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POLITICA

De Girolamo, la nuova frontiera della gogna

Non ci interessa in questa sede giudicare se il ministro dell’agricoltura, Nunzia De Girolamo, stia facendo bene il suo lavoro. Perché l'uso di intercettazioni abusive è la nuova, vergognosa, frontiera della gogna mediatica.

Editoriali 13_01_2014
Nunzia De Girolamo

Non ci interessa in questa sede giudicare se il ministro dell’agricoltura, Nunzia De Girolamo stia facendo bene il suo lavoro di ministro né prevedere se verrà sostituita nell’ambito del probabile rimpasto del governo Letta. Restiamo invece allibiti di fronte all’ennesimo caso di disgustosa e inqualificabile gogna mediatica alla quale viene sottoposto un rappresentante dei cittadini, in violazione delle più elementari norme di civiltà giuridica e dei sacrosanti principi di tutela della privacy.

Le sconcertanti intercettazioni abusive che riguardano il ministro, all’epoca dei fatti parlamentare Pdl e coordinatore di partito nella sua provincia di origine, quella di Benevento, non sarebbero dovute uscire sui giornali perché riguardano conversazioni private che la De Girolamo intratteneva a casa sua.

Se passasse il principio che chiunque può mettersi in tasca un microfono o sistemare una cimice nella casa di un personaggio noto per poi passare a un giornalista compiacente quelle registrazioni, ci troveremmo di fronte a una barbarie senza precedenti. Ed è quello che è accaduto alla giovane esponente del Nuovo Centrodestra, forse incauta nella gestione di alcuni affari riguardanti la Asl di Benevento e inelegante nel linguaggio utilizzato in quelle conversazioni, ma assolutamente libera, tra le proprie mura domestiche, di sfogarsi, arrabbiarsi, organizzare il suo sistema di potere.

Già, sistema di potere. Ma quale sistema di potere? Sono provati i reati che emergerebbero da quelle registrazioni? È dimostrato il nesso causale tra la condotta del ministro e dei suoi accoliti e le decisioni assunte nella gestione di quegli affari? Perché tanta superficialità e leggerezza da parte dei media nel giudicare situazioni di questo tipo, senza approfondire, senza verificare, sottraendo alla magistratura il compito di svolgere inchieste dettagliate e approfondite?

Un sistema di potere non è necessariamente illecito. Gestire il potere per portare avanti le istituzioni è il compito della politica. Il potere non è un’entità demoniaca, è lo strumento per realizzare il bene comune, anche attraverso la composizione di variegati e concorrenti interessi. Siamo sicuri che gli altri centri di potere siano diversi da quello che emerge dalle intercettazioni sulla De Girolamo? Siamo certi che le cooperative rosse o le altre organizzazioni che rappresentano interessi ramificati sul territorio sfuggano a quelle logiche? Basterebbe leggere i racconti agghiaccianti contenuti nel volume di qualche anno fa scritto da Bernardo Caprotti, patron della Esselunga, “Falce e Carrello”, per farsi un’idea di come alcuni affari vengano condotti in porto in Italia, passando attraverso le istituzioni centrali e locali e avvalendosi di soggetti compiacenti ai vertici delle stesse. Eppure il clamore mediatico suscitato dall’uscita di quel volume, spedito gratuitamente a tutti i giornalisti, è stato ben più sfumato di quello che sempre accompagna rivelazioni, soffiate, confidenze, intercettazioni riguardanti politici riconducibili alla cosiddetta area moderata. Sarà un caso? La cinghia di trasmissione tra talune procure e alcuni ambienti politici (e mediatici) è sempre ben funzionante? Sembrerebbe di sì.

Dietrologie a parte (sarà un caso quest’ennesimo attacco al governo Letta?), rimane il nodo insoluto della violazione della privacy dei cosiddetti vip o personaggi pubblici. Il Garante della privacy ha più volte sottolineato che i soggetti maggiormente esposti ai riflettori della cronaca devono accettare più degli altri di veder ridotta la loro sfera di riservatezza. Si tratta di un principio sacrosanto che a volte alcuni politici rifiutano con sdegno. L’elementare regola degli “onori e oneri” comporta il fatto che alcuni soggetti ricevano spazi mediatici impensabili quando compiono azioni edificanti e debbano, però, accettare il rovescio della medaglia, cioè il fatto che i media si occupino di loro anche nel caso di comportamenti disdicevoli.

Tuttavia, nel caso De Girolamo, si è passato il segno. La violazione della libertà di domicilio è innegabile. Sia l’articolo 14 della Costituzione che l’art.3 del Codice deontologico dei giornalisti in materia di privacy proteggono sopra ogni caso la sfera di riservatezza spettante a ciascun essere umano all’interno del proprio domicilio. Vedere trasmessi e amplificati dai media dialoghi estorti con l’inganno tra le mura domestiche è davvero un esempio di barbarie con pochi precedenti nella storia repubblicana.

La sinistra, che si dice attenta ai diritti civili, dovrebbe con altrettanta fermezza rivendicare la tutela del domicilio quale diritto di ogni individuo contro le improvvide violazioni della privacy e le relative spettacolarizzazioni a mezza stampa. Ferme restando tutte le responsabilità individuali di chi cede alla tentazione del malaffare, del nepotismo e della disonestà nella gestione del potere, il giornalismo fatto attraverso il buco della serratura diventa strumento di selezione politica e mette così a repentaglio le garanzie più elementari del vivere democratico. Il legislatore dovrebbe intervenire, ma nel frattempo illuminate e coscienziose forme di autodisciplina da parte degli operatori dell’informazione dovrebbero spezzare quella catena perversa tra giustizialismo e voyeurismo, alla base della degenerazione del rapporto tra politica e cittadini.