalità, a cui papa Francesco ha dato una spinta notevole al punto da rappresentare una “novità” rispetto ai precedenti Pontefici, richiede un processo di ascolto di tutti e la condivisione di nuovi processi decisionali. Siccome non c’è – si dice – una ecclesiologia normativa ma nella storia si susseguono concezioni diverse di Chiesa connesse con la diversità dei momenti, oggi emerge appunto una concezione sinodale dell’essenza della Chiesa che subisce l’influsso positivo della democrazia.
È innegabile, egli sostiene, che lo spirito democratico abbia contribuito a far maturare anche nella Chiesa il senso della partecipazione e la consapevolezza che tutti devono contribuire ai processi decisionali. Come un tempo la Chiesa era rappresentata come monarchia, nulla toglie che oggi essa sia descritta come democrazia. In questo modo – è sempre Canobbio a dirlo – la Chiesa può a sua volta contribuire per la rivitalizzazione della democrazia sociale e politica.
Come cambiano le cose! I Pontefici dell’Ottocento avevano condannato la democrazia, non in assoluto e non come sistema di governo, ma come ideologia secondo cui il potere è del popolo mentre la Chiesa ha sempre sostenuto che viene da Dio. Se viene a mancare questo riferimento a Dio, la democrazia assume a proprio fondamento un concetto di libertà e di uguaglianza incompatibili con il cattolicesimo. Le elezioni possono designare chi detiene il potere ma non possono legittimarlo. La Diuturnum Illud (1881) di Leone XIII, la Notre charge apostolique (1910) di Pio X, Il Radiomessaggio di Pio XII del 1944 dicono la stessa cosa: la democrazia priva dell’aggancio a Dio come fonte della legittimazione dell’autorità non è accettabile. Giovanni Paolo II vi ha aggiunto che senza questo aggancio la democrazia si trasforma addirittura in totalitarismo. Lo ha fatto nella Evangelium vitae e nella Centesimus annus.
Suona molto strano che, dopo tutta questa storia giunta fino ai nostri giorni, ora la teologia cattolica rovesci la problematica e consideri la democrazia addirittura come modello che permette di riscoprire l’essenza sinodale della Chiesa. Viene da chiedersi cosa sia avvenuto.
Nella condanna della democrazia, la Chiesa ha poi sempre insistito in modo particolare sulla condanna della democrazia procedurale, ossia quella che si considera neutra da contenuti e che si accontenta solo del rispetto delle regole (convenzionali) che il legislatore ha dato. È questa la democrazia più totalitaria che si possa dare, perché nel rispetto delle procedure commette disumane ingiustizie e non se ne rammarica, ma crede di aver agito bene dato che per essa il bene coincide con il rispetto delle procedure. Ma a ben vedere, ora è proprio questa democrazia ad esser considerata dalla Chiesa fonte di ispirazione per la scoperta della propria essenza sinodale. La Chiesa imparerebbe dalla democrazia a consultare, a far partecipare, a realizzare processi condivisi … tutte questioni, come si vede, procedurali riempibili da ogni contenuto.
Viene in mente “Il Quinto Evangelo” del cardinale Biffi, il cui manoscritto, al posto dei brani sulla scelta degli Apostoli da parte di Gesù, dice: “In quel tempo passò tutta la notte a presiedere la discussione dell’assemblea dei discepoli per la scelta dei dodici apostoli. Diceva infatti: nessuno può veramente rappresentare gli altri uomini, se non è eletto da loro. Poi chiamò a sé coloro che l’assemblea aveva indicato”.