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L’amore più grande

Deborah dona la vita per la figlia, un sì che sa di redenzione

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La storia di Deborah Vanini, 38 anni: rinuncia a curarsi un tumore per non mettere in pericolo la vita della creatura, Megan, che porta nel grembo. Si diceva non credente, ma nel dramma ha percorso la via della perfezione, nel solco delle parole di Gesù.

Editoriali 28_11_2024
Deborah Vanini con la figlia Megan e il compagno (foto dal profilo Facebook di Deborah)

«Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15, 13). E “amici” sono coloro che amiamo. In cima all’elenco troviamo i figli. La personificazione di queste parole di Gesù ha un nome e un cognome: Deborah Vanini. Uno dei tanti casi di cattolici-ombra che comprendono quelle ragioni del cuore che la ragione non comprende (Pascal). Il dramma sta tutto qui, semplice e diretto come un proiettile nel cuore: nella stessa visita scopre di avere nel grembo una bambina e un tumore. E quest’ultimo ha un’età gestazionale avanzata: quarto stadio.

«Uno choc – scriveva Deborah sui social –: dalla notizia più bella alla più brutta in 25 secondi netti. Dalla gioia più grande alla disperazione più assoluta. Dall’estasi, alle pene dell’inferno. Da lì, il buio». Un buio fatto «di esami, giorni in ospedale, visite estenuanti e dolorose, impedimenti fisici, farmaci, una valanga di farmaci, la maggior parte non compatibili con una gravidanza». Ecco l’aut aut, il dentro “Io” e il fuori “Lei” o viceversa, dove l’ordine degli addendi cambia eccome il risultato, il prendere la propria vita e perdere la vita della piccola Megan o perdere la propria e prendere per mano dal Cielo la figlia per sempre.

«Scelte più grandi di noi, sulla vita che avevamo creato. Messi davanti alla più difficile al mondo per un genitore, decidere per la vita o meno dei propri figli. Ho pianto notti intere per la paura, per la tensione, per i dubbi, ho perso la via, mi sono disperata, chiesto perché proprio a me e a noi. Ho toccato veramente il fondo, ma poi...». Ma poi con l’aiuto dei parenti, del compagno e dello staff medico ha scelto la vita, quella eterna per lei – così speriamo – e quella degli anni a venire su questa Terra per Megan. Due nascite diverse, ma germinate dal medesimo fiat.

Poteva curarsi anche nel caso in cui fosse stato certo che, a causa delle terapie, la figlia sarebbe morta? Sì, perché, in stato di necessità, la morte della piccola non sarebbe stata direttamente ricercata, ma meramente tollerata, perseguendo lecitamente la propria guarigione, e perché i beni in gioco erano di pari dignità: vita madre e vita figlia. Sarebbe stato un atto moralmente buono. Ma Deborah non si è accontentata del buono, voleva il meglio per sé e per la figlia e allora ha percorso la via dell’eccellenza, della perfezione ragionando all’opposto: ha tollerato la propria morte, ricercando strenuamente la salvezza della figlia.

La vita a la morte. La morte e la vita. Salvarsi e perderti? Sarebbe stata poi vita senza di te per causa mia? Mi sarei salvata veramente? «Forse tu non lo sai ancora, ma mi ha letteralmente salvato la vita», le parole di Deborah. «Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà» (Mt 16, 25), le parole di Gesù. Parole belle per noi. Parole fatte della stessa sostanza delle lacrime per Deborah.

La vita e la morte. La morte e la vita. E tra questi due opposti il potere immenso e tragico della libertà. A chi spegnere il lume? A colei che è nel mezzo del cammin oppure a colei a cui Dio ha appena acceso lo stoppino? Sarebbe stato meglio poter non scegliere – forse avrà pensato la mamma – essere obbligati alle cure o al parto. O rifugiarsi nel dubbio liberatorio.

La vita e la morte. La morte e la vita. Intrecciati in modo indissolubile, entrambe facce della medesima moneta, tributo da pagare ad una esistenza che a volte, forse spesso, non fa sconti, non permette il compromesso. Tertium non datur. In un mondo così liquido, dove non c’è spazio per il bianco e il nero, per il Sì e il No, Deborah ha scelto il bianco della vita, il Sì al sacrificio.

La vita e la morte. La morte e la vita. La vita dell’una il calco della morte dell’altra e la morte dell’altra il calco della vita dell’una. A lei ha dato la vita e ha dato la vita per lei. La morte si faceva strada nel corpo della madre, ma non nel suo grembo, forziere dove custodire la vita.

La vita e la morte. La morte e la vita. Deborah, il riscatto non richiesto delle innumerevoli Deborah che hanno invece spento la luce nel loro ventre, senza essere in pericolo di vita; lo stato di accusa silenzioso delle coscienze insanguinate che però in lei potranno trovare redenzione; la maternità mostrata nella sua eroicità che zittisce chi rivendica che l’utero è suo, che l’essere mamma è una scelta, che si è madri di un grumo di cellule.

La vita e la morte. La morte e la vita. Come Cristo ha donato la vita per tutti noi, lei lo ha fatto per la figlia. «Sforzatevi di entrare dalla porta stretta» (Gv 14, 2). Deborah è passata da una fessura. Da cui filtrava una luce accecante.

La vita e la morte. La morte e la vita. Ha vinto la vita.